Articolo
racconto icon
Venerdì, 8 Giugno 2007

Bolivia a tutta birra - seconda parte

Diario di viaggio attraverso la provincia di Tarija in Bolivia, Marzo 2004

ARTICOLO DI

Vagabondo0

Diario di viaggio attraverso la provincia di Tarija in Bolivia, Marzo 2004

La prima parte del racconto si trova qui!

mattinata del sabato in Yacuiba


La passo a dormire, svegliarmi, riaddormentarmi e dormivegliuccare a ciclo continuo. Adesso sì che potrei sognare la Paóla, però sono visitato da altri pensieri. Vengono a trovarmi tutte le persone con cui parlai nella settimana precedente in Rosario e in Salta. Persino il cavallo con cui ho girato le colline di quest'ultima città. Dovrei scrivere, fissare i ricordi invece di crogiolarmi in essi. Basta! alle undici mi alzo e spedisco messaggi a mezzo mondo prima di mangiucchiare alle bancarelle del mercato.

Trovo un kiosko che vende ogni sorta di CD musicali.

Chiedo di ascoltare musica popolare boliviana e vengo accontentato. Ne scelgo tre e la ragazzina della bancarella, prontamente, me ne rifila altri simili, ma duplicati.

«Trucho, eh?

A malincuore deve ammettere che non sono del tutto scemo.

«Si, trucho.

Trucho, qui tutto e trucho, ossia truccato, falsificato, tutta la merce compresi i prodotti di artigianato locale sono fabbricati chissà dove. Lo dico alla chica perché se no me li farebbe pagare al prezzo pieno degli originali. Sono anch'io un bel bastardino a non comprare gli originali, però lei sembra preferire che compri proprio i falsi, forse ci guadagna di più.

Pomeriggio del sabato da Yacuiba verso Tarija.


Quando lascio una città associo il suo nome a quello di una bella donna, che mi abbia o no concesso i suoi favori. Lascio illibato Paóla-Yacuiba e mi porto sulla strada nazionale per attendere che Edmundo torni carico da Pocitos.

In precedenza ho parlato del gauchito Gil poiché la strizza opera strani mutamenti, anche nel profondo del mio corazon, carrozzato agnostico e rinforzato con barre a discreto contenuto di ateismo. Spero che la Madonna di Luján non se la prenda a male perché, anche se non glielo ho mai chiesto e se esiste davvero, fin'ora mi ha sempre protetto nei miei viaggi. Perché ora la tradisco passando a Gil? Beh, perché il Gauchito protegge specialmente una razza particolare di viaggiatori: i camionisti. Edmundo é uno di loro e se Gil protegge il suo camion automaticamente protegge anche me che ci sto sopra, seduto accanto al pilota, protetto pure lui. Si, lo so: non si dovrebbe dire pilota, ma autista o conduttore, però vi assicuro che il Conte non ha niente da invidiare al mitico Juan Manuel Fangio! Quindi é tout court un pilota.

Percorriamo non più di mezz'ora di strada pavimentata verso nord e troviamo un posto di controllo. Mentre faccio due passi Edmundo sbriga le sue pratiche e i doganieri controllano il carico. A me nessuno chiede niente.

Ripartiamo: ora viene il bello. La strada adesso si svolge in direzione ovest e si snoda lungo la serranía, ovvero sulla cresta delle montagne. La carreggiata é stretta ed il fondo é nudo, le cunette la norma e per far scolare l'acqua piovana le curve sono tutte in contropendenza.

I camionisti sono abituati a guardare la strada dall'alto della loro postazione di guida e ciò li favorisce in caso di nebbia bassa e soprattutto per manovrare allo stretto. Questo conferisce loro molta sicurezza che scontano poi quando si ritrovano a guidare un'automobile, magari una sportiva dove guidi col culo praticamente per terra. Per me é esattamente l'inverso, trovarmi in alto mi spinge ad esagerare il pericolo di ribaltamento.

Il camion é un Volvo un po' vecchiotto probabilmente costruito in Brasile. Per certo Edmondo deve avermi spiegato di che modello si tratta poiché é molto orgoglioso del suo bestione, ma l'inquietante scricchiolio della cabina unitamente alla musica "orientale", ossia di Santa Cruz, sparata a tutto volume non favoriscono certo la mia comprensione. Da tempo sto diventando sordo e, addirittura, ai terminal dei bus dove il casino supera quello delle peggiori discoteche, mi spaccio per sordomuto e comunico con dei bigliettini che scrivo al volo e spiattello sotto al nasino di deliziose impiegate, intenerendole con la mia disgrazia.

Sono un "sola" o non l'avevate ancora capito? ahahahhh!!!

