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Mercoledì, 28 Dicembre 2016

Viaggio nella Cuba Africana

 

Ho voluto dare un significato didattico e spirituale a questo viaggio alla scoperta della Santeria cubana, la religione che gli schiavi africani di etnia Yoruba hanno perpetuato e tramandato a Cuba fino ai giorni nostri. La sua complessità non può essere spiegata in questo breve resoconto di viaggio  ma mi preme dire che si tratta di una forma di resistenza culturale alla visione occidentale del mondo che con la colonizzazione ha imposto lingua, cultura e religione in un processo di omologazione che ha provato ad appiattire le diversità. Un viaggio alla scoperta della Cuba africana.

ARTICOLO DI

beppemar

I viaggi più belli sono quelli inaspettati, che non riesci a programmare, senza itinerari predefiniti e tappe forzate. Spesso abbiamo la cattiva abitudine di mettere le croci sopra i posti visitati e per dimostrate a noi stessi e agli altri che ci siamo stati scattiamo foto spesso banali che puntalmente diffondiamo, una volta su  album plastificati ora sui social che scatenano gli invidiosi e annioano gli indifferenti. A Cuba nonostante sia una meta in voga tra nostalgici della rivoluzione, turisti all inclusive e puttanieri globetrotter non ero mai riuscito ad andarci. L’ho sempre considerata un’isola troppo turistica e  avrei voluto girarla con un cubano che non mai trovato e che mi permettesse in poco tempo di approfondire la realtà di un paese culturalmente e politicamente complesso. Poi mi é cascata addosso senza volerlo, in un deprimente pomeriggio di nebbia milanese mia madre si é presentata a casa dicendomi che aveva voglia di evadere da una pensione noiosa e dal freddo pungente. Con il benestare di mia moglie incinta di cinque mesi (é la tua ultima occasione.....) ho comprato il volo per l’Avana e mi sono fiondato in biblioteca per cercare libri di storia, cultura e letteratura cubana per addormentarmi a notte fonda su un documentario scaricato da youtube. Poche sere dopo mi trovavo a l’Avana che ci accoglieva con un violento acquazzone tropicale che, per chi non ha mai vissuto nella regione, inquieta e emoziona. Avevamo prenotato qualche giorno prima su airbnb che é attivo pure a Cuba, le case  si sono moltiplicate dopo le timide aperture di Raul Castro al settore privato e internet é in espansione, addirittura esiste un app che segnala e recensisce i migliori paladares (ristoranti a gestione familiare). C’é da dire che internet è ancora molto lento e molto caro, costa due euro all’ora che rappresenta tra il 10% e il 20% di un salario statale e di fatto se lo può permettere solo chi riceve le rimesse dall’estero o chi lavora con il turismo internazionale e ha accesso alla moneta forte, i pesos convertibles. Sarebbe inevitabile aprire il capitolo sulla doppia moneta e la doppia economia ma la complessità dell’argomento richiederebbe un studio economico più scientifico di un racconto di viaggio. Per internet c’é da dire che é piuttosto libero, alcuni siti dell’opposizione sono accessibili altri si aprono a fatica e saltano ma pensavo che la censura fosse più aggressiva. L’accesso è possibile solo in alcuni punti della città (hotel, parchi, piazze) con carte ricaricabili o da rivenditori di wifi illegali che offrono una connessione a tariffe più basse anche se è scadente. Mi spiegavano che per l’embargo Cuba non é connessa al sistema mondiale e internet passa attraverso il satellite, per chi ne vuole sapere di più e meglio chiedere a un esperto. L’aspetto divertente é che ci ritrova in piazza uno accanto all’altro ascoltando conversazioni e annedoti di estranei sui quali si potrebbe scrivere un trattato di sociologia sulla cubanità. Resta il fatto che Cuba é il paese che ha uno dei tassi di connettività più bassi al mondo e la maggior parte della popolazione non sa neanche cos’é. Per me stare due settimane senza telefonino, internet, televisione e pubblicità è stata una liberazione. Ho anche riscoperto il telefono pubblico che qualche volta avrei volentieri preso a testate perché ci vogliono pesos speciali (con la stella), prefissi in entrata diversi tra cellulari e fisso, codici di attivazione vari ma quando si impara il meccanismo tutto diventa più semplice e stare in coda al telefono permette di conoscere i cubani e inevitabilmente Cuba. Altri incontri ravvicinati avvengono sui taxi collettivi, le famose macchine americane degli anni ’50 o Lada dell’Unione Sovietica che attraversano e inquinano (sic) il paese, i bus pubblici che come a Santo Domingo chiamano guagua e le onnipresenti code dalle farmacie statali a quando é pronto il pane nel quartiere e tutti corrono con la famosa “libreta” e che ricordano documentari in bianco e nero dell’Europa dell’Est.  Per facilitare la coda e evitare inutili litigi i cubani hanno inventato un sistema geniale. Si chiede chi è l’ultimo e non si perde di vista, nel frattempo di possono fare altre cose se la coda è molto lunga o semplicemente rilassarsi senza dover fare a gomitate per far rispettare il turno.

