Articolo
racconto icon
Mercoledì, 29 Aprile 2009

Sharm Esh-Shaykh, quando gli stranieri siamo noi

Odore di cannella, zenzero e miele d'acacia. E poi vasi, essenze e tessuti. Sui banchi del mercato della punta estrema della penisola del Sinai il pane al coriandolo lo trovi vicino alla frutta, agli olii essenziali...
Concorso Storie Vagabonde

ARTICOLO DI

Vagabondo0


Questo racconto partecipa al concorso Storie Vagabonde!

Ci sono 1000 euro in palio! Partecipa anche tu inviando i tuoi racconti entro il 25 aprile 2009. Dal 1 al 30 giugno 2009 potrai votare il vincitore ed assegnare il premio: se questo racconto ti è piaciuto, ricordatene!





Odore di cannella, zenzero e miele d’acacia. E poi vasi, essenze e tessuti. Sui banchi del mercato della punta estrema della penisola del Sinai il pane al coriandolo lo trovi vicino alla frutta, agli olii essenziali, agli strumenti musicali. A Sharm esh-Shaykh l’ordine non conta e il tempo ancor meno. Potresti trascorrere intere ore a chiacchierare con i venditori delle botteghe addossate nel centro turistico di Na’ama Bay, a cinque chilometri a nord di Sharm, senza nemmeno rendertene conto. In quelle decine di piccoli sgabuzzini, adibiti a locali commerciali, lo shopping diventa un tour tra eleganti salotti. Ci sono tappeti lavorati a mano, lampadari di ottone e cristallo, cuscini di velluto. Quando entri in un bazar non acquisti subito. Siedi a un tavolo con i proprietari del negozio, bevi tè alla menta e racconti di te, della tua Italia. E loro ti ascoltano, in silenzio. Perché immaginano che a nord del continente nero la vita sia più facile. «Si guadagna bene, si vive agiatamente», questo pensano di noi. E niente può fargli cambiare idea. Se gli confessi di vivere in un monolocale, di guadagnare cinquecento euro al mese e di esserti concesso un viaggio dopo tre o quattro vacanze mancate, loro ti rispondono sarcasticamente «compà». Come a dire: «a chi vuoi darla a bere». Ma in fondo cosa importa, non devi mica indurli a crederti. Esci dal locale e hai in mano un paio di bottigliette di vetro con la sabbia colorata. Ti hanno convinto a portare nella tua terra un pezzo d’Egitto. Ci sono riusciti. Ma il ricordo di un viaggio non può essere contenuto in un barattolo di vetro. Bisogna scovare altro. Scendi in strada e ti guardi intorno. Le tuniche avorio, nero corvino, oro, blu ardesia e rosa di Parma. Denti perlati tra labbra carnose. Occhi neri sotto fronti strette. Mani dalla carnagione olivastra. Chador tiratissimi che lasciano scoperto solo il viso. E poi caffettani fino alle caviglie e sandali di pelle. Trovare i fellahin accanto ai beduini, ai copti, ai berberi, ai siriani, agli armeni, ai turchi e agli indiani è come tuffarsi in un vortice di diversità. Loro passeggiano, siedono sui cuscini delle decine di ristoranti all’aperto, ti guardano. E lo fanno fissandoti dritto negli occhi. Sguardi curiosi, scrutatori, sospettosi. Del resto, gli stranieri siamo noi. Turisti meravigliati per la povertà vissuta con normalità, per l’acqua mista a sabbia che viene giù dai rubinetti degli alberghi. Incuriositi dal Ramadan che, durante il nono mese del calendario musulmano vieta ai fedeli di bere alcolici, di fumare e mangiare per tutta la giornata, dall’alba al tramonto, affascinati dal rigore delle moschee. La religione musulmana impone stili di vita legati al decoro, alla pudicizia. Le donne indossano il copricapo e i fedeli entrano nella moschea a piedi scalzi, siedono a terra senza mostrare la pianta del piede o incrociare le gambe. Troppo rigore per noi occidentali che non disdegnamo indumenti provocanti e atteggiamenti amichevoli con il sesso opposto. Troppa inclemenza per chi ama scollature profonde, gonne cortissime e topless. Come quelli sfoggiati sulle spiagge ocra del mar Rosso. Gli infusi di fiori di ibisco, la barriera corallina, la grappa di datteri e le escursioni nel deserto non sono gli unici piaceri dei turisti. Gli acquirenti del last minute tutto incluso vanno in Egitto per divertirsi e lo fanno talvolta stravolgendo le regole della cultura locale. Sfoggiano perizoma e scambiamo effusioni in pubblico. Complice il desiderio smodato di divertimento, il caldo torrido, i casinò, i locali sulla spiaggia. Non importa se ciò che si mostra è troppo, eccessivo. Non importa se permissivismo e nudità cozzano con la rigidità e la compostezza degli abitanti del luogo. Qui sono i turisti a dettare le regole del gioco. E gli autoctoni ormai ci sono abituati.