Durante questa prima parte del tragitto montano, Edmundo mi indica l'ubicazione di alcuni pozzi dai quali si estrae gas naturale, una recente quanto provvidenziale ricchezza per la regione. Man mano ne vedrò altri lungo il percorso e la cosa giustificherà domani il mio incontro con un ingegnere americano e con Karina. Secondo Edmundo un solo pozzo, dei sei o sette esistenti al momento, basterebbe a dare energia al paese per almeno 60 anni. Mah! la lascio in piano. Quello certo é che l'Argentina é l'attuale principale cliente e inoltre nei pressi di Yaquiba ho visto una quantità enorme di tubi pronti per impiantare un nuovo gasdotto destinato a raggiungere le sponde dell'Atlantico. Edmundo aggiunge che pure i Cileni erano interessati e un gasdotto arriva al Pacifico, ma adesso quei fottuti non lo usano. Politica? Ancora mah!

Per il momento il pilota é relativamente tranquillo, la quota ancora bassa, i tornanti abbastanza ampi e i precipizi sono di pochi metri. Beh, sarebbero comunque già sufficienti a lasciarci la pelle o quasi, ma il cerebrazon (neologismo di mio conio accomunante cerebro y corazon = cervello e cuore) stupidamente non li considera tali.

Sono passate due ore di viaggio quando arriva un messaggio radio al baracchino. Edmundo mi chiede di guardare dietro. Un suo collega si intravede ogni tanto salire alcuni tornanti dietro di noi a tutta birra.

Cavolo! Da qui in avanti mi mancheranno le paroline delicate. Tutti i novanta chili del mio socio d'avventura sembrano scaricarsi sul suo piede e forzare la tavoletta dell'acceleratore a trapassare il fondo della cabina. Si va, cavolazzo che si va!

I tornanti si stanno facendo più frequenti e stretti. é un continuo saliscendi e soltanto in salita la velocità si riduce un poco, ma non basta a consolarmi poiché il rallysta prigioniero nella testa e nel piedone del mio amico accudisce la pista fino all'ultimo centimetro e le ruote passano perfettamente al bordo esterno della strada, ammesso che così si possa definire questo percorso, poco più che una pista.

Appena la pendenza lo favorisce il camion accelera spinto dal suo medesimo carico. Penso ai freni chissà da quanti anni necessitosi di revisione, ma tanto lui non frena altro che col motore e se pinza i tamburi é soltanto per derapare! é fantastico vedere con quale precisione maneggia il volante: imposta la curva e non necessita di correzioni di traiettoria. Adesso il rischio di cozzare con qualcuno che giunge frontalmente si fa alto ed egli mi indica i punti dove guardare tre-quattro tornanti avanti. Per farlo apro il finestrino e mi sporgo fuori a rischio di farmi decollare dai rami delle piante o schiacciare dalla parete di roccia, friabile sì, ma sempre più dura della mia testaccia.

Questo tipo di navigazione, ben diversa da quella che operavo nelle mie vallate accanto ad un pilota mio compaesano di altrettanto piede pesante, mi riporta ai bei tempi e dimentico ogni paura. Si va! si va!

Le palle! L'altro camion, più nuovo, più leggero e altrettanto ben pilotato ci sta grattando il culo, pardon, il paraurti posteriore. Edmundo cede, vede uno spiazzo e fa passare l'amico accompagnando il sorpasso con ampi gesti di finta minaccia e strombazzando col clacson a rischio di provocare una frana. L'altro guadagna velocemente terreno e noi riprendiamo un passo normale.

Lo ritroviamo in un paesino sul calar della sera, all'ora di cena. Pasto che consumiamo assieme a lui.

Terminato di mangiare, l'amico di Edmundo riparte per primo e si allontana velocemente. Noi rimaniamo ancora un po' a chiacchierare e a terminare la bottiglia di vino rosso locale (parlerò diffusamente del vino Boliviano: una vera scoperta per me). Oriento la bussola cercando la Croce del Sud, ma c'é troppa luna per vederla. Assommando questo a tutti i miei viaggi passati, sono ormai un centinaio di giorni quelli da me trascorsi nell'emisfero australe e per mia scelta sempre evito la mancanza di luna nei miei calendari di viaggio. Fatto sta che la Cruz non la ho mai vista e forse mai la vedrò. Chissefrega, adesso sto per vivere l'emozioni tanto forti quanto neanche la jungla di Iguazù nelle notti di plenilunio e le scimmie urlanti mai mi diedero.

Edmundo mi sembra insolitamente istruito. é l'unico che vedo leggere il giornale e lo fa pure con attenzione, ignorando i numerosi articoli su Maradona. Inoltre é una delle poche persone che non mi rompano chiedendomi del Milan o della Juventus. Qui, ma particolarmente in Argentina, ho trovato gente informatissima sul nostro campionato che segue con la televisione satellitare e sembra offendersi quando manifesto loro il mio disinteresse per il calcio. Il mio amico camionista ha pure una bellissima calligrafia e me lo dimostra quando mi lascia il suo indirizzo. No, non temete: non mi sto innamorando di lui, ma della Bolivia sì.

