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Giovedì, 11 Giugno 2015

Sull'Oman. Autentico

Questa storia, questa visione di viaggio, l'ho messa giù per una newsletter di lavoro. La pubblico qui, anche. A distanza di qualche mese. Per chi ama stare a osservare, per chi ama interagire, per chi sa stupirsi.

ARTICOLO DI

CaffèOvunque

Destrutturo gli appunti, partendo dalla fine. Perché dovresti andare in Oman? Perché tra poco, spero di sbagliare, gli empori di Muttrah saranno sopraffatti da magazzini-tutti-uguali di robaccia I love Muscat, perché il tè saprà di caffè annacquato e il caffè verrà distribuito in bicchieroni di carta con un qualche marchio già visto su, perché allontanarsi da Muscat per visitare un wādī dall’aspetto lunare, dove camminare (per modo di dire, dove guadare con fatica) per ore fino alle sorgenti lungo le gole ripide è un’esperienza magnifica. Perché stanno ingrandendo l’aeroporto di Muscat e ho visto navi enormi attraccare al porto, sinonimo di un prossimo turismo in-sostenibile. Perché ora, ancora, ci si confonde tra la folla, si entra in moschea come un viaggiatore accolto con saggia meraviglia. Perché si mangia ospitati da famiglie locali (basta chiederlo!), perché il cibo è incoerente ma delicato, sa di biryani al curry là dove non t’aspetteresti il biryani. Perché puoi prenderti il tempo per perdere tempo, su una sediolina di fortuna (o una cassetta di legno), tu, un paio di signori baffuti e il gestore di una caffetteria a guardare quelli che s’inventano la pesca con un filo per stendere i panni e un’esca alla frutta o sui prati con le famiglie, al sabato, dove pare che i discorsi sullo stesso argomento, il cricket ad esempio, non terminino mai. Perché in Oman si parla anche un arabo portoghesizzato o un portoghese arabizzato, e non lo senti altrove. Perché sei a casa ma è così diverso da casa. E’ verde e desertico, pieno d’acqua ma arido il paesaggio. Perché è intatto, fermo. Senza mediazioni ma neanche eccessi. 

Adesso, gli appunti. La gran parte dei voli plana su Muscat a notte inoltrata direttamente dalla costa iraniana, se sei fortunato e non hai uno scalo negli Emirati. Venendo dall’Iran è un’altra storia. Nulla di più sorprendente. Le luci non sono quelle delle più sproporzionate Doha o Dubai. Nessuna palma di cemento issata dalla spiaggia né altissimi edifici. Le poche illuminazioni incorniciano la pista d’atterraggio e le strade verso la città. Vedi tante navi, sì certo. Sei nel Golfo di Oman verso lo Stretto di Hormuz, la oil-route per antonomasia. Si raggiunge l’Oman in silenzio. Si vive l’Oman in silenzio. L’ospitalità è riverente. Vengo accolta da dinamici funzionari in dishdāshah impeccabili (intonsi! Neanche una spiegazzatura da seduta) e tuniche dai colori tenui e neutri. Gli uomini indossano turbanti floreali mai uguali gli uni agli altri; piccole differenze nell’annodarli attorno al capo ne fanno un lodevole vezzo d’orgoglio. Colorati o damascati, a tinta unita o con drappeggio laterale, tondi e poggiati leggermente sul capo, i copricapo omaniti, così come gli abiti sia per gli uomini che per le donne (perlopiù ʿabāya), rappresentano il particolare che non può sfuggire a un trasandato viaggiatore. 

Non vedo disordine. Nel più ampio significato del termine. Percepisco una semplice organizzazione e, sopra ogni cosa, percepisco una grande considerazione per il Sultano. Non sono (s)travolta dalle voci, come a Fès o al Cairo, mi sento guidata. Posso decidere di aspettare il primo bus (sono le quattro del mattino, quasi), scegliere un taxi singolo o aspettare qualche altro passeggero per un mezzo condiviso. Una fila organizzata di tassisti, perlopiù anziani e assorti in preghiera, aspetta la mia decisione. Posso acquistare subito un quotidiano fresco di stampa in arabo, inglese, urdu, hindi. E lo faccio. Il taglio è internazionale. Ho tempo per scegliere. Posso fermarmi e ascoltare con calma l’adhān del mattino (ci sono tante piccole moschee azzurre lungo il tragitto per Muscat).  Mi sento subito parte del pacifico scorrere del tempo. Il buio va via in fretta.

Una prolungata e salata colazione mi impegna nell’attività più stimolante del primo giorno di viaggio (di un qualsiasi viaggio): l’osservazione attenta del peregrinare dei cittadini locali da un punto di osservazione privilegiato: un tavolino anonimo in un caffè anonimo in una zona semicentrale ma anonima. Mi colpisce l’attenzione con cui a Muscat ci si faccia confezionare vestiti su misura. La città nuova e i quartieri originari a sud sono pieni di botteghe, mai improvvisate, di sarti e maestri di cucito ciascuno specializzato in un particolare fregio o stoffa o confezione. Sarti perlopiù del subcontinente indiano, svelti a ritagliare sagome di cartone, silenziosi nelle misurazioni. Un po’ riposano nelle ore più calde dentro i chioschetti del tè, sotto le gallerie del mercato vecchio. Tutti sotto ventilatori bianchi a soffitto che danno l’idea di non reggere le pale che girano lentamente ma che almeno mitigano i quaranta e più gradi di mezzogiorno. Gli edifici, le case, che a Muscat non devono mai soverchiare le vecchie abitazioni e che si issano per non più di due o tre piani (garantendo un paesaggio morbido e definito alla vista) sono tutte, ma proprio tutte, bianche. Eccentriche solo per i giardini di palme e i cespuglietti di fiori. Le tante arcate (mai spigoli nell’architettura omanita!) che ricalcano Sana’a o i palazzi delle più antiche città persiane sono arricchite di  griglie in legno ornato e colonnati tutti uguali. Armoniche e perfettamente in sintonia con l’ambiente. 

La gente. Il tessuto dell’Oman ne determina l’unicità nel Golfo. Muscat è oltrefrontiera, è devota ma tollerante. E’ ibadita perlopiù ma anche sunnita. E cristiana. L’Oman è terra di approdo, lo è stato e lo è tutt’oggi. E’ un posto in cui la cucina indiana o cingalese o nepalese è fusa con la più pratica cucina degli emirati. E’ terra di zuccherosissimi halwa, tagliati al momento nelle spaziose confetterie del centro. Di caffè (speciale, col cardamomo), di datteri piccolissimi, i migliori che abbia mai assaggiato, di tè nero al latte (da bere bollente) e soprattutto di spezie. Spezie, già. Dovunque vedo (e sento) noce moscata in gerle, cannella in corteccia in barattoli, vaniglia talmente luccicante da parere finta, incenso che si sbriciola o in polvere. E profumo. L’Oman è dedicato ai profumi. Sensazionali e marcati come solo nel Golfo e nel Corno d’Africa puoi percepire. Profumi da stordirti. Legnosi ma dolcissimi sul fondo. Gli uomini li testano in ogni laboratorio o olfattorio. Le donne, beh, loro tra amiche, madri e nonne entrano in profumeria e, in circolo, restano ore a provare e riprovare fragranze. Con piglio severo. Ne avrò viste a decine discutere per intonare una giusta fragranza personale.

Ecco tutto anzi non tutto ma qualcosa sull’Oman. Un principio per pensare a un posto da esploratori se ti piace credere che c’è ancora qualcosa di non-già-visto. 

 

 

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