RACCONTO
racconto icon
Martedì, 27 Marzo 2018

Un Caffè a Tehran

 

PROLOGO

Angela non amava le moto e non amava viaggiare, così nel 2011 decisi di partire, in solitaria, per un giro nel Kurdistan Turco.

La sera prima della partenza, navigando su questo forum, incontrai virtualmente due motociclisti già in viaggio verso Istanbul e li invitai a contattarmi per un caffè.

La sera successiva giunto a Istanbul, con mia grande sorpresa Aldo e Giovanni vennero a trovarmi in albergo; ci fù subito grande sintonia e così viaggiammo per oltre 10 giorni insieme perdendoci, lontano, fino al confine con la Siria e alle pendici monte Ararat; a Dogubejazit ci salutammo.

Il segnale che indicava l’Iran era proprio li, sotto il Monte della Bibbia, eravamo a soli 30 km dalla dogana.

Con una foto catturai quel momento immortalando la mia moto e il  cartello stradale immaginando l’attimo in cui avrei finalmente deviato in quella direzione e superato il “confine”, l’Iran sembrava già chiamarmi.

Rientrato a casa, cominciai a leggere libri di autori iraniani e sull’ Iran, amplificando quel desiderio di affacciarmi, sporgermi, vedere cosa ci fosse al di la di quella barriera ma anche, semplicemente di raggiungere Teheran per sorseggiare un caffè.

Presto capii che quella dogana era diversa da tutte le altre; troppa burocrazia!

Così, per anni ho contemplato quella foto cercando di trovare il coraggio di superare i miei schemi mentali, la mia ostilità alla preparazione di tutte quelle scartoffie.

Nel mentre tante cose sono cambiate, Angela ora viaggia con piacere e con la sua moto mi ha già accompagnato nei luoghi dei sogni d’infanzia, anche in africa, laggiù fino in Senegal sulle tracce della Parigi Dakar … rifletto ancora e poi, tutto si chiarisce … forse è arrivato il momento … sono pronto, siamo pronti.

ARTICOLO DI

kossovic

PROLOGO

Angela non amava le moto e non amava viaggiare, così nel 2011 decisi di partire, in solitaria, per un giro nel Kurdistan Turco.

La sera prima della partenza, navigando su questo forum, incontrai virtualmente due motociclisti già in viaggio verso Istanbul e li invitai a contattarmi per un caffè.

La sera successiva giunto a Istanbul, con mia grande sorpresa Aldo e Giovanni vennero a trovarmi in albergo; ci fù subito grande sintonia e così viaggiammo per oltre 10 giorni insieme perdendoci, lontano, fino al confine con la Siria e alle pendici monte Ararat; a Dogubejazit ci salutammo.

Il segnale che indicava l’Iran era proprio li, sotto il Monte della Bibbia, eravamo a soli 30 km dalla dogana.

Con una foto catturai quel momento immortalando la mia moto e il  cartello stradale immaginando l’attimo in cui avrei finalmente deviato in quella direzione e superato il “confine”, l’Iran sembrava già chiamarmi.

Rientrato a casa, cominciai a leggere libri di autori iraniani e sull’ Iran, amplificando quel desiderio di affacciarmi, sporgermi, vedere cosa ci fosse al di la di quella barriera ma anche, semplicemente di raggiungere Teheran per sorseggiare un caffè.

Presto capii che quella dogana era diversa da tutte le altre; troppa burocrazia!

Così, per anni ho contemplato quella foto cercando di trovare il coraggio di superare i miei schemi mentali, la mia ostilità alla preparazione di tutte quelle scartoffie.

Nel mentre tante cose sono cambiate, Angela ora viaggia con piacere e con la sua moto mi ha già accompagnato nei luoghi dei sogni d’infanzia, anche in africa, laggiù fino in Senegal sulle tracce della Parigi Dakar … rifletto ancora e poi, tutto si chiarisce … forse è arrivato il momento … sono pronto, siamo pronti.


TURCHIA

Spesso, nel corso di questo viaggio ho pensato al mio compianto Papà.

Al mattino si svegliava sempre di buona ora, all’alba, prima di aprire l’ufficio faceva un giro in piazza, prendeva il caffè con le maestranze, girava per i cantieri, verso le 7.30 rientrava a casa.

Il suo arrivo era preceduto dall’odore del pane caldo appena sfornato che portava tutte le mattine e, per tutta la famiglia, era la sveglia; talvolta, era anche il momento in cui, frettolosamente, annunciava una “partenza”, la destinazione era sempre ignota, ma non importava, la sorpresa amplificava la gioia.

Anche oggi che Lui non c'è più ho conservato l’abitudine di partire all’improvviso e senza programmi; provo sempre una certa riluttanza ad organizzarmi, mi piace essere impulsivo e non voglio avere il tempo di riflettere su quello che sto facendo. Sono convinto che concentrandomi sui “programmi” non faccio altro che affollare la mente di pensieri, timori, paure. Il tempo libero lo dedico alla lettura di racconti di viaggio e guardo ripetutamente le foto degli altri viaggiatori, e così, mentre ancora sto elaborando, decidendo studiando,  ho la sensazione che non ci sia più niente da scoprire e l’euforia scema. Partendo in maniera “selvaggia”, al contrario, ogni evento appare propizio per una nuova scoperta e ogni cosa sembra più affascinante.

Questa volta, in ogni caso, ho dovuto cambiare impostazione e impegnare circa tre mesi per la gestione di inevitabili incombenze burocratiche, così, quando ho finito mi sento ormai svogliato, forse impaurito.

Ma è tutto pronto, ho già speso, ho tribolato, ho i visti di ingresso, l’assicurazione e i carnet de passage, Angela è entusiasta, non posso non partire anzi....perché aspettare altri tre giorni come “programmato”?? Partiamo stasera, mi dico!

È il 17 aprile del 2017, Angela non fa nessuna resistenza anzi, di corsa, nel pomeriggio prepara bagagli e moto; ci fiondiamo al porto di Brindisi, prendiamo al volo il primo traghetto utile e al mattino siamo già a Igoumenitsa. La sensazione di trovarci in terra straniera rischiara un po’ la mente, inaspettatamente l’entusiasmo comincia laconicamente a fare breccia tra le paure.

Iniziano così una serie di lunghe tappe di avvicinamento al confine iraniano, quasi mille km al giorno. Le coste della Grecia e poi la Turchia, con i suoi maestosi paesaggi, scorrono senza grande pathos; percepisco, comunque, quanto questa nazione sia cambiata, quanto la politica di Erdogan e i recenti avvenimenti l’abbiamo profondamente intaccata, di come sia cambiato l’animo e lo spirito della gente ma non ci penso più di tanto, nonostante i timori che ancora aleggiano, resta una gran voglia di arrivare a quella famigerata dogana.

Ci fermiamo in prossimità di Istambul a Tekirdag. La sera successiva, ad Amasia, incantevole cittadina impreziosita dall’illuminazione cangiante e multicolore che si riflette sul fiume e dal suono dei muezzin che rimbomba tra le montagne al calar della sera; infine, a Kars, la città dove il nobel Pamuk ha ambientato il Suo romanzo NEVE. Dopo soli tre giorni, l’Iran è lì a due passi, 300 km e si va in dogana.

 Al mattino ci svegliamo con calma, passeggiamo un po’ per la cittadina in cerca della pasticceria al centro del romanzo di Pamuk. Nell’area storica della città ne individuiamo una, sembra antica ed è bellissima, non riusciremo a capire se è quella cui il romanzo si è ispirato ma poco importa, ci basta l’illusione, facciamo colazione una capatina al castello, poi di corsa in moto verso AGRI.