Partiamo. Le prime due ore sono di penosa salita. Varie volte dobbiamo manovrare per far passare bus e camions che incontriamo. Edmundo guarda soltanto nello specchietto e fa retromarcia con estrema precisione. La sua conoscenza del percorso é assoluta, però adesso comincia ad avvertire la stanchezza e cosa fa? Si mette a masticare foglie di coca. Anch'io ne ho comprato un sacchettino: divido la foglia in due, stacco il palito, ovvero la parte legnosa centrale, e la passo al compare. Ogni tanto ne mastico una e creo il bolo, ovvero la tengo tra i denti e la guancia come fanno tutti qui assomigliando a Luis Armstrong quando suona la tromba gonfiando le guance come un rospaccio. Altro mio compito, che espleto da quando siamo partiti, é di accendergli le sigarette. Io sto viaggiando a trenta cicche il giorno, lui mi supera tre a uno. Fuma, mastica e sputa. Sputa, mastica e fuma, ininterrottamente.

Il camion, pur non sembrando un albero di Natale come quelli spagnoli, monta molti fanali supplementari. L'accostamento ad un rally é calzante. Ogni tanto spegniamo i fari per qualche metro così da individuare nel buio i fanali di eventuali veicoli che ci vengono incontro. Ormai sono sei ore che si viaggia e finalmente, per il povero motore, prevale la discesa. La funzione dei pistoni ora é in prevalenza di frenare. Non basta! per strada si incontrano mucche vaganti. Sono costrette a cercarsi erba anche la notte poiché nella zona prevalgono arbusti non commestibili neppure ai loro stomaci di ferro. Quello che mettiamo sotto é invece un asinello. Edmundo frena, ma il camion si pone di traverso e non s'arresta. Cozzo violentemente contro il cristallo e resto un bel momento stordito prima di scendere. L'asino ci ha rimesso la vita, il camion parte della vista poiché un faro principale si é frantumato. Questo però é il meno. La parte posteriore del mezzo ha urtato con violenza contro la parete sbriciolando l'arenaria che compone la rossa roccia. Si sono rovinate le sponde e sta cadendo il frumento. Si potrebbe proseguire ma si perderebbe una gran quantità del carico. Rimuoviamo l'animale morto (dio se pesa!) e ci mettiamo in attesa di un passaggio. Venti minuti e transita un Toyota 4x4. In Bolivia nove veicoli su dieci sono di questa marca. Il conduttore é solo e ci fa salire. Io passo dietro. Qui per fortuna ci sono le cinghie mancanti sul camion. Mi duole la crapa, ma me ne frego, sembra non esserci niente di rotto e neppure domani permarranno segni di ecchimosi, una cosa da nulla dunque.

Se Edmundo era Fangio, questo é Schumi! L'amico si vanta di percorrere i 266 km tra Yacuiba e Tarija in meno di quattro ore contro le nove del Bus e dei camion. Esagera, ma poi mica tanto. Ne ho abbastanza, chiudo gli occhi e mi raggomitolo nella mia sfera di paura. Stavolta strizzo davvero, la brutta fine dell'asinello mi ha messo angoscia. Passa almeno mezzora durante la quale, nonostante le cinture, vengo sbattacchiato di qua e di là. Non m'accorgo di stare ingerendo la coca. Cavolazzo, non vorrei mi venisse mal di pancia. Sputo tutto nel fazzoletto e rinasco: se devo crepare in un burrone della sierra voglio almeno godermi lo spettacolo. Mi piazzo al centro del sedile posteriore per vederci meglio e partecipo mentalmente ai cambi di marcia, alle frenate e alle accelerate. L'auto é nuova e va come una sposa il giorno delle nozze. Ci mettiamo a cantare, cosa non so, ma canto anch'io. Finalmente arriva l'asfalto e vedo in lontananza le luci di Tarija. L'amico stacca la doppia trazione e procede relativamente piano sui cento orari, evidentemente i rettilinei non lo provocano o teme la polizia, sempre in cerca di scuse più o meno valide per estorcere soldi. Alle quattro del mattino i miei nuovi amici mi scaricano davanti all'hotel Gran Buenos Aires, appena una quadra(25) dietro la piazza principale. Edmundo rifiuta i miei soldi, dice di non avermi entregado(26) come si deve. L'altro accetta ben volentieri ed io suggerisco di divederli tra loro. Così fanno infine. Ah! dimenticavo l'alcól! Edmundo mi porge una bottiglietta del torcibudella. La stappo e offro un giro. Per quanto beneducati i due non accettano. Allora bevo da solo, alla salute di tutti ... gasp! Mamma che roba! Saranno almeno 90 gradi: alcolaccio quasi puro. Ora capisco il loro diniego e perché ne é proibito il commercio. Ci facciamo una risata, poi un abbraccio. Non li vedrò mai più. Purtroppo non ricordo il nome del pilota della Toyota e neppure gli ho chiesto l'indirizzo.





