RACCONTO
racconto icon
Lunedì, 31 Gennaio 2005

Nuova Guinea - A piedi nell'Irian Jaya

A piedi nell'Irian Jaya, nella preistoria tra gli ultimi uomini liberi

ARTICOLO DI

Vagabondo0

Procediamo ad un ritmo forsennato nel continuo tentativo di superarci
l'un l'altro.

Il battito del cuore ritma ossessivamente la marcia, ma ancor più ossessivo è il pensiero che si impossessa di noi:

«SIAMO I PRIMI, SIAMO I PRIMI,...»

E per poter urlare «Sono il primo tra i primi!» ciascuno di noi si mette a camminare come un pazzo, incurante delle cadute dovute al terreno viscido e dei graffi procurati dalle piante spinose. Poi, a poco a poco, l'euforia ci abbandona per lasciare il posto alla fatica, al dolore delle ferite e delle contusioni accumulate in due settimane di cammino, ma anche ad una struggente commozione; dietro di noi, per la prima volta ci sono impronte di scarpe in questo angolo della terra; avanti a noi nulla è conosciuto.



Ci rendiamo conto di aver superato un «punto di non ritorno». I dubbi e le paure dei giorni scorsi sono sostituiti da un unico desiderio:

andare avanti ad ogni costo, scoprire quello che ci aspetta qualunque cosa sia.

Intendiamoci, alcuni dei locali che avremmo incontrato avevano avuto contatti con la Missione che era loro più vicina, ma nessuno aveva mai messo piede nelle loro valli, nemmeno i missionari.

Seduti su un tronco marcio ci troviamo a commentare le circostanze che ci hanno permesso di arrivare fin qui.

Il tragitto dai villaggi semicivilizzati a queste valli, rappresentate sulla nostra cartina aeronautica da una zona bianca e dalla sigla RDI, «relief data incomplete», è stato lungo e travagliato.

Per i primi giorni il cammino su terreni semidisboscati percorsi da evidenti sentieri fatti dai locali, e' stato facile, come pure facile era reperire nuovi portatori per sostituire quelli che non intendevano allontanarsi troppo dal loro villaggio.


Poi quando siamo entrati nella foresta, tra le montagne, si sono presentate le prime difficoltà: frane da superare, varchi da aprire tra la fitta vegetazione e torrenti da guardare hanno intralciato il cammino abbassando notevolmente le medie orarie.

Inoltre, a causa della rarefazione dei villaggi, abbiamo avuto i primi problemi logistici quali la difficoltà di reperire cibo o di trovare ripari sicuri per la notte.



Le difficoltà maggiori le abbiamo però incontrate quando abbiamo tentato di avvicinarci alla zona inesplorata, infatti nessuno era'disposto ad accompagnarci per paura delle tribù aggressive e degli spiriti della foresta.

Durante questo periodo di stasi abbiamo impiegato il tempo a cercare di comunicare con i locali e a curare le persone malate poi, quando stavamo per rinunciare all'impresa, abbiamo avuto un insperato colpo di fortuna.

I temuti abitanti dell'inferno, incuriositi dalla nostra presenza e spinti dalla necessità di far curare la figlia di un importante capo sono usciti dalle loro valli per raggiungere il nostro gruppo.



Un mattino siamo stati svegliati da due individui armati di archi, frecce e pugnali ricavati da femori di casuario.

Per un attimo la vista delle armi, dei volti decisi e dei corpi solcati da profonde cicatrici ci ha fatto gelare il sangue poi, compresa la situazione, ci siamo presi cura della bambina che aveva urine e feci semibloccate a causa del ventre gonfio.



Ai primi sintomi di miglioramento della bambina, il capo ci ha invitato a
visitare le sue valli, offrendo l'aiuto dei suoi uomini per guidarci, scortarci e portare i nostri sacchi.