Il paesaggio intorno a Kars è lunare. E' insolito e suggestivo, le rocce scure dell’altipiano contrastano con il candore della neve che ancora residua, i villaggi sono poveri, i tetti delle case sono coperti solo da lamiere, facciamo tante foto ma ci rendiamo contro che stiamo solo temporeggiando, siamo vittime di due forze uguali e contrarie da un lato l’Iran chiama dall’altro resta un residuo di timori e pensieri nefasti che ci rallenta.

 Poi l’Ararat, maestoso, ci inchioda. Ci fermiamo, facciamo ancora foto e mentre siamo assorti in contemplazione, da lontano scorgiamo un blindato, sembra puntare dritto verso di noi. Restiamo immobili, lo vediamo avvicinarsi si ferma a pochi metri, dal tetto spunta un mitra, d’istinto alziamo le mani in segno di resa, poi si sente un militare urlare  “No problem No problem” .

 

Che paura, ma forse possiamo abbassare le mani e rilassarci.

Escono i soldati, sono ben cinque persone, sono tutti in assetto di guerra e la loro vista resta poco rassicurante; il comandante parla inglese si avvicina e comincia a parlare del più e del meno; ci dice che sono li per contrastare i terroristi dell’ Isis - in realtà, scopriremo, che Erdogan li “usa” per reprimere le resistenze del popolo Curdo già piegato dalle sue politiche scellerate - alla vista di due “spasulati” in moto, nel nulla, si sono incuriositi e ci hanno raggiunti!

Era quella la scossa che ci serviva. Quell’incontro, la paura del blindato, la vista della armi da guerra, ci hanno spinto verso la dogana; veloci arriviamo a  Dogubejazit; come è diversa da otto anni fa, la ricordo molto viva piena di gente di mercati ma anche di puttane faccendieri e ragazzini impertinenti, ora è una cagna ferita, domata, una cittadina morta quasi nessuno in giro, strade semideserte carri armati ovunque e ceck point  apparentemente dismessi.

La attraversiamo rapidamente, si vedono tracce di guerra di spari di violenza che lasciano una gran tristezza nel cuore; in mezz’ora siamo al confine.

 

IRAN 

TABRIZ

La dogana è molto tranquilla e ordinata, non ce lo aspettavamo, tutti sono molto gentili, in molti si offrono di aiutarci gratuitamente. Si avvicina una “giuda”, non ne avevamo bisogno ma l’uomo ispira fiducia, decidiamo di approfittare e in circa quaranta minuti siamo fuori. Grazie alla nostra guida riusciamo anche fare un cambio molto favorevole; quando tutto è concluso ci salutiamo. Chiedo quanto devo per l’aiuto e l’uomo mi invita e dare quello che voglio e così, ormai rilassato, faccio confusione con il cambio e pago circa ottanta euro invece dei venti che mi ero proposto. Qualche ora dopo, presa confidenza col cambio capisco perché l’uomo continuava ad abbracciarmi mentre mi salutava calorosamente!

Sono le ore 17.00 del 21 aprile 2017 è venerdì, Angela indossa il suo velo.

Finalmente siamo in IRAN.

Scopriamo che il venerdì, qui, è giorno di festa (la nostra domenica), la gente è tutta in giro, le campagne e i parchi sono affollati di famiglie adagiate sui loro teli che consumano un consueto picnic. Vià via che ci allontaniamo dal confine, il traffico diventa sempre più caotico e la nostra presenza sembra renderlo ancora più disordinato. Molti suonano, salutano, si sbracciano per salutarci.

I volti delle donne dietro i loro veli lasciano trasparire sorrisi inequivocabili. Sembra che tutti pensino solo a noi.

Attraversiamo un paio di paesini, c'è ancora tanto traffico e il sole sta per tramontare.

Al villaggio successivo, cerchiamo un hotel ma non se trovano, capiremo presto che in Iran è possibile trovare un hotel solo nelle grandi città e così non abbiamo altra scelta che continuare verso Tabriz.

Ancora una mezz’ora di strada ed è buio, tutti continuano a strombazzarci, viaggiamo ormai esausti nel traffico quasi a passo d’uomo salutando senza sosta e, proprio quando stiamo riflettendo su dove e come passeremo la notte, veniamo affiancati dall’auto di una giovane famiglia. Ci fanno cenno di seguirli.

Siamo titubanti ma anche curiosi, dopo poco l’auto si ferma sul ciglio della strada e il guidatore ci invita a fermarci. Scendono tutti, si avvicina a me - accompagnata dal padre Jalal - una adolescente, Roza, con il Suo ottimo inglese mi chiede dove andiamo e dove trascorreremo la notte e, appreso che siamo ancora in balia degli eventi, ci invita a raggiungerli e a fermarci nella loro casa.

Discutiamo velocemente con l’interfono con Angela, non sappiamo se accettare ma loro nel frattempo insistono e non ci lasciano scelta. Dopo quasi un’altra ora di autostrada, raggiungiamo la loro casa. Lasciamo le moto in un cortile chiuso e raggiungiamo la Mamma, Samira, che è salita subito e si è già messa ai fornelli, Jalal ci invita a metterci comodi sul grande tappeto che ricopre l’intero pavimento del salone, il piccolo Radin gioca con noi e verso mezzanotte è pronta la cena, kebab riso verdure crude e grigliate. Dormiremo comodamente su materassini adagiati sul grande tappeto. Al mattino siamo pronti a partire ma Roza ci fa sapere che la nonna ha organizzato un pranzo nella Sua casa a Tabriz, altri parenti sono curiosi di incontrarci e non possiamo mancare. Restiamo con loro un altro giorno, insieme vistiamo lo Shahgoli Park con i suoi fiori il laghetto e gli attrezzi da fitness lungo tutto il percorso, poi le Sahand Mountain un luogo magico e affascinante che ricorda vagamente la Cappadocia in Turchia.

 Sono stati due giorni splendidi, intensi, pieni di emozione di condivisione di amicizia spensierata e disinteressata, con loro e con tutte le persone che grazie a loro abbiamo incontrato; lasciare la famiglia PORQUAI è stato doloroso ma necessario, alle prime luci del mattino eravamo nel loro cortile pronti a ripartire e a raggiungere Teheran per consumare “quel famoso caffè”.

TEHRAN

Uscito da Tabriz ho ricominciato a pensare a mio padre.

Dal basso Salento occorrono oltre 400 km per uscire dalla puglia, poi velocemente si attraversa il Molise e l’Abbruzzo e presto si arriva in quello che negli settanta tutti chiamavano il “centritalia”. Lì a quei tempi, d’estate, l’autostrada si popolava di turisti diretti verso la riviera romagnola e di continuo si incontravano motociclisti - spesso tedeschi - imbragati nelle loro tute nere, che io “bambino” guardavo con molta eccitazione, mio padre la percepiva e per farmi felice gli inseguiva strombazzando fino all’inevitabile saluto che io ricambiavo urlando e sbraitando spalmato sul finestrino della Alfa Romeo GT 1300 Junior.

Per noi che partivano dal Sud ogni cosa nuova era una festa e riusciva ad emozionarci e a stupirci anche perchè di moto viaggiatori, in Salento, non se ne vedevamo quasi mai; oggi siamo più “evoluti”, indifferenti e forse meno curiosi, quasi a dire che il benessere ha avuto il sopravvento sull’umanità.