Domenica mattina in Tarija


Anche questo hotel é abbastanza nuovo e molto accogliente, sebbene più economico di quello di Yacuiba. Per di più offre cinque postazioni Web.

é incredibile quanti punti internet e internet café si trovino in Argentina e Bolivia. Ne esiste quasi uno ogni quadra, però, alle sette di sera é impossibile trovare una macchina libera poiché i ragazzini le assediano per chattare e videogiocare. Il costo? In argentina un peso all'ora. Col cambio circa 4/1 significa seicento vecchie lire più o meno.

Salgo in camera e ispeziono il bagno. La sicurezza é del tutto trascurata. In Italia fioccherebbero multe salate e magari si finirebbe in galera. Questo é passabile, ma in altri luoghi i cavi elettrici passano liberamente dappertutto e rimanerci secchi é da porre in conto.

Dopo un'ora di inutili tentativi non riesco ad addormentarmi: la mia zucca sta ancora curvando e derapando e mi muovo nel letto come se fossi in moto anche se ero in auto. Temo di cadere dal letto ad ogni curva, quindi scendo nella hall e mi metto al computer ad ascoltare in cuffia i CD comprati al mercato di Yacuiba.

Finalmente arriva l'ora di colazione e mi ristabilisco. é "normale" ormai che io dorma più o meno cinque-sei ore ogni due giorni. Ciononostante marcio come un treno, come il Paris-Lion, anzi, mi sento proprio un leone. Scannerizzo la cartina della città e la stampo in tre copie per poterci scarabocchiare sopra. Vado in piazza e oriento la mappa. Adesso sono pronto ad esplorare questa città che viene definita:

la succursale del cielo,

oppure:

l'ultimo giardino dell'Eden.

Credetemi: é vero. Fiori!!!!! fiori e fiori, in particolare molte rose mi attendono. Le piazze europee, di origine medievale, sono aride e la loro bellezza sta nella pietra. Qui al Tropico del Capricorno la bellezza sta nelle piante e nei fiori. La piazza é pulitissima e la mia sigaretta sta per bruciarmi le dita. Non posso buttarla, mi vergognerei come un ladro sorpreso sul fatto. Guardo davanti e di lato e non vedo cestini. Ora la cicca mi brucia veramente e si sente l'odore di carne allo spiedo. Cavolazzo! Il cestino e dietro di me! La spengo premendola sull'apposita placchetta metallica e la butto dentro ben sicuro d'averla spenta. Succhiandomi le dita entro al Bufalo, un bar che mi ispira. Incontro Juan Carlos, un massiccio cameriere, poco più di un ragazzo. Incredibilmente ho sempre a che fare con giganti in un paese dove la maggior parte sono tutti piccolini. Le ragazze sono tutte alte poco meno di un metro e mezzo e peseranno al più quaranta chili bagnati.

I tarijeños(27) , Juan Carlos compreso, si vantano delle loro donne che sono le uniche a contendere a quelle di Santa Cruz il titolo di Miss Bolivia. é vero, però sono scelte pure in vista di Miss Mondo e si eleggono quelle più vicine al modello di bellezza occidentale, ossia biondastre scosciate da un metro e settantacinque almeno. Io considero la bellezza femminile come la bontà del vino e delle altre cose locali. Intendo dire: come all'estero non mangio spaghetti, altrettanto cerco di entrare nella mentalità dei miei ospiti apprezzando i canoni locali di bellezza muliebre. Le ragazze che servono al bar assieme a Carlos ne sono un modello e mi incantano coi loro capelli corvini, fini e lisci, coi loro occhi leggermente a mandorla confermanti il passaggio dello stretto di Bering dei loro avi 4.000 anni addietro. Già ho detto che sono piccoline dall'eterna aria di bambine e i loro seni appena accennati confortano l'equivoco. Me ne prenderei una in braccio! e poi parlano un castigliano dolce e corretto da incantarmi.

Ma cosa vedo! La macchina express. Finalmente un caffé macinato, vero e non più il nescafé.

Karina, una bellezza mozzafiato del tipo "occidentale" come pocanzi specificato, entra con un americano, riconoscibile per tale dal suo accento bello largo. Io ancora non so che lei si chiama così, ma so che la conoscerò e me lo dirà. La ragazza fa da interprete allo yanqui(28), un ingegnere minerario in trasferta. Forse é una di quelle pazienti figliole che si noleggiano dalle agenzie perché ti accompagnino: una hostess di terra, tanto per dirne una. Mi chiedo se gliela da o darà. Mah! speriamo di sì, tanto io non sono geloso.