Sharm, la "perla del mar Rosso", in poco più di venti anni, da tranquillo villaggio collocato su una collina, è diventato infatti una distesa di complessi turistici allineati lungo la costa. Un crocevia tra il nord e il sud del mondo. Chiunque, qui, lascia e porta via qualcosa. Lascia un po’ del proprio respiro e porta via la polvere d’oro del cielo notturno, le dune gialle del deserto, la cultura di una delle prime civiltà del Mediterraneo. Ciò che rimane scolpito negli occhi di uno straniero in Egitto sono i colori: l’azzurro del mare, il bianco delle abitazioni, la vivacità della barriera corallina. E poi le mille contraddizioni. L’aridità del terreno desertico e l’abbondanza delle colture lungo i corsi d’acqua, il chiasso dei villaggi turistici e il silenzio delle pietre e della sabbia, il rigore della cultura araba e islamica e il fantasma della religione cristiana sul monte di Mosè, lo Uyun Musa, 2285 metri di altezza, dove il profeta del popolo ebraico ricevette i dieci comandamenti. Una terra di contrasti, difficile da trovare in qualunque altro paese del mondo. Uno stato, dove le lussuose navi da crociera del Nilo che da Assuan salgono verso Luxor, Esna, Edfu, Aswuan, Abu Simbel, incontrano, tappa dopo tappa, le mani dei nativi in cerca di bakshish, di mancia. Una temperatura, quella della terra definita da Erodoto "dono del Nilo", che di giorno asciuga l’aria con picchi di caldo tra i 30 e i 45 gradi e al tramonto scende in picchiata a 10-20 gradi. L’Egitto offre narghilé (pipa di vetro) ai turisti e non ha matite o penne da regalare ai bambini del vicino Sudan. Il paese dei tre deserti conosce il turismo e lo scambio culturale con l’Occidente, ma ha poco da dare all’Africa nera che abita a sud. «Per capire cos’è il nostro continente bisognerebbe girarlo in lungo e in largo – dice Hammed, una delle tante guide turistiche che accompagnano i visitatori a Sharm vecchia, nel museo dei papiri e nel monastero di Santa Caterina – Ogni stato è un mondo a sé, ogni singola persona è come un granello di sabbia assetato di vento, di acqua, di vita. Un proverbio arabo dice – continua Hammed – che chi entra nel deserto è morto, chi esce è appena nato». Parole incomprensibili per chi non ha mai visto distese di sabbia perdersi a vista d’occhio. Una realtà aliena che genera curiosità e sospetto.




Di fronte alle palme e alle rocce mute lo straniero in Egitto prova lo stesso disorientamento di un egiziano che osserva i comportamenti lascivi di turisti italiani, francesi, bulgari, russi. L’esplorazione del deserto del Sinai di solito inizia al tramonto. Un’ora di viaggio, a bordo di moto a quattro ruote, con la gola arsa dalla sabbia, gli occhi e gli indumenti pieni di polvere, per arrivare alla grande tenda beduina, per conoscere i "signori del deserto", i nomadi delle regioni steppose, dediti all’allevamento transumante. L’ospitalità di questo gruppo di coltivatori è senza pari. La tradizione badw fa sedere a terra i commensali, fa mangiare riso lesso speziato e carne di pollo e offre spettacoli di musica e balli del costume popolare. Un tuffo nella vita semplice di un popolo forte e vigoroso, capace di vivere in un ambiente tanto ostile quanto salubre. Una vera e propria discesa agli inferi perché la steppa è, secondo la tradizione islamica, l’Inferno sulla terra. Il terreno, qui, è lontano dai corsi d’acqua, dai paradisiaci campi fertili del Nilo. La sensazione che si avverte qui è di totale miseria. Un’impressione che cresce al calare della sera. Il villaggio beduino, come tutti quelli sparsi lungo il Nilo, lontani dai grandi centri abitati di Alessandria e il Cairo, ha ritmi di vita ancorati all’alternarsi del giorno e della notte. Le baracche sono prive di acqua ed elettricità e l’unica fonte di energia è quella solare. La giornata finisce alle otto di sera. E quando tutt’intorno ci sono solo ombre, buio e stelle altro non resta che un tè alla menta bevuto nella propria tenda. Un modo per ritrovare la propria famiglia e raccontare le fatiche di una giornata. Trovarsi in queste tende, per uno straniero, significa riappropriarsi del valore della comunità e degli spazi condivisi. E’ in questi istanti che le parole di Hammed tornano alla mente. Si trasformano in un refolo che soffia lieve alle orecchie. «Chi entra nel deserto è morto, chi esce è appena nato». Sì, è proprio così. La pianura sabbiosa è minacciosa. E’ come un grande orco che tiene prigioniere le sue prede. Una gabbia senza sbarre di ferro. Uno spazio immenso e uniforme che non ha via d’uscita. Deserto, dal latino deserere, abbandonare. Perché così ci si sente lì in mezzo, abbandonati, impotenti, insignificanti. Il deserto fa paura perché è sempre uguale a se stesso e non ha altri compagni che il sole, il vento, il silenzio. Un silenzio che per uno straniero in Egitto risulta incontenibile. E’ questo il momento in cui si corre verso la "Valle dell’Eco", una grande conca di sabbia dove l’urlo più furioso, rabbioso, violento e liberatorio svuota il corpo e si diffonde nell’aria. Un suono che attraversa il vento, il buio, le dune e torna indietro, colpendo come un boomerang, riempiendo le orecchie, rimbombando nel petto come il suono grave di un basso.



Il viaggio a ritroso nel deserto è il momento della riflessione. E’ qui che si ripensa alle voci e ai volti delle persone incontrate, alle immagini e ai luoghi fotografati. E’ qui che si ricorda l’albero della vita, quell’albero raffigurato sui papiri che mostra la fragilità dell’esistenza e l’incertezza del futuro. I pensieri corrono, si inseguono, si affollano. La tenda beduina è alle nostre spalle. Ora il desiderio è abbandonare la pianura desertica del Sinai e tornare alla confusione del villaggio, al fragore delle risate, alla libertà e alla nudità del corpo. Questo il disegno iniziale. Questo il desiderio che spinge uno straniero a partire.


Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.