Facciamo un passo indietro al mio arrivo. La sera stessa del mio arrivo ho fatto un giro sul Malecon con le onde del mare in tempesta che invadevano la carreggiata e la mattina mi sono svegliato all’alba sulle note del Grupo Niche, uno dei più grandi della salsa colombiana e il telegiornale che rendeva omaggio a Fidel Castro. Con l’Avana è stato amore a prima vista, una città tropicale afosa e appiccicosa, contradditoria e appassionata, meticcia e orgogliosa, a ritmi lenti e musica diffusa. L’Habana Vieja è un gioiello coloniale con piazze, musei e palazzi d’epoca poi ci sono gli spazi aperti del Capitolio, la piazza della rivoluzione, il paseo del Prado ma la vitalità e l’energia della città è nei quartieri popolari del centro dove la strada é vissuta come la continuità del soggiorno di casa e sembra di assistere a una pièce di teatro in cui una donna esce di casa in pigiama per comprare i biscotti dal venditore ambulante, un gruppo di ragazzi giocano a domino a petto nudo e una ragazzina improvvisa un passo di reaggeton mentre un anziano fuma un sigaro e legge il Granma, il quotidiano del partito comunista.  Poi c’è il Malecon che di giorno sotto il sole è frequentato da qualche turista con la crema solare e dal tramonto all’alba si riempe di cubani che si ritrovano per cantare, conoscersi e innamorarsi con l’immancabile rhum. La domenica mattina siamo stati al callejon de Hamel dove si riuniscono seguaci della santeria e turisti per un rituale con canti, balli e preghiere agli orishas, i santi della religione afrocubana. Il Comandante, molto amato dalla comunità nera perchè ne ha difeso i diritti e lottato contro la discriminazione, é stato commemorato con una speciale canzone “Yo soy hija de Fidel”. L’evento é molto suggestivo, si balla a ritmi di percussioni accellerate e i gruppi interpretano le divinità orishas strabuzzando gli occhi in modo impressionante mentre tra il pubblico si accendono sigari e le bottiglie di rhum passano di mano in mano sotto il sole cocente. Nonostante il pubblico straniero farebbe pensare a un folklorismo forzato non lo é affatto e per chi si trova a l’Avana la domenica mattina è un must.

Prima di partire per Cuba ho voluto dare un significato didattico e spirituale a questo viaggio alla scoperta della Santeria, la religione che gli schiavi africani di etnia Yoruba hanno perpetuato e tramandato a Cuba fino ai giorni nostri. La sua complessità non può essere spiegata in questo breve resoconto di viaggio e rimando per chi fosse interessato agli autorevoli studi di Natalia Bolivar e Fernando Ortiz ma mi preme dire che si tratta di una forma di resistenza culturale alla visione occidentale del mondo che con la colonizzazione ha imposto lingua, cultura e religione in un processo di omologazione che ha provato ad appiattire le diversità e minimizzare le categorie interpretative della realtà. Il callejon di Hamel é stata la prima tappa di conoscenza di questo fenomeno storico-culturale che avevo avuto modo di avvicinare con il vudù ad Haiti e le popolazioni garifuna alla Ceiba in Honduras. Nel pomeriggio siamo stati al museo dell’Associazione dei Yoruba, il gruppo etnico dell’attuale Nigeria che ha rappresentato il contingente più importante degli schiavi africani a Cuba. Per sottrarsi alla repressione dei padroni spagnoli e accontentare le gerarchie cattoliche nel processo di conversione forzata hanno inteligentemente reinterpretato i santi cattolici con le loro divinità. Perciò mentre si inchinavano a San Lazzaro pregavano a  Babalu Aye, Santa Barbara  era Chango, la Virgen de las mercedes era Obatala e via dicendo. Da qui nasce il sincretismo afrocubano che meriterebbe un dottorato in antropologia.