Con faccia di bronzo entro in conversazione chiedendo a Karina di domandare al mister, da straniero a straniero, se la pensa come me sulla bellezza di Tarija. Prima che mi giunga la traduzione già capisco che é d'accordo sul definirla the best of Bolivia. Esagero aggiungendo che secondo me é pure la best del Sudamerica e sono immediatamente punito: Karina é originaria di Santa Cruz e finge di risentirsi. Segue un'elenco di città latino americane che ci hanno colpito. Mi dispiace declassare Valparaiso, Curitiba e Salta(29), fin'ora prime nella mia classifica, ma sono fatto così: l'ultima che vedo é sempre la più bella.

Lascio in pace i due e domando sottovoce a Carlos se conosce la tipa. Mi strizza l'occhio. Ok. dopo, dopo. I due se ne vanno e il mio complice conferma quello quanto dubitavo: quella spenna i turisti ricconi, meglio perderla che trovarla, del resto non é una bellezza tipica, mi ripeto come la famosa volpe sotto all'alto filare dell'uva.

La tipica chapaca(30) la incontrerò al ritorno all'hotel. Purtroppo é sposatissima e non posso azzardarmi in proposte più o meno indecenti. La ragazza é la recezionista del turno di giorno. Molto gentile e chiacchierona mi fornirà un mare di notizie utili ancor più di Paóla in Yacuiba.

Domenica pomeriggio in Tarija


Tarija mi incanta però allo stesso tempo un po' mi annoio in questo ruolo di turista classico: museo, chiese, parchi. Fotografo alla giapponese tutto quello che vedo.

Fuori di un ristorante vedo una bambina piccola nel suo girello legato ad un palo per non perderla. La fotografo: sto uscendo dalla mentalità nipponica souveniristica-pesaggistica-monumental per entrare in quella dei famosi reporter di "situazioni". Ad ogni modo, tecnicamente parlando valgo poco come fotografo, mi faccio quasi schifo e finalmente ripongo la macchina. In compenso oggi intendo mangiare e bere come un porco: é il giorno dei peccati di gola.

Vengo a sapere che nei dintorni si producono vini eccezionali. Come non provarli? Tra i vari vitigni, prevalentemente d'origine francese come in Argentina, Uruguay e Cile, qui piantano pure la Barbera e a farlo é un produttore di origine mezzo tedesca, un certo Don Julio Kohlberg Chavarría.

I vigneti di questo benemerito signore si trovano a una altitudine di 1950 metri sul livello del mare. Pare sia un record. Vigliacca miseria, non mi ricordo quanto é alto Morgeux in valle d'Aosta, posto dove cresce un sublime vitigno di bianco, però se ben noi fossimo più alti di qualche metro me lo terrei nel gozzo, pur di non deludere queste amabili persone.

Ma ora ditemi voi: come potrei non provare una bottiglia di Barbera? Ordino il Surubì, un pesce di fiume assai saporoso normalmente servito a tranci. Pensavo fosse esclusivo del Paranà e sono contentissimo di ritrovarlo pure qui. Quanto al vino, considero che se il rosso va bene col tonno, accompagnerà altrettanto degnamente il Surubì. Confermo la Barbera del 2001. Deliziosa! Non mi pento. Ad ogni modo a pranzo mi tengo leggero e Juan Carlos mi mette da parte per la cena la mezza bottiglia rimasta imbevuta. La sera mangio il matahambre, tipicamente argentino, ma che trovo anche qui nella lista del Bufalo. Altra carne di specialità locale non mi ispira. La rimanenza della Barbera del pranzo non mi basta e mi scolo un'altra bottigliuzza di un'ottima varietà locale di cui adesso non ricordo il nome.

Leggermente brillo (quando giro da solo non mi posso permettere sbronze degne di tal nome) vado a dormire tranquillo ignorando le attrattive, del resto scarse, di Tarija by night.

Dormo, o come dormo! una decina di ore belle e buone. Mi serviranno, perché nei prossimi tre giorni non prevedo di dedicare più di sei orette al sonno.

Lunedì in Tarija


Mi sveglio un po' intontito e provo a darmi una scossa giocando coi rubinetti della doccia. Decisamente ho poco del finlandese e alla prima spruzzata gelata riapro la calda e mi scotto. Basta gingillarsi!, punto sul tiepido prolungato e faccio bene. Pare che ogni minuto mi alleggerisca di un anno di età. Mi fermo a vent'anni, non si deve mai esagerare. Ora sono ben carburato e pronto a uscire per una escursione calzando i grossi scarponi da montagna che da giorni mi pesano nel borsone.