Ripensando a quelle scene la mattina in cui ho lasciato Tabriz, ho guardato con più attenzione gli sguardi stupiti dei bambini e degli adulti alla nostra vista e, nel mio intimo, seppur da una diversa prospettiva, ho sentito le loro emozioni e rivissuto le stesse sensazioni di quando ero io il bambino in viaggio con papà.

La “festa” è ricominciata quasi subito. Strombazzate, saluti, soste forzate e poi gli inevitabili selfie, gli inviti a pranzo a cena a dormire a chiacchierare, inviti che a malincuore spesso siamo stati costretti a rifiutare; ciononostante, abbiamo impiegato oltre 12 ore per fare solo 600 Km “in autostrada”.

Siamo arrivati alle 20.00 stremati ma felici nessuno ci aveva mai fatto sentire così importanti!

Trovato un hotel in tarda serata, restavano solo energie per cenare al volo in un fastfood e poi siamo correre letto.

A Tehran abbiamo trascorso due giorni in totale relax vagando senza meta. Non avendo individuato nulla di particolarmente intrigante ci piaceva l’idea di mescolarci tra la gente, girare la città usando i mezzi pubblici, fare degli incontri; in effetti, nel prendere il nostro primo bus ci siamo subito “incontrati” con una delle tante contraddizioni di questo paese.

Entrato nel bus, mi sono sentito subito osservato. Ero completamente circondato da donne velate, mi guardavano e sorridevano con atteggiamenti apparentemente ammiccanti, per qualche minuto ho pensato di essere un uomo attraente!

Ho fantasticato beandomi di quegli sguardi e dei sorrisi poi … ho notato un cancello a metà della corsia del bus … era la barriera che divideva lo spazio destinato agli uomini e io, ero in quello delle donne! Non erano sorrisi ammiccanti, l’intero autobus rideva di me! Con un balzo ho superato il cancello raggiungendo i miei “compagni di sesso” che, piegati dalle risate, mi “davano il cinque”!

Abbiamo girato i quartieri, i mercati le piazze, una veloce visita al Museo de Gemas, presso la torre Azadi;  l’ultima sera ci siamo rinchiusi  in un locale per cenare e fumare il narghilè. E’ stata una serata romantica e rilassante, il locale sembrava ben frequentato, tante coppie ma anche diversi gruppetti di sole donne e soli uomini, tutti adagiati su grandi panche ricoperte da tappeti.

Abbiamo cenato e fumato in tranquillità. Poi, sul tardi, sembrava arrivato il momento del “caffè a Tehran” e così via via che il locale su svuotava si è avvicinato il cameriere per servirlo e abbiamo iniziato a chiacchierare. Presto tutto lo staff del locale era sulla nostra panca sommergendoci di domande di selfie di “amicizie facebook”. Che dire, abbiamo riscoperto il piacere di fare tardi in buona compagnia anche senza bere un solo goccio di alcool.

[B]MARANJEB E KASHAN[/B]

Kashan è una città splendida, antica e piena di testimonianze della cultura persiana. Ci arriviamo per caso, dopo una vera giornata di moto, faticosa ma piena ancora d’incontri ed emozioni.

Con l’intento di andare ad Esfahan, al mattino, di buona ora ci mettiamo per strada senza fare colazione. E’ l’Alba, attraversiamo tutta Teheran incrociando il “sol levante” tra i palazzi delle immense strade ancora deserte.

L’autostrada è tranquilla fa fresco e si viaggia bene, pensiamo di fare una deviazione di circa 250 km, percorrere la pista che porta al Caravanserraglio e al lago salato nel cuore del Deserto del Kavir  e in serata raggiungere Esfahan.

Superiamo Qom e usciamo a Mescat, una stradina sconnessa di circa ottanta km ci conduce in prossimità della pista.  C'è una sbarra e un guardiano che cerca in tutti i modi di dissuaderci dal proseguire perché, a Suo dire, la pista è molto pericolosa per le moto, chiacchieriamo un po’, valutiamo, poi decidiamo di avventurarci comunque pronti a tornare indietro qualora in serie difficoltà.

I primi km scorrono veloci, senza problemi, la pista è molto accidentata ma scorrevole, lo scenario fantastico, si scorgono le prime dune ancora basse, qualche  cammello. Via via, le dune appaiono sempre più alte, la pista sembra consentirci di solcarle senza difficoltà ma, quando tutto sembra tranquillo, incontriamo la sabbia … quella vera … e con la sabbia il divertimento ma anche i problemi. Superiamo lentamente e con una certa difficoltà i primi cumuli di sabbia, poi ci fermiamo a riflettere, non sappiamo come saranno i restanti 30 km e ci tenta l’idea di tornare indietro per evitare problemi; siamo consapevoli di non essere abili sulla sabbia, e in più non abbiamo le gomme adatte e le moto sono stracariche ma “la follia” ci viene in soccorso e non molliamo.

Per 30 km la sabbia è ovunque a volte la pista è completamente nascosta da piccole dune e, almeno all’inizio, dobbiamo fermarci di continuo e ispezionare a piedi prima di decidere quale direzione prendere.

Procediamo lentamente e così a una certa ora alcune auto ci affiancano e ci superano, qualche temerario anche con sole due ruote motrici con un buon abbrivio e tanta rincorsa riesce in velocità a percorrere la pista,  le loro tracce ci aiuteranno a individuare la giusta direzione.

Comunque non è semplice, ma, piano piano, dopo circa tre ore di “fatica” e un paio di cadute a testa, ancora increduli, arriviamo al caravanserraglio.

Le persone che avevamo incrociato lungo la pista, ci corrono incontro, forse nessuno immaginava che ce l’avremmo fatta!

Un gruppo di ragazze si avvicina ad Angela urlando “Free Zone, Free zone” e la incita a levare il velo, alcuni studenti di Teheran in vacanza ci invitano a mangiare Kebab con loro.

Adagiati su un tappeto sulla sabbia accanto al caravanserraglio i ragazzi ci tempestano di domande, forse “ci studiano” e, quando percepiscono di potersi fidare, tirano fuori due litri di sidro di mele autoprodotto “molto alcolico e vietatissimo”. Siamo increduli. Inaspettatamente, appena non c'è più il pericolo della polizia anche gli Iraniani si ‘mbriacano e fanno festa.

Restiamo con loro per qualche ora mangiando Kebab e Pida bevendo un cocktail di Sidro con succo di mirtillo e birra analcolica, disquisendo con il nostro pessimo inglese di politica di religione di famiglia … di alcool … Ci invitano a salire sui loro fuoristrada per avventuraci sulle dune e magari fermarci per la notte al caravanserraglio; è stato divertente stare con loro ma non ci pensiamo neanche lontanamente, sono tutti ubriachi incluso l’autista, e poi è già pomeriggio, dobbiamo ripercorrere quei famigerati 40 km di pista di sabbia e poi altri 200 per Esfahan e come al solito non sappiamo dove dormiremo; è ora di tornare!

Ripartiamo tutti insieme, noi con le nostre moto, i ragazzi in fuoristrada; nel silenzio del deserto per un attimo è il caos, urla, rombo di motori,  clacson, poi di nuovo il silenzio, noi le nostre moto, la pista.

Il ritorno sembra più facile, abbiamo fatto pratica all’andata e ora proseguiamo spediti, fino a quando la frizione della moto di Angela comincia a dare segni di cedimento.

