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Sabato, 5 Aprile 2014

Swaziland, alla scoperta dell'homestead

Un paese dove scoprire come vive la gente fa la differenza. 

ARTICOLO DI

MartiBackpacker

Lo Swaziland parte svantaggiato. Deve reggere il confronto con tutte le meraviglie incontrate in Sudafrica. E non lo regge, neppure lontanamente. In più le varie guide caricano di aspettative il lettore descrivendolo come un paese in cui si le tradizioni sono ancora presenti in ogni angolo. “Swazi, such a lovely and wild place” ci era stato detto più volte da una donna inglese sudafricana, che aveva vissuto gli anni dell’infanzia in questo piccolo stato. Io non ho trovato niente di lovely, né di wild e neppure tanta tradizione. Certo, se si ha la fortuna di visitarlo durante la cerimonia annuale dell’Incwala la storia cambia. Non è stato però il mio caso, io ho visto lo Swaziland nella sua normalità.

Qualcosa di interessante però c’è. L’ho trovato a Shewula, villaggio rurale dove un progetto di sviluppo sostenibile porta i viaggiatori a scoprire come si vive nel 2014 in una zona abbastanza remota (per i nostri standard) e povera (sempre per i nostri standard) dove il tasso d’incidenza dell’Aids è ancora elevato. Una ragazza molto molto in gamba, nata e cresciuta a Shewula, ci ha portati nelle homestead, le tipiche abitazioni dello Swaziland, a conoscere le persone che le abitano. Ogni abitazione è costituita da un numero variabile di capanne dislocate in un cortile, ciascuna con una diversa funzione. Le famiglie, in Swaziland, sono complesse: la poligamia è legale e nelle zone rurali tuttora praticata, questo porta a contare un gran numero di bambini e ragazzi in ogni nucleo. Conoscendo le storie delle varie famiglie abbiamo capito ben presto che anche se è un’istituzione legale, la poligamia crea moltissimi problemi: oltre alle tensioni e alle gelosie che inevitabilmente si creano tra mogli, mariti e figli, la poligamia finisce per impoverire molto le famiglie. Una famiglia benestante è, ai nostri occhi, molto al di sotto della soglia della povertà.  In passato molti uomini per trovare lavoro raggiungevano le fabbriche di zucchero di canna che si trovano in Sudafrica, li si sposavano di nuovo – con valore legale – e finivano per smettere di inviare soldi a casa. Pian piano i paesi si sono svuotati e gli uomini non sono più tornati. Anche questo ha contribuito all’impoverimento delle zone rurali. Questo fenomeno si è arrestato, almeno in parte, ma la disoccupazione qui (la maggior parte della popolazione dello Swaziland vive in aree rurali) è ancora un problema forte. Molti degli abitanti delle homestead sono cattolici, alcuni animisti. La maggior parte fa la comunione la domenica e poi appena può va di nascosto da guaritori e divinatori per farsi levare il malocchio.

Il capitolo sangoma e iNyanga (guaritore) è per me l’altro aspetto interessante dello Swaziland. Peccato, però, che ho perso settimane, se non mesi, a cercare un contatto per riuscire ad assistere a una cerimonia di “diploma” senza riuscirci. Parto dal Governo, visto che le scuole sono governative. Niente. Passo all’ente turistico (che oltretutto ha sede in Inghilterra) che mi dirotta su un ufficio turistico a Mbabane. Email e telefonate; alla fine, forse per sfinimento, ecco il numero di una guida locale che organizza questo tipo di incontri. Di nuovo telefonate e email. Questo signore mi assicura di aver mandato il fratello a informarsi nel paese dove si trova una di queste scuole. Ho iniziato a chiedermi se il fratello fosse andato a piedi, perché ogni settimana la risposta era la stessa: ancora non è tornato. Fine della storia: ci ho sperato fino a due,tre giorni prima, ma niente. Lui scompare nel nulla, più nessuna notizia sul fratello e sulla scuola. Un grosso vuoto nell’itinerario pensato per lo Swaziland, perché quella era la cosa che attendevo con più ansia. Via dallo Swaziland un giorno prima. Magari voi sarete più fortunati!