L'obiettivo é Tomatitos, un sito delizioso con tanto di laghetto e cascata, oggi sgombro di turisti e quasi tutto mio. Percorro un cinque km in taxi e poi scendo per continuare a piedi. Qualcuno fa il bagno nel lago. A me attira la cascata. Arrampico su difficoltà di primo e secondo grado a fianco del salto d'acqua cercando di tenermi sull'asciutto. Cavolo: i trenta e passa anni che credevo d'aver perso sotto alla doccia me li ritrovo qui in ogni anfratto di roccia. Per fortuna ce la faccio ad arrivare in cima (60 metri di dislivello) prima di andare in deficit e ritrovarmi più vecchio di quanto effettivamente sia. Scendere da dove sono salito non mi aggrada. Su queste difficoltà minime non so mai se pormi faccia a valle o più prudentemente faccia alla parete. Nel dubbio faccio un ampio giro, del resto l'obiettivo era camminare e non scalare.

Gira e rigira in mezzo ad una natura incantevole, all'una mi trovo nuovamente nei pressi del laghetto e entro in un ristorantino. Senza chiederglielo mi servono la chicha de camote. Scoprirò, e non l'avrei mai detto, che si fa con le patate. Non é alcolica come mi aspettavo, anzi, é molto dissetante. Il mozo mi spiega che quella alcoliche che io cerco hanno molti nomi, ma devono sempre essere a base di mais e tra queste dovrebbe piacermi la cochabambina.

Indicando il piccolo lago chiedo se hanno pesce. Il tipo si schernisce. Il pesce qui é di dimensioni piccoline e non osa offrirmelo. Mi avventuro in una disquisizione dimensione-qualità e lo convinco a cucinarmi dei pescetti destinati al pranzo suo e della famigliola del localino. Non l'avessi mai fatto! sono squisiti, ma zeppi di spine tanto da rendere la masticazione una vera tortura. Sopravvivo sorridendo, non solo alle spine, ma pure al vino che quando lo trangugio mi fa strabuzzare gli occhi. Mi pare di ricordare che Carlos mi aveva avvertito di questo fenomeno provocato da certi vinacci locali.

Complessivamente il pasto é ottimo e me ne vado soddisfatto, sebbene sputando spine ogni tanto. Adesso mi dedico ai trascorsi storici della città. Già ho comprato un paio di libri, entrambi più seri di quanto io non sia, ovvero a rischio di non lettura una volta tornato a casa. Bene, seguitemi mentre ritorno a piedi in città. Passo su di un ponte che valica il rio Guadalquivir, un nome un po' impegnativo per un corso d'acqua di dimensioni abbastanza modeste, ma il parco che mi aspetta é, storicamente parlando, di portata enorme per l'America Latina. Qui, nel 1817, avvenne una delle decisive battaglie che condusse alla cacciata degli spagnoli per opera dei rivoluzionari criollos(31) . Non solo, ma ben sette anni innanzi, nel 1810, già i Tariqueños avevano dichiarato l'indipendenza della loro provincia, primi fra tutti in America Latina. In seguito, sebbene culturalmente più vicini agli argentini, (conservano a tutt'oggi l'uso del vos in luogo del tú(32)) , i tariqueños, optarono per unirsi alla repubblica boliviana. Forse la scelta fu forzosa, d'ogni modo nel 1838 si combatté l'ultima guerra fratricida contro la federazione delle province argentine, mentre quelle invece continuerebbero(33) a massacrarsi tra loro fino al 1890 circa, quando l'egemonia di Buenos Aires si fece schiacciante.





Lunedì sera e notte del martedì, da Tarija ad Aguas Blancas.


Si avvicina l'ora della partenza. Alla stazione dei bus compro un biglietto comprensivo della parte Argentina del viaggio. Viaggerò con la compagnia Boliviana Narvaez fino a Bermejo e, passato il confine, con la Veloz del Norte da Aguas Blancas a Jujuy.

La strada che affrontiamo non é molto dissimile da quella della sera precedente, però la stanno allargando e in alcuni tratti asfaltando. Questa via pare che diventerà la principale arteria di scambio commerciale tra le due nazioni. Adesso, proprio i lavori in corso, impongono continue deviazioni e comportano sobbalzi da staccarti lo stomaco. Sul bus mancano soltanto le classiche capre, ma in compenso ci sono dozzine di bambini piccoli che frignano ininterrottamente dandosi il cambio. Accanto a me una grassa signora occupa pure un buon trenta per cento del mio sedile: sarà dura, però soltanto per sei ore. Ancora ricordo la tirata di 21 ore tra Ezeiza e Salta, seduto al posto 11, quello vicino alla porta e dove una barriera ti impedisce di allungare le gambe.

Verso l'una dopo mezzanotte scendiamo ad un bar per sgranchirci e rifocillarci. Dispongo di venti minuti appena. Qui conosco la persona che tutti i viaggiatori vorrebbero incontrare: parla adagio, chiaro ed é una ricca fonte di informazioni.