Siamo a circa 4000 km da casa in un paese dove, non esistono moto di cilindrata superiore a 250 cc e di conseguenza nemmeno i relativi ricambi, mancano ancora 15 km per uscire dalla pista, le poche auto che all’andata avevamo incrociato sono già tornate indietro mentre noi facevamo baldoria con gli “amici del deserto”. Siamo soli e perplessi, ma la frizione sembra reggere ancora un pò, la cosa migliore da fare è provare a raggiungere l’asfalto e poi  rielaborare.

Alle 16.00 siamo fuori, euforici per la sfida superata, per gli incontri, per i paesaggi che ci hanno accompagnato ma abbiamo un problema meccanico, ci fermiamo sul ciglio della strada per capire come lo gestiremo.

Ancora una volta siamo avvicinati. Ancora una famiglia, non parlano inglese, noi siamo un pò provati e in un primo momento abbiamo una certa difficoltà a comunicare e a spiegarci ma poi a gesti risolviamo, l’uomo fa segno di attendere, si attacca al telefono e dopo una decina di telefonate ci invita a seguirlo; disturba rovinare il pomeriggio alla famigliola ma loro sembrano sereni e anzi ci fanno capire che appena risolto il problema ci vogliono con loro a cena.

Dopo circa 20 km a passo d’uomo arriviamo a Kashan dal meccanico “amico” del nostro “amico”, l’officina non è per niente rassicurante il meccanico ricorda il John Travolta di Pulp Fiction - pantalone a zampa camicia aderente e sbottonata fino all’ombellico, colletto in alto  ancora a gesti gli spiego il problema, lui con assoluta sicurezza scopre il gommino del cavo della frizione lo rimette al suo posto e mi fa segno di provare; incredibile era solo il cavo che si era spostato dalla sede!

Sono felice ma obiettivamente frustrato, era un problema da nulla ed io un vero incapace!

Intanto il pomeriggio è andato e siamo ancora a Kashan, continua ad avvicinarsi tanta gente, ragazzi, anziani, qualcuno parla inglese, riceviamo ancora inviti per la sera e per la notte, siamo ormai impossibilitati a ripartire, approfittiamo per continuare a chiaccherare mentre il meccanico effettua alcuni interventi di manutenzione ordinaria alle moto.

Al contrario di come era apparso in un primo momento il meccanico si dimostra molto capace e meticoloso, lavora per una mezzoretta sulle moto e alla fine, non vuole nulla!

Lo invito più volte a prendere del denaro ma lui sembra completamente disinteressato continua a fare foto mentre il nostro amico continua invitarci a casa Sua. Siamo stanchi ma non vogliamo approfittare concordiamo di fermarci a Kashan e di pranzare tutti insieme l’indomani.

Così, restiamo in questa città che fino a quel momento non avevamo per niente considerato; a pochi passi dal meccanico troviamo un hotel e accanto una pasticceria; mentre Angela si sistema io approfitto per acquistare dei pasticcini e torno indietro per offrirli al meccanico che felicissimo chiama a raccolta tutti i conoscenti presenti in zona e insieme banchettiamo in officina fino a sera.

Il giorno dopo, con molta calma, approfittiamo per fare del “sano turismo” a Kashan scoprendola incredibilmente interessante, bellissima e piena di testimonianze storiche, abbiamo visitato la Agha Bozog Mosque, poi una antica biblioteca popolata di studenti chini sui loro testi, il tranquillo Bazar, e la Meydan Mosque splendida e abbagliante con i suoi specchi che ricoprono tutte le cupole. Infine, onorato il pranzo in famiglia abbiamo ripreso la via per Esfahan.

ESFAHAN

L'autostrada che da Kashan porta a Esfahan attraversa un territorio semidesertico la cui maestosità, fa scordare la monotonia dell'asfalto e apre la mente a ogni tipo di fantasia. Mai, però, avrei potuto immaginare di giungere nella splendida piazza Naqsh-e jahan ed essere invitato a una "spaghettata"!

E’ proprio cosi che ci accoglie Esfahan, dopo aver lasciato ogni cosa in un ostello molto economico popolato da operai Pakistani una breve doccia e siamo subito in giro.

Il mio amico Tony mi aveva parlato di una piazza tra le più grandi al mondo, decidiamo di raggiungerla subito.  Come immaginato, lo scenario è maestoso, la piazza è immensa splendida e piena di storia, l’architettura degli edifici è tipicamente persiana, tutt’intorno è un proliferare di maioliche colorate e le strutture sono conservate perfettamente.

Nonostante la presenza di tanta gente in giro e nonostante molti dei frequentatori siano adagiati sui tappeti a desinare, come in uso ovunque in Iran, tutto è pulito e perfetto.

Percorriamo pochi metri, un gruppo di donne ci vede, una di loro si avvicina ci invita a fermarci con loro offrendoci un piatto che, a sorpresa è colmo di spaghetti al pomodoro! Erano chiaramente un pò scotti ma comunque buoni! Complimenti e grazie per l’invito.

Attraversiamo la piazza e cominciamo a girare nell’immenso Bazar … il più bello mai visto … tutto è splendido scintillante, sfavillante, la gente gentile ma discreta molti ci sorridono, notiamo per la prima volta la presenza di turisti occidentali riuniti in gruppi e accompagnati da  guide.

Alle ore 19.00 l’imam chiama alla preghiera e gli Iraniani rispondono i massa, tutti si alzano dai loro giacigli sull’erba arrotolano i tappeti e si affannano per raggiungere velocemente la moschea. Lo facciamo anche noi, seguiamo la scia ma a un certo punto  nella confusione, io non vedo più Angela.

Lo ammetto, sono spaventato … cosa succede?

Mi guardo intorno, vedo la gente che si muove euforica, le donne entrano in moschea da una porticina, gli uomini si scalzano e entrano da una altra parte mentre dai megafoni rimbombano le parole a me incomprensibili dell’Imam.

Di Angela nessuna traccia per oltre dieci minuti poi un SMS,  è lei che laconicamente mi scrive “sto pregando”. Ma come? Proprio Tu che non entri in chiesa da anni. Rispondo: “stai pregando? Ma dove sei?”; per altri 20 minuti nessun segno poi finalmente riappare la da quella porta che aveva già inghiottito centinaia di donne, sorridente, in pace, ancora incredula.

Mi racconta che mentre correvamo verso la moschea, una donna l’aveva afferrata per un braccio e invitata a entrare, io, preso dalla bellezza di quel luogo e distratto nel tentativo di fare qualche foto non mi accorgevo di nulla. La donna l’ha scalzata e coperta con uno manto nero l’ha accompagnata in moschea e l’ha fatta inginocchiare, nel mentre una giovane iraniana Le spiegava in inglese il rituale e cosa stessero facendo. 

È il 26 aprile, è il giorno del compleanno di Angela.

Ci concediamo un ristorante tipico ma “di lusso” mangiando prelibatezze dai nomi indefinibili e bevendo tanto Dough.  Poi un taxi per soli 50 cent ci riporta al nostro ostello, siamo sfiniti ma  sempre  più  appagati.

Trascorriamo un'altra giornata di relax a Esfahan percorrendo in lungo e in largo il meraviglioso Bazar visitando le moschee e le altre meraviglie poi al mattino del 28 all’alba siamo pronti per andare a sud, molto a sud a Kerman in prossimità dell’agognato deserto del LUT.