Swaziland,

 

Lo Swaziland parte svantaggiato. Deve reggere il confronto con tutte le meraviglie incontrate in Sudafrica. E non lo regge, neppure lontanamente. In più le varie guide caricano di aspettative il lettore descrivendolo come un paese in cui si le tradizioni sono ancora presenti in ogni angolo. “Swazi, such a lovely and wild place” ci era stato detto più volte da una donna inglese sudafricana, che aveva vissuto gli anni dell’infanzia in questo piccolo stato. Io non ho trovato niente di lovely, né di wild e neppure tanta tradizione. Certo, se si ha la fortuna di visitarlo durante la cerimonia annuale dell’Incwala la storia cambia. Non è stato però il mio caso, io ho visto lo Swaziland nella sua normalità.

Qualcosa di interessante però c’è. L’ho trovato a Shewula, villaggio rurale dove un progetto di sviluppo sostenibile porta i viaggiatori a scoprire come si vive nel 2014 in una zona abbastanza remota (per i nostri standard) e povera (sempre per i nostri standard) dove il tasso d’incidenza dell’Aids è ancora elevato. Una ragazza molto molto in gamba, nata e cresciuta a Shewula, ci ha portati nelle homestead, le tipiche abitazioni dello Swaziland, a conoscere le persone che le abitano. Ogni abitazione è costituita da un numero variabile di capanne dislocate in un cortile, ciascuna con una diversa funzione. Le famiglie, in Swaziland, sono complesse: la poligamia è legale e nelle zone rurali tuttora praticata, questo porta a contare un gran numero di bambini e ragazzi in ogni nucleo. Conoscendo le storie delle varie famiglie abbiamo capito ben presto che anche se è un’istituzione legale, la poligamia crea moltissimi problemi: oltre alle tensioni e alle gelosie che inevitabilmente si creano tra mogli, mariti e figli, la poligamia finisce per impoverire molto le famiglie. Una famiglia benestante è, ai nostri occhi, molto al di sotto della soglia della povertà.  In passato molti uomini per trovare lavoro raggiungevano le fabbriche di zucchero di canna che si trovano in Sudafrica, li si sposavano di nuovo – con valore legale – e finivano per smettere di inviare soldi a casa. Pian piano i paesi si sono svuotati e gli uomini non sono più tornati. Anche questo ha contribuito all’impoverimento delle zone rurali. Questo fenomeno si è arrestato, almeno in parte, ma la disoccupazione qui (la maggior parte della popolazione dello Swaziland vive in aree rurali) è ancora un problema forte. Molti degli abitanti delle homestead sono cattolici, alcuni animisti. La maggior parte fa la comunione la domenica e poi appena può va di nascosto da guaritori e divinatori per farsi levare il malocchio.

Il capitolo sangoma e iNyanga (guaritore) è per me l’altro aspetto interessante dello Swaziland. Peccato, però, che ho perso settimane, se non mesi, a cercare un contatto per riuscire ad assistere a una cerimonia di “diploma” senza riuscirci. Parto dal Governo, visto che le scuole sono governative. Niente. Passo all’ente turistico (che oltretutto ha sede in Inghilterra) che mi dirotta su un ufficio turistico a Mbabane. Email e telefonate; alla fine, forse per sfinimento, ecco il numero di una guida locale che organizza questo tipo di incontri. Di nuovo telefonate e email. Questo signore mi assicura di aver mandato il fratello a informarsi nel paese dove si trova una di queste scuole. Ho iniziato a chiedermi se il fratello fosse andato a piedi, perché ogni settimana la risposta era la stessa: ancora non è tornato. Fine della storia: ci ho sperato fino a due,tre giorni prima, ma niente. Lui scompare nel nulla, più nessuna notizia sul fratello e sulla scuola. Un grosso vuoto nell’itinerario pensato per lo Swaziland, perché quella era la cosa che attendevo con più ansia. Via dallo Swaziland un giorno prima. Magari voi sarete più fortunati!

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