Per prima cosa mi disincanta: nessun impiegato della Veloz verrà a prendermi a Bermejo. Mi conferma, come spiega la Lonely Planet, che esiste un servizio di barche per scendere e attraversare il fiume, ma sembra non funzioni durante la notte fonda. Cavolazzo, mi girano le cosiddette! non posso aspettare ben dopo l'alba poiché la Veloz parte alle sei e non sono sicuro di fare a tempo. Beh, forse é meglio così perché me le gioco che a bordo delle lance non ci sono dei salvagente, molto importanti in caso di affondamento per un pessimo nuotatore come me.

Quando a Rosario visitai la sua isola mi assicurai per prima cosa dell'esistenza di questa protezione e la indossai per prova sotto l'occhio divertito dei gitanti.

Il tipo mi suggerisce di prendere un taxi e farmi portare alla frontiera con questo mezzo. Giunti a Bermejo ci salutiamo. Vaca boya! Sono l'unico passeggero che passerà il confine. Se ci fosse qualcun altro del posto che attraversa potrei seguirlo senza spremermi le meningi sul da farsi e mi sentirei pure più tranquillo poiché i tassisti hanno un'aria patibolare. Il buio é pesto poiché la luna piena é nascosta dalla coltre di nubi che invade tutto il cielo. Ci mancherebbe anche la pioggia!

Prima di partire, pur di non sorbirmi un nescafé, ripiego su di un mate(34). Lo servono come il the, in bustina, cosa che farebbe inorridire un argentino verace. La ragazza del bar é molto disponibile (nel senso delle informazioni, non equivochiamo, please) e mi avverte pure di non dare più di cinque Bolivianos al tassista quando me chiederà dieci. La saluto e parto col brutto ceffo: nuovamente stringo le monete nel pugno. Ci mettiamo a chiacchierare e subito lui mi chiede chi mi ha detto dei cinque Bolivianos. Certamente non vendo la ragazza e affermo che é scritto sulla mia guida. Questo ragazzo non mi sembra proprio un ex ingegnere e il suo amore per i libri, se mai ne ha avuto, sfuma di colpo. Guarda la mia bibbia e scuote la testa. Ora mi tranquillizzo, almeno fino a quando si esce dal paese e lui comincia a pestare sull'acceleratore. Come molti tassisti al mondo viaggia sempre in presa diretta e non scala di marcia nelle curve strette. Ma proprio a me toccano tutti gli Ayrton Senna del Sudamerica?

Fortunatamente la frontiera é aperta: ne avevo sentito di tutti i colori e se fosse stata chiusa fino alle sette, come alcuni paventavano, avrei certo perso la coincidenza col Veloz Del Norte.

Ieri vi spiegai che cosa é una estafa. Adesso scoprirete cos'é una mordida, letteralmente una "morsicatura", o meglio: un'estorsione.

Come dice la mia guida, i doganieri non hanno nessun diritto a chiedervi soldi per apporre il bollo di uscita sul passaporto. Ebbene, il furbacchione di turno si mette amichevolmente a chiacchierare come già avevo sperimentato con i ragazzi della dogana Argentina. Lo tengo d'occhio e questo il bollo lo appiccica. Penso di levare l'incomodo e faccio per ritirare il documento quando mi chiede dieci bolivianos. Cavolo no! Non é la cifra a indispormi, ridicola per me, (per la prima volta giro il mondo con una valuta fortissima quale l'euro in questo periodo), é la violenza del fatto, ben lontana dalla finezza della truffa dell'ingresso a Bolivia. Sono un tipo contemporaneamente spericolato e prudente, però considero di trovarmi solo, che questo sacco di merda é un pubblico ufficiale e la sua parola vale senz'altro più della mia, che si potrebbe inventare chissà cosa e magari sbattermi dentro o, peggio ancora, buttarmi nel fiume. Va bene, brutto stronzo tieni la grana! Merdazza! ho appena dato gli ultimi bolivianos di mancia alla chiquita del bar!!!! Porca puzzola! Gli devo chiedere se accetta pesos argentini! Certo che accetta il fottuto, così ci guadagna ancora qualcosa poiché 10 pesos fa di più di 10 Bolivianos. Però una soddisfazione me la tolgo:

«Non é che lei mi rilascia una ricevuta, vero?

Pronuncio la frase allegandole una risata la più sardonico-strafottente che mi sia mai riuscita nella mia vita. Posso affermarlo con sicurezza poiché mi vedo riflesso nei vetri della finestra.