I giorni successivi li abbiamo passati a Vinales, la regione che produce il miglior tabacco al mondo e un giorno a cavallo e l’altro in bici abbiamo visitato una cooperativa di produttori di sigari, partecipato a una degustazione di rhum locali e visitato una Finca agroecologica per terminare con un abbuffata di aragoste in una spiaggia di mangrovie, playa Jutias. La sera gruppi di stranieri che qui chiamano yuma improvvisavano imbarazzanti passi di salsa alla Casa della musica derisi dai cubani che non perdevano l’occasione per stringere la cinta della turista di turno con la speranza di un visto o almeno di una notte in sua compagnia. Il paesino di provincia è molto curato con un centro accogliente e le case colorate, la monetà è il peso convertible e si respira un’aria di benessere. Nei paesini vicini che non sono stati toccati dal boom del turismo domina il peso cubano, il razionamento e le case decrepite. Siamo tornati in capitale in tempo per la processione di San Lazzaro/Babalu Aye che ogni anno si realizza il 17 dicembre al Rincon, un quartiere periferico dell’Avana. Migliaia di fedeli cattolici e seguaci della santeria vi partecipano per compiere una promessa al protettore dei malati, molti a piedi nudi, altri in ginocchio e alcuni trascinandosi pietre  legate alle caviglie. In chiesa l’esperienza non è consigliata alla persone sensibili, all’interno ci sono molti malati che chiedono la grazia circondati da candele e si respira un forte odore a incenso e sigari che vengono accessi e poi donati al santo in un misticismo che non può lasciare indifferenti nemmeno ai più scettici esclusa mia madre atea convinta che dopo una visita frettolosa mi ha proposto di andare a mangiare il lechon, un maialino che viene arrostito intero durante le feste. La sera stessa passeggiando sul Malecon ho conosciuto Ymel, gli ho chiesto informazioni su un locale dove si esibiva un gruppo di musica dal vivo e abbiamo finito per fare serata insieme attraversando la città a piedi con un planchado tra le mani, un rhum scadente molto popolare tra i cubani, a parlare di cultura, musica e politica. Dopo un paio d’ore mi ha confessato di frequentare i circoli dell’opposizione e di essere sulla lista degli sbirri di Castro. Per lui il sistema ha fallito perché con lo stipendio statale il cubano non riesce a sopravvivere e alla fine del mese deve scegliere se comprarsi uno shampoo o bersi una birra con gli amici per ritrovarsi di nuovo senza un peso ma il vero dramma psicologico è vivere in un isola senza la possibilità di andarsene per cercare nuove prospettive o semplicemente viaggiare per conoscere altri paesi. A notte fonda ha iniziato a inveire contro il sistema politico e i Castro dicendomi che in qualsiasi momento avrebbero potuto arrestarci o farci bastonare da un cittadino fedele al regime. A quel punto la cosa migliore è stata separarci e andare a dormire. La sera dopo ci siamo rivisti in condizioni migliori  e siamo andati al Festival del Jazz, entrata 10 pesos per i cubani (40 centesimi) e 10 convertibles (10 euro) per i turisti. Mi sono messo nella coda dei cubani e la sicurezza mi ha chiesto di spostarmi, gli ho detto che ero di Marianao, un quartiere popolare dell’Avana e il tipo si é scusato dicendomi che avevo la faccia di italiano. Un pezzo di antologia nel mio repertorio di viaggi. Tornando a casa mi sono fermato davanti all’ambasciata americana con la bandiera a mezz’asta per la morte di Fidel, dopo aver provato ad ammazzarlo in ogni modo ora stanno a lutto, ipocrisia e opportunismo dello zio Sam.