KERMANN e Il LUT DESERT

Mancano circa 800 Km per il Lut Desert, siamo veramente riposati, Esfahan ci rimarrà nel cuore, ci sentiamo appagati ma ancora desiderosi di arrivare nel posto più remoto ed esotico mai raggiunto nella nostra vita.

Tutti ci consigliano di visitare a metà strada la città delle Torri acchiapavento ma  abbiamo voglia di sud e di deserto; tornati a casa forse ce ne pentiremo, da quello che leggo in questi giorni Yazd sarebbe stata una tappa interessante, ma noi non eravamo pronti  il Lut ci chiamava. Ci ritorneremo, inshallah.

Superata Yazd la strada diventa molto tranquilla poche auto pochi camion, pochi distributori, siamo ancora sull’asfalto ma intorno è solo sabbia, qualche villaggio si scorge in lontananza; in serata siamo a Kerman.

Kerman è il crocevia dei viaggiatori che intendono recarsi al Lut Desert o a Bam (altra città storica e importante di cui restano solo ruderi essendo stata seriamente compromessa da un terremoto nel dicembre del 2003), si presenta carina ma non ci ha particolarmente emozionato.

Abbiamo girato un po’ per il centro fino a quando in un vicolo buio, visto un certo movimento, ci siamo addentrati, è stata la cosa più interessante vista in città. Una stradina lunga non più di 500 metri,  senza illuminazione, popolata da commercianti contrabbandieri  e faccendieri che al buio fanno ogni tipo di affari, al centro un locale fatiscente immenso, all’interno anziani uomini fumanti adagiati su tappeti consunti e poggiati alla rinfusa a terra restano attaccati ai naghilè. Ci scorgono nel buio, qualcuno ci fa cenno di entrare e noi ci proviamo ma nessuno parla inglese ed è veramente difficile comunicare, ci scambiamo sorrisi e gesti. Comunichiamo a “pacche sulle spalle” ma niente di più, rapidamente cerchiamo un posto per mangiare.

All’alba siamo già pronti, il Lut Desert è vicino, solo 120 km ancora da fare, siamo impazienti e partiamo ancora senza fare colazione.

Saliamo di quota per circa 50 km, il paesaggio ora e verdeggiante sotto di noi c'è un lungo canyon tra le rocce con un fiume che irriga le palmearie e le colture a valle, l’aria è frizzantina; quando siamo in cima al passo, si apre  davanti a noi uno scenario spettacolare … alle spalle il verde, l’acqua, le coltivazioni, di fronte il deserto giallo, immenso.

Scendiamo dal passo con l’entusiasmo di bambini. Intanto, il sole comincia a salire e anche la temperatura, presto siamo immersi in quel giallo caldo e intenso che contrasta con la fredda montagna scura che ci stiamo lasciando alle spalle, ancora una ventina di kilometri e siamo a Shahdad; è la porta del deserto da lì in poi per circa 400 km non c'è più nulla solo una striscia di asfalto che conduce a Nehbandan e poi al confine con l’AFGANISTAN

Facciamo scorta di viveri acqua birra analcolica e benzina e ripartiamo.

Il LUT DESERT (Dash e Lut) è un vasto deserto considerato uno dei luoghi più aridi del pianeta e la temperatura in certi periodi dell’anno è la più alta registrata sulla terra. Leggo su Wikipedia che nel 2003 sono stati registrati 70° gradi Centigradi. In effetti è maggio e siamo già oltre i 45 gradi!

Ci addentriamo, seguendo la striscia di asfalto per circa 50 km, poi scorgiamo una scarna indicazione: “LUT”;  sembra indicare una strada o una pista ma in realtà c’è solo sabbia, restiamo titubanti ma seguiamo la freccia, usciamo dall’asfalto la sabbia è dura quindi facilmente percorribile così ci avventuriamo, senza meta, seguendo la direzione indicata, dopo pochi chilometri c’è una vera pista e di seguito una miriade di percorsi che si intersecano tra le sabbia e le rocce, ci sono tracce del passaggio di fuoristrada ma non si vede nessuno, decidiamo di proseguire segnando la direzione con dei sassi ad ogni crocevia per agevolare il ritorno.

Lo spettacolo è realmente surreale, siamo in mare di sabbia dai colori inediti. E’ scura ma illuminata dal sole riflette varie tonalità di giallo di rosso e di marrone; con l’avvicinarsi della sera i colori scemano e appare sempre più grigia, le rocce nel mezzo restano li come vere cattedrali nel deserto.

Siamo estasiati, continuiamo ad addentrarci fino ad arrivare in prossimità di una delle torri di roccia, da vicino è altissima, un sentiero la costeggia e ci gira intorno, la sabbia diventa più soffice e il terreno è accidentato, procediamo molto lentamente … cerchiamo di non fare danni né a noi né alle moto, siamo soli in mezzo al nulla e una caduta potrebbe metterci in serie difficoltà, risaliamo il sentiero e in parte la roccia fin dove possibile poi ci fermiamo. Abbiamo percorso circa 30 km di pista siamo nel cuore della zona archeologica del LUT saliamo a piedi in cima alla torre di roccia, ci siamo è fatta siamo nel punto più alto e panoramico dell’intero deserto. E’ una meraviglia. Siamo giunti a poche centinaia di km dal Pakistan e dall’Afghanistan, in uno dei luoghi più remoti e inospitali della terra,  dobbiamo festeggiare e lo facciamo con la scorta di “Birre analcoliche alla pesca“ che intanto sono diventate bollenti, restiamo li in contemplazione fino all’imbrunire in attesa del tramonto, che però, sul più bello ci tradisce con un nuvolone; ripercorriamo quasi al buio la pista, forse siamo stati un po incoscienti a fare così tardi, ma per fortuna i segnali che avevamo lasciato all’andata ci vengono in aiuto. Alle 9.00 è buio pesto abbiamo impiegato circa un’ora e mezzo ad  uscire ma siamo di nuovo sull’asfalto e a circa 50 km cè il paese.

Siamo sempre e ancora soli, fa caldo e potremmo dormire sulla sabbia ma restare li la notte non ci intriga, conosciamo già la strada avendola percorsa all’andata e quindi optiamo per il ritorno verso il villaggio. Lungo il percorso, a circa 20 km, scorgiamo in lontananza una fioca luce, proviamo ad avvicinarci percorrendo uno sterratino di circa 4 km e arriviamo in prossimità di un caseggiato circondato da un alto muro di fango e paglia, proviamo a bussare e a farci sentire ma non accade nulla, quando stiamo per ripartire, una donna appare dal portoncino, siamo fortunati è un campeggio! È l’ultimo avamposto prima del nulla.

Nel camping ci siamo solo noi, non abbiamo la tenda ma ci sono delle capanne di paglia con rete zanzariera all’interno … bellissime … i bagni sono pulitissimi; è una vera oasi nel deserto. Concordiamo di restare li per 10 euro a testa per una notte con cena e colazione inclusa!

Sono stati i due pasti migliori di tutta la traversata, la sera abbiamo mangiato su tappeti distesi su panche sulla sabbia al chiaro di luna e stelle, la cena è da mille e una notte, oltre al consueto kebab al riso ai pomodori grigliati ai peperoncini piccanti (in Iran non si mangia altro), abbiamo mangiato delle zuppe di verdure e per la prima volta anche del formaggio. Il tutto accompagnato da Dough dal sapore intenso  preparato da loro e birra analcolica (sempre pessima).