L'amico, si fa per dire, comprende bene cosa insinuo e adesso il suo parlare si fa confuso e non riesco a capirci più niente, d'ogni modo la ricevuta posso sognarmela. Forse per timore che io mi rivolga ad un ufficiale, che comunque non vedo nei paraggi, mi accompagna fino all'inizio del ponte sul fiume Bermejo. Non lo saluto e mi incammino. Un centinaio di metri e sono alla postazione argentina. Una donna sola, neppure in divisa, mi controlla il passaporto e ficca il naso tra le mie cose nel borsone. Le chiedo come cavolo posso fare a recarmi ad Aguas Blancas. Lei mi suggerisce di aspettare al di là della sbarra fino a che qualche taxi arrivi portando qualche pirlone come me intenzionato a attraversare la frontiera in senso inverso. Veramente non mi da del pirla, anzi é quasi gentile, ma io so d'esserlo per imbarcarmi in simili avventure nella notte.

Aspetterò ben un'ora prima di essere raccolto da un'auto pubblica. (l'alternativa sono cinque km a piedi). Un'ora a camminare avanti e indietro sotto la minaccia di un temporale tropicale in compagnia di due cani randagi ai quali offro i resti di un panino.

Loro se ne fottono delle frontiere.


Fine


Marzo 2004 -

'); document.write('Bruno Giuliano' + '.'); // -->

, alias Julian BoliBar

(1) hincha pelotas = rompiballe

(2) cara pálida = viso pallido

(3) Bolivianos =>1 euro = circa 10 bolivianos

(4) estafistas = truffatori (da estafa = truffa, inganno)

(5) por supuesto = ovviamente, naturalmente

(6) Encomiendas = Chi abbia viaggiato da queste parti coi bus avrà notato che sulle biglietterie sta scritto: Servicio de Pasajeros y Encomiendas. Le encomiendas sono pacchi che gente non viaggiante spedisce servendosi del bus come di un corriere.

(7) mormoni = parlerò diffusamente un altro momento di questioni religiose locali e di un tentativo di convertire il sottoscritto, salvandolo dal demone dell'alcool [fallito, por supuesto].

(8) campera = giacca in cotone, leggera e con molte tasche dalla parvenza militare.

(9) Salta = bellissima città d'origine coloniale, capitale del folclore del nord ovest dell'Arentina e base delle mie scorribande.

(10) Ferrocarriles = Ferrovie. Parlerò di questo problema in futuro usando le parole del giornalista scrittore argentino Tomás Eloy Martínez e dell'altrettanto scrittrice e giornalista, però spagnola, Marita Torres.

(11) pudore = Inoltre siamo ad un posto di frontiera e i militari potrebbero farmi grane, almeno nell'est europeo ante caduta del muro era così, sebbene qui non sappia come sia la faccenda.

(12) Kiosko = negozietto improvvisato, generalmente ubicato in un angolo di una quadra. Ci si trova di tutto, dalle sigarette ai preservativi, dai fazzoletti di carta al sacchetto di foglie di coca da masticare. Negli ultimi anni, coonseguenza del crollo dell'economia famigliare della classe media sono fioriti come i funghi. Si parla ora di impedire che vendano birra e liquori ai minorenni per limitare l'incremento degli alcolisti tra le nuove generazioni.

(13) villas miserias = equivalente argentino di bidonville o favelas.

(14) I doganieri sono "distratti" dalla "mordida" , ovvero la tangente. La "coima", ovvero la corruzione, qui é una istituzione.

(15) El comercio de las hormigas = il commercio delle formiche, anche detto la via delle formiche.

(16) el asunto = l'affare.

(17) sola = bidone in romanesco

(18) non succhia = verbo mamar = succhiare latte materno, quindi: il bimbo che non piange non richiama l'attenzione della mamma e quindi non poppa al seno materno.

(19) caldo gatto = se in inverno fa un freddo cane allora mi pare logico in estate faccia ...

(20) Madonna Susina = la protettrice degli stitici.

(21) soltero = celibe

(22) calle = via cittadina, ruta = strada extraurbana

(23) mozo = il cameriere

(24) ñandú = uccello simile a uno struzzo, ma molto più piccolo, tipico delle pampas.

(25) quadra = complesso di case di cento metri per cento tipico delle città di origine spagnola.

(26) entregado = consegnato, come una merce hihi!

(27) tarijeños = abitanti di Tarija

(28) yanqui = Yankee

(29) Valparaiso, Curitiba e Salta = ognuna delle tre città é coprotagonista di miei racconti: Valpo, Nossa Senhora da Luz dos Pinhais de Curitiba e Un Angelo a Salta

(30) chapaca = abitante della regione di Tarija

(31) criollos = discendenti puri di spagnoli, ma nati in america

(32) vos – tú = in tutto il bacino del Plata si usa il vos che non é il nostro voi, bensì si usa come il nostro tu. Il voi non esiste e si usa usted, ossia lei.

(33) continuerebbero = avrei dovuto scrivere "avrebbero continuato", ma in spagnolo si usa molto poco il condizionale passato.

(34) mate = infuso di foglie e rametti triturati, tipico della zona del plata. Meriterebbe un approfondimento.


Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.