Il giorno dopo siamo stati a Playa dell’Este, una spiaggia a una ventina di kilometri dal centro e dopo aver cercato inutilmente dell’acqua fresca in tre chioschi mi sono rassegnato e ho chiesto un cuba libre. Al ritorno alla fermata del bus ho assistito a un dibattito teorico sul marxismo e su come adattare il modello alla modernità, surreale. Quando finalmente é arrivato il bus mi sono reso conto di non avere pesos cubani e uno dei due ha pagato per me, se per pena o internazionalismo non lo sapremo mai, gracias companeros. Aspettando il tramonto di fronte al Museo della rivoluzione mi sono anche guadagnato un pacchetto di noccioline da una venditrice ambulante rigorosamente con licenza municipale. Ero seduto con mia madre su una panchina e la signora piuttosto anziana si é avvicinata dicendomi che vendeva il mani solo ai cubani ma neanche un pacchettino agli stranieri, le ho consigliato di dare assaggi gratuiti e di utilizzare involucri trasparenti per far vedere il prodotto. La mia consulenza di marketing è stata apprezzata e mi ha saldato con un pacchetto di noccioline.

Il giorno dopo direzione Matanzas, la Atene di Cuba, con tappa a Varadero in una spiaggia spettacolare con resort megagalattici, metà del turismo internazionale all inclusive. Nella città di Matanzas,caratterizata da una forte presenza della comunità afrocubana e della santeria, abbiamo visitato un centro culturale e conosciuto il percussionista del gruppo folklorico afrocuba che ci ha organizzato la visita di un cabildo, un centro spirituale della santeria. Siamo stati accolti da un santero che vive in questa casa-tempio che apparteneva alla bisnonna, una delle prime schiave liberate di Matanzas e che aveva tramandato rituali, musiche e preghiere yoruba ai figli e nipoti. Abbiamo passato con lui un paio d’ore e ci ha introdotto alla Santeria di cui abbiamo già parlato, al Palomonte relazionata al culto degli antenati  e all’Abakua, una società segreta di soli uomini che é riconosciutà dalle autorità cubane. Il cabildo era pieno di santi e simbologia religiosa (quadri, ornamenti, statue, foto) e si respirava una spiritualità misteriosa. Nel pomeriggio abbiamo visitato una fortezza da poco restaurata con fondi dell’Unesco che sta promovendo la rotta degli schiavi come memoria storica tra l’Africa e i Caraibi in cui é stato allestito un Museo sulla schiavismo e sulla cultura afrocubana. Nell’ultimo giorno all’Avana abbiamo visitato la Virgen de Regla per i cattolici - Yemayà per la santeria, una madonna nera simbolo del sincretismo cubano e il museo municipale che ha dedicato uno spazio importante alle religioni in un quartiere simbolo dell’afrocubanità in capitale.

Di ritorno in una piazza del centro ho conosciuto una coppia di Panama  in viaggio a Cuba per un’operazione agli occhi. Come è possibile che in una delle città più ricche del continente americano che con in proventi del Canale potrebbe garantire una qualità della vita di altissimo livello a suoi cittadini li costringe a farli curare in un paese socialista al collasso economico? Cuba non smette di sorprendere, è uno schiaffo e una carezza, che stordisce e si perdona.

Poco prima di partire mi sono comprato una bottiglia di Havana Club e sono andato sul Malecon. Ho buttato giù due sorsi, ne ho versato un po’ tra le onde per Yemayà divinitàdel mare con la speranza un giorno di tornare a l’Avana con le donne della mia vita, Camilla e Patush,e la mezza bottiglia che è rimasta l’ho data a un musicista di passaggio che mi ha cantato Ojalà di Silvio Rodriguez.

Hasta pronto Cuba querida!

 

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