Restiamo in compagnia delle stelle ancora un pò in contemplazione ma, a mezzanotte, mentre stiamo per cedere alla fatica, rientra un gruppetto di turisti europei con la loro giuda iraniana … erano anche loro di ritorno dal deserto e avevano fatto un giro simile al nostro ma non c’eravamo incrociati perché l’auto della guida, essendo a due ruote motrici, non poteva addentrarsi nella pista. L’uomo è incuriosito, si avvicina ci riempie di domande e con una vena di ammirazione ci informa che è raro vedere laggiù viaggiatori senza una guida, poi ci fa i complimenti per il coraggio.

Si conclude così un’altra giornata intensa e avventurosa, faticosa ma bellissima. Siamo a circa 6000 km da casa … mezzanotte è già passata, capitoliamo nella nostra capanna di paglia … domani s’invertirà la rotta …

SHIRAZ e PERSEPOLIS 

Lasciamo il deserto con la spiacevole sensazione del “ritorno”.

 

È strano, siamo ancora in viaggio, siamo sempre li in Iran, ci aspettano ancora luoghi fantastici, Shiraz Persepolis e poi il Kurdistan, ma l’inversione di rotta all’inizio lascia il segno.

Affrontiamo i primi km senza grande entusiasmo con la sensazione che oramai il “meglio” è passato, a un tratto sembriamo indifferenti verso quello che ci circonda, l’andatura è lenta e svogliata, siamo nostalgici e ancora stregati dal deserto.

Lungo la strada, vediamo un vero “autogrill”, è incredibile, per migliaia di km abbiamo visto solo distributori fatiscenti, talvolta con qualche piccolo market o caffè ma qui cè un vero ristorante persiano con tanti tappeti, non possiamo non fermarci.

Sono ancora le 11.00, probabilmente siamo i primi clienti della giornata e in effetti all’interno non ce nessuno, dalla cucina si sentono delle voci, ci avviciniamo, è in corso la preparazione del kebab, i cuochi ci invitano a fermarci e ad assistere.

Accettiamo e restiamo una mezz’oretta in cucina a chiacchierare. L’inglese spesso aiuta ma in questo caso più di ogni altra sono stati utilissimi i telefonini;  scambiamo reciproci frammenti di vita scorrendo le foto e così, quando il pranzo è pronto siamo già grandi amici e mangiamo tutti insieme, noi i cuochi il proprietario, alla fine il pranzo sarà offerto! Ancora! Nella vita di ogni giorno non ho quasi mai questa grande capacità di socializzare con persone che non conosco, anzi con l’andare degli anni divento sempre più solitario e taciturno ma qui in Iran sembra tutto così facile!

La sera del 30 aprile siamo a Shiraz, trovare da dormire qui è abbastanza agevole, gli hotel sono disposti uno dietro l’altro sulla via principale che attraversa la città.

Ci rilassiamo in hotel e con l’aiuto del wi fi  cerchiamo di scoprire cosa fare in città.

Avevamo deciso di fare tappa a Shiraz solo per la vicinanza a Persepolis ma da internet scopriamo che anche questa città è molto interessante, soprattutto per la  lucente moschea dei 1000 specchi (Shah Ceragh). Guardiamo un pò di foto e restiamo veramente affascinati, anche la sua storia è interessante e misteriosa. Si narra che intorno al 900 d.C. un viaggiatore notò una fonte di luce provenire da lontano. Si recò in quella direzione e dopo aver investigato un po’ in giro, trovò una tomba illuminata. Al suo interno, i cadaveri di Ahmad e Muhammad, figli di Musa Al Kazim  e fratelli di Alì al Rida due figure di spicco della religione musulmana. In quel luogo sacro fu poi eretta questa moschea che nel tempo è stata ampliata e adornata, per rendere il doveroso omaggio ai propri martiri. Si dice sia talmente bella che sembra provenire da un altro pianeta. Usciamo la sera ma preferiamo dedicarci al cibo e così rimandiamo la visita all’indomani.

Al mattino di buon ora siamo a passeggio, purtroppo abbiamo già dimenticato il nome della moschea che vogliamo visitare e non è facile chiedere indicazioni, ma alla fine qualcuno capisce cosa cerchiamo e ci indica come raggiungerla. Percorriamo il bazar e presto dai vicoli della città vecchia scorgiamo il minareto che svetta alto, siamo in prossimità della piazza e, per la prima volta da quando siamo in Iran ci imbattiamo in un cancello militare di controllo.

Ci fermano e ci invitano ad aspettare,  dieci minuti e si avvicina una ragazza completamente avvolta in uno chador nero, sarà la nostra guida messa gratuitamente a disposizione, anche Angela viene avvolta in uno chador, ci dirigiamo verso la piazza sempre più desiderosi di entrare in moschea ma appena tentiamo di varcare la soglia la “guida” ci blocca.

“Non si può entrare”, “ma come” chiedo, “c'è tanta gente che entra ed esce e in più, da tutte le parti cè scritto che l’ingresso è libero”; insisto, la guida, che parla un ottimo inglese, cerca di spiegarmi i motivi ma io, con il mio pessimo inglese, non capisco quasi nulla e continuo ad insistere; dopo vari tentativi capisco solo che dal 1° maggio  al 31 maggio, per una regola religiosa che ancora mi è ignota (devo riprendere lo studio della lingua inglese accidenti), possono accedere in moschea solo i fedeli ma non i visitatori!

Peccato, se solo la sera prima ci avessimo provato non ci sarebbe stato nessun problema. Pazienza, sarà un altro buon pretesto per tornare in iran!

La città è comunque bella e piacevole, trascorriamo la giornata bighellonando nel bazar e consumando te a volontà l’indomani di buon ora raggiungiamo Persepolis.

Persepolis è uno dei siti più belli e affascinanti che ho mai visitato, nella mia classifica personale lo considero secondo solo a Pompei.

Persepolis è anche il titolo di un fumetto letto più volte in questi anni, racconta della “rivoluzione” Iraniana, degli orrori della guerra attraverso gli  occhi della  protagonista,  dapprima  bambina in Iran poi donna in terra straniera in quell’occidente  “perfetto e superiore”.

Cito una recensione trovata on line che condivido: “E' una lettura che apre la mente, una finestra su una realtà vicinissima a noi ma resa lontana dai pregiudizi e dalla disinformazione. Basti vedere la meravigliosa parte sull'infanzia, che ti fa' capire che non importa la società, la cultura o la religione a cui è soggetto, un bambino è sempre un bambino. Agli occhi di un bambino l'ipocrisia degli adulti, che si ammantano di dogmi religiosi o fedi politiche piegate in nome dell'interesse, appare come ciò che davvero è: orribile, spaventosa e, sopratutto, ridicola”.

Arrivando al sito di prima mattina abbiamo avuto il piacere di visitare tutta l’area in solitudine ed in completo relax , addentrandoci tra le rovine nel silenzio ci siamo completamente immersi in un altra epoca, abbiamo fantasticato e sognato, poi, è iniziato il via vai degli autobus turistici e l’incantesimo si è rotto.

Rinfrescati da un Dough, abbiamo ripreso la strada verso Esfahan.

Abbiamo trovato posto all’Amir Kabir Hostel molto frequentato da ragazzi europei in viaggio con zaino e sacco a pelo, una altra passeggiatina nella piazza, cena e poi all’alba, dritti verso il Kurdistan Iraniano da dove poi supereremo la frontiera ed entrare nel Kurdistan Turco.

Il viaggio prosegue tranquillo, usciti da Esfahan, ci ferma un paio di volte la polizia ma non ci chiedono nulla, fermarci è solo un pretesto per esercitarsi nell’uso della lingua inglese!

Poi, un nuovo problema meccanico al GS650 ci obbliga ancora a fermarci lungo l’autostrada.

Questa volta è la catena, che già da qualche giorno sembrava essersi allentata; è uscita dalla corona per fortuna senza alcun danno.

Questa volta evito di farmi prendere dal panico, mi fermo rifletto, tiro fuori gli attrezzi e mi appresto a rimetterla a posto, sono ancora con i ferri in mano e ben tre auto si sono già fermate.

Sembra quasi una gara a chi tra loro riesce ad essere più credibile ai nostri occhi, alla fine la spuntano due fratelli che pazientemente attendono che la catena sia sistemata almeno quanto basta per arrivare in città ad Arak, a soli 5 km, dove vorremmo sostituirla; al solito, veniamo scortati e facilmente troviamo un meccanico.

Sembra peggio della volta precedente, il meccanico non ha nemmeno gli attrezzi per agire sulla moto e chiede di utilizzare i miei. Chiaramente, acconsento. Poi lui si allontana per rimediare una catena nuova e mentre attendiamo, in pochi minuti, siamo già oggetto dell’attenzione dei passanti.

Questa volta però lo “smuio” durerà molto poco, un uomo ci fa vedere un distintivo, è un ispettore di polizia in borghese, i ragazzi con cui stiamo chiacchierando diventano seri e taciturni, l’uomo ci invita a prendere i passaporti ed entrare nella sua macchina.

Non sappiamo cosa fare, i bagagli e gli attrezzi sono sparsi sul marciapiede, la sella della moto è aperta e sotto ci sono gran parte dei nostri soldi, chiediamo di lasciarci almeno il tempo di mettere le nostre cose in sicurezza ma lui è inflessibile, dobbiamo lasciare tutto e seguirlo! Immediatamente!

Non cè altro da fare, i ragazzi comprendono i nostri timori e fanno cenni rassicuranti, così lasciamo tutto li, sul marciapiede; abbiamo salvato 200 euro e i passaporti il resto è alla mercè di “sconosciuti”, in più mentre ci allontaniamo vediamo il meccanico tornare e avvicinarsi alla moto con un “flessibile” e immaginiamo al ritorno di  trovare il GS650 sezionato!

Attraversiamo tutta la città nel traffico, l’auto è scassata e rumorosa, nel caos cerco di comunicare con l’ispettore e capire cosa succede ma non è facile, parla solo “Farsi” così io “mimo” il segno delle manette, lui comincia a ridere di gusto fa segno di stare tranquilli e urla: “control control”.

La caserma è un palazzone brutto grigio da cui si accede percorrendo un cancello in ferro alto circa tre metri all’interno è tanti giovani militari tutti armati, dal corridoio si scorge un salone affollato di gente che sbraita da dietro una vetrata, arriviamo scortati alla stanza del comandante.

L’ispettore ci presenta ma non cè grande comunicazione, ad Arak nessuno conosce l’inglese, si parla solo il “Farsi” ed è difficile fare grandi chiacchierate a gesti. Restiamo li per circa mezz’ora presentandoci di continuo ai militari che inspiegabilmente sfilano davanti a noi sorridendo;  non succede nulla, in mezz’ora siamo di nuovo in macchina.

Non capiremo mai cosa è accaduto quel giorno. Nessuno ha controllato nulla, le nostre cose, i passaporti sono stati solo sfogliati dal comandante senza un minimo di interesse, in compenso almeno una ventina di militari sono entrati nella stanza solo per darci la mano. Riparlandone con Angela l’unica ragione plausibile del nostro “rapimento” sembra essere quella di “essere esibiti” in caserma.

Al nostro ritorno i ragazzi sono ancora tutti li, ognuno ha preso in carico qualcosa, chi il borsone chi gli attrezzi chi le chiavi della moto e lo ha custodito per noi, il GS650 è ancora intero e ha una catena nuova, anche i due fratelli sono ancora li, ci aspettano solo per portarci a casa a mangiare!

E’ interessante notare che anche questa volta, e come ogni volta, tutti gli “inviti” ricevuti da uomini in Iran sono stati sempre preceduti da una telefonata tra la moglie  dell’ospite e Angela. Telefonate sempre incomprensibili ma importanti per i nostri “ospiti”; dimostrare di avere una donna e una famiglia che li aspetta  è il loro modo per rassicurarci e farci capire che il loro invito è sincero e non ci sono “secondi fini”.

 Fatima ha già preparato tutto, kebab di pollo, riso pomodori grigliati, ci stendiamo sul grande tappeto e col passare dei minuti arriva sempre più gente, sono gugini zii nipoti e vari componenti della famiglia che incuriositi lasciano il lavoro e si uniscono a noi per il pranzo!

 

Grazie a google translator “chiacchieriamo” per ore, nonostante le difficoltà, internet molto lento (come in tutto l’Iran), nonostante ogni frase che ci scambiamo debba essere tradotta dal farsi all’inglese e dall’inglese all’italiano e viceversa; sono tutti pazienti, calorosi e curiosi, ogni cosa che raccontiamo per loro è interessante, ci congediamo a fatica verso le 17 e da allora, ancora oggi, quasi ogni settimana con Fatima ci scambiamo foto e messaggi su instagram!

In serata siamo a Kermanshah, siamo arrivati in Kurdistan!

IL KURDISTAN IRANIANO 

Il Kurdistan è una nazione ma non uno Stato indipendente, è un vasto altipiano popolato dai genti di etnia curda politicamente diviso fra gli attuali stati di Turchia Iran Iraq Siria e Armenia.

Nonostante non vi sia alcuna dogana si percepisce subito la diversità del luogo, i curdi sono molto identitari e accomunati dall’uso della lingua “curda” che è la stessa per tutti indipendentemente dalla loro residenza.

A Kermanshah si cominciano a vedere uomini e donne vestiti con gli abiti tradizionali, gli uomini usano strani pantaloni molto larghi sulle gambe e aderenti alla caviglia spesso di colori scuri e con camicie chiare o quadrettate, le donne sono avvolte in chador, foulard e vestiti dai mille colori.

L’impressione è che l’area sia tra le meno prospere di tutto l’Iran ed in effetti parlando con la gente del posto sono tutti molto critici ed evidenziano il loro disappunto verso il governo di Teheran che si disinteressa e investe molto poco per la crescita di questa regione.

Anche le infrastrutture sono carenti, l’asfalto, che in Iran non è quasi mai stato un problema, qui invece spesso non è presente o è in condizioni disastrate.

Per noi che viaggiamo per diletto tutto questo è affascinante, ma obiettivamente per la gente del posto non deve essere per niente piacevole!

Il giorno dopo puntiamo verso il cuore dell’altopiano. Sulla mappa è indicata una strada che da Sanandaj conduce a Marivan a 5 km dal confine con l’Irak, sembra interessante raggiungerla sia per la collocazione geografica sia perchè pare che lungo il percorso ci siano diversi villaggi affascinanti, si tratta solo di deviare dalla statale per circa 200 km e poi riprenderla in direzione di Tabriz dove ci piacerebbe tornare per salutare Roza e la Sua famiglia.

A Sanandaj deviamo quindi in direzione Marivan, ma da subito iniziano i disagi derivanti dalla mancanza di asfalto.

Ha appena smesso di piovere e la strada che attraversa il paese è una vera fangaia molto scivolosa che dobbiamo attraversare con i piedi appoggiati per terra sperando di non scivolare tra i camion.

 Poi un po di asfalto e deviamo verso Palangan.

Scendiamo dalla collina percorrendo un facile sterratino poi ancora fango, presto incontriamo le prime case, la strada è dissestata senza asfalto ma sono solo poche centinaia di metri e ci troviamo in una piazza “grigia di fango” resa viva dai colori dei vestiti delle donne che la affollano. Il villaggio è veramente molto affascinante, case di pietra arroccate sulla collina affacciate sul fiume al centro del villaggio. Lungo le rive qualche turista e gente che banchetta, percorriamo il sentiero e scorgiamo due ragazzi con i piedi scalzi nel fiume intenti a fumare un narghilè mentre le loro compagne si occupano della griglia.

Scatto una foto e ci vedono, uno di loro corre verso di noi e ci invita a fumare e mangiare.

Non possiamo rifiutare!

Che meraviglia! Ci scalziamo, piantiamo i piedi nell’acqua gelida e fumando attendiamo il kebab che ci viene offerto e servito dalle ragazze.

Ancora foto scambi di mail e poi via si riparte.

 La strada è tutta sterrata ma agevole, attraversiamo villaggi fatiscenti e quasi deserti poi il percorso diventa sempre più impegnativo e accidentato, eppure quella dovrebbe essere la principale via di collegamento con l’Irak! Sorge il dubbio che abbiamo sbagliato, così  alla vista di un pick up mi fermo per chiedere informazioni.

Sono tre ragazzi curdi, ci informano che la via è corretta ma è inutile proseguire perché più avanti è interrotta. Ci offrono dell’acqua e da mangiare ma siamo ancora sazi e gentilmente decliniamo l’invito. Peccato eravamo arrivati veramente a pochi km dal confine con l’Irak ed era  tutto molto bello affascinate e incredibilmente tranquillo.

Ripercorriamo i circa 70 km di sterrato e siamo ancora sulla statale, riusciamo ad arrivare  a Saqquez, dove ci fermiamo per la notte.

La sera, in un ristorantino, facciamo il punto della situazione, sono oltre 20 giorni che siamo in giro e abbiamo completamente perso la cognizione del tempo e dello spazio. Con sgomento prendiamo atto che questa volta è veramente arrivato il momento di ricominciare a pensare di tornare a casa.

Siamo combattuti, vorremo andare ancora da Roza ma perderemo almeno un giorno non potendo poi gestire in tranquillità gli eventuali imprevisti che potrebbero intervenire nei molti km che dobbiamo ancora percorrere.

La frontiera invece è molto vicina così a malincuore decidiamo che è arrivato il momento di uscire dall’Iran.

IL KURDISTAN TURCO

Superare una dogana è sempre molto emozionante.

Non si tratta solo di esibire dei documenti sperando che tutto sia in ordine, spesso vuol dire percorrere quel kilometro che divide due mondi, geograficamente cosi vicini eppure politicamente socialmente economicamente così lontani.

Muovendosi senza muri e dogane tutto cambia talmente lentamente, che spesso nemmeno lo percepiamo le differenze, superando una dogana invece le differenze appaiono nette, improvvise quasi scioccanti.

Il Kurdistan Iraniano per quanto più povero del resto del paese lascia la sensazione di un luogo pacifico, non mancano i disagi e la gente non è spesso insoddisfatta, ma regna la pace, la serenità … la vita.

Quella dogana sembra arrogarsi il diritto di decidere chi ha diritto alla vita e alla pace, e chi invece è destinato all’oblio, alla morte!

Percorriamo pochi kilometri e ci imbattiamo nel primo ceck point.

E' la prima volta nella nostra vita che abbiamo a che fare con questo tipo di installazioni militari; in prossimità del paese la strada si restringe e i veicoli vengono obbligati attraverso dei new jersey in cemento, c'è da fare uno slalom e dietro ad ogni blocco un carro armato,  una mitragliatrice e così via fino al posto di blocco vero e proprio dove ogni cosa viene controllata.

Percorriamo poche centinaia di metri, ancora un carro armato poi la città percorsa da blindati e da militari armati;  la cosa che più sconvolge è che la gente vive come se nulla fosse,  i ragazzi vanno a scuola i negozi sono aperti i mercati sono affollati.

Yüksekova, la prima città nel kurdistan Turco si presenta così, e poi anche le successive, superato il terzo chek point ci fermiamo sul ciglio della strada a riposare, la vista delle armi ci agita sempre non poco!

Si ferma un pick up ci sono due ragazzi uno di loro parla inglese e ci invita a seguirli per un chai (un tè).

Come sempre, ci fidiamo.

Raggiungiamo dopo pochi metri un gabbiotto a servizio della vicina centrale idroelettrica, i ragazzi lavorano li.

Entriamo, c'è altra gente, uno di loro chinato verso la mecca prega e non ci degna di uno sguardo, gli altri ci invitano a sedere, ci offrono da fumare e poi Onder siede accanto a noi e, senza indugiare, ci chiede se conosciamo la questione curda.

Esibiamo la nostra risicata cultura in materia, citiamo Ochalan e il PKK, io gli racconto di quello che mi aveva detto un ragazzo che avevo conosciuto pochi anni prima in quelle zone e con il quale avevo condiviso un pranzo a Siirt,  l’amicizia e tanti messaggi su facebook. Il ragazzo, poi, improvvisamente era sparito dai miei contatti.

Lui, con una freddezza surreale mi risponde: “probabilmente è morto! Cè una guerra quì, nessuno ne parla, ma, a Yüksekova quest’inverno Erdogan ha provocato un centinaio di morti e così in tutte le città del Kurdistan Turco, non cè pace per i Curdi eppure, mi spiega, i turchi convivono pacificamente con noi è Erdogan che fomenta odio!”.

Parliamo ancora di politica, la questione Curda è stata sempre di interesse per noi ma essere li e parlare con chi quella situazione la vive sulla propria pelle è una sensazione diversa. Beviamo altri chai e finiamo il pacchetto di sigarette di Onder, ci congediamo con la tristezza nel cuore e, su suo consiglio, deviamo verso Van per percorrere quella che dovrebbe essere la strada più tranquilla; arrivarci sarà comunque dura, supereremo altri 5 check point!

Van è un avamposto Turco in terra curda tutto è molto occidentale e anche i veli si vedono di rado e sono rigorosamente neri, il muezzin in ogni caso rimbomba fragorosamente come in tutta la Turchia, in compenso, finalmente a cena possiamo variare il menù.

Usciti da Van è ancora Kurdistan, i veli si colorano ancora, non ci sono molte auto private ma solo tanti pulmini collettivi, evitiamo le vie di grande comunicazione e percorriamo una strada interna sull’altopiano verso Erzrum, attraversiamo i villaggi dei pastori Curdi, poverissimi ma tanto pieni di umanità. Nelle campagne, si scorgono accampamenti di profughi siriani tra tende roulotte e capanne.

Le montagne dell’altopiano sono imponenti e maestose ma il loro profilo è dolce e rassicurante, i fiumi riflettono i colori delle ampie e rigogliose vallate.

E’ triste vedere e percepire tanta miseria in luogo cosi bello.

Incroceremo altri ceck point poi riprenderemo la grande e lunga autostrada che ci porterà a Istambul e in Grecia dove ci concederemo un paio di giorni di relax in spiaggia, a Toroni, sulla seconda lingua della penisola calcidica.

Infine, dopo aver percorso 11702 km … siamo a casa.

Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.