Interrompiamo le nostre considerazioni per riprendere il cammino verso i villaggi di questi uomini che oggi, per la prima volta, hanno deciso di ospitare delgi stranieri. Siamo orgogliosi di essere ospiti di questo clan, ma siamo anche decisi ad usare molta prudenza.

Non osiamo infatti immaginare cosa succederebbe se, inavvertitamente, infrangessimo qualche tabù. Infatti questi guerrieri preistorici con i piedi eccezionalmente larghi che garantiscono l'equilibrio, con gli alluci prensili usati come ramponi che assicurano la presa nel fango, con la muscolatura possente che permette di superare qualsiasi ostacolo e con la bassa statura che consente loro di sfruttare anche il minimo varco nella barriera di vegetazione, si trasformerebbero in implacabili nemici ai quali sarebbe impossibile sfuggire.

La foresta vista con gli occhi di questi uomini si svela in tutti i suoi aspetti: ragnatele di venti metri per venti, infide sabbie mobili color smeraldo, buche perfettamente mimetizzate irte di pali acuminati, enormi frutti commestibili, pappagalli con oltre un metro di apertura alare.



Continuiamo a camminare lottando contro le sanguisughe che tentano di infilarsi al di sotto delle ghette, alternando momenti di intenso sforzo per guadare i torrenti impetuosi, a momenti di vera paura.
per attraversarli su tronchi abbattuti per lo scopo poi, finalmente, un villaggio.
Entriamo nella casa degli uomini per ripararci dalla pioggia, poi un uomo, utilizzando solamente un bastone ed una striscia di corteccia, in due minuti, innesca la scintilla per accendere il fuoco al centro della capanna.

Il fumo viene disperso soltanto attraverso il tetto di paglia ed in breve l'aria diviene irrespirabile, ma la possibilità di asciugare i vestiti e di tenere lontani gli insetti valgono bene qualche lacrima ed un pò di tosse.

Approfittiamo del riparo per offrire i nostri cibi, per fare domande e per ascoltare storie di montagne sacre protette da lingue di fuoco, di fantasmi, di branchi di cani che raccolgono le acque dei laghi per allagare i villaggi e di uomini che di notte si trasformano in uccelli per procurarsi il cibo.

Apprendiamo che i capi conquistano e mantengono la loro posizione grazie all'uso delle armi e della magia: i tré più valorosi hanno ucciso rispettivamente 15, 9 e 5 uomini di cui conservano gelosamente le dita.

Abbiamo di fronte cinque capi-villaggio, ma tra di essi emerge per fierezza e autorità il nostro protettore. E' il capo di una alleanza che unisce diversi villaggi di queste valli; dispone di decine di guerrieri, impartisce ordini, dispensa punizioni e malefici, riscuote tributi.

Ha conquistato questa posizione non solo facendo credere di saper condizionare gli eventi meteorologici e quelli sovrannaturali, ma soprattutto alleandosi con i nemici più forti ed uccidendo i più deboli
.
E' il tipico «big man» degli altipiani, generoso e spietato, leale con gli amici quanto infido con i nemici.

Improvvisamente si allontana con l'arco e, poco dopo, pianta una freccia nel collo del maiale più grosso. Il fatto che venga ucciso un maiale per noi è un grande onore se si considera che questo avviene solo nelle grandi occasioni in quanto questi animali sono simboli di potere e possono essere
usati per comprare le mogli.


Il maiale viene appoggiato sul fuoco per bruciare alla meglio i peli poi, mentre alcuni lo svuotano delle interiora e lo difendono dagli assalti dei cani, altri depongono sopra al fuoco una pira di legni che poi vengono ricoperti di pietre.

Dopo circa un'ora le pietre incandescenti vengono prese con delle pinze di legno e gettate in una buca insieme a strati di foglie, di vegetali commestibili e di pezzi di maiale.

Dal momento che non esistono contenitori che permettono di utilizzare altre tecniche, questo metodo di cottura è l'unico conosciuto e praticato nella zona. Passiamo la serata a mangiare e ad ascoltare canti, la notte a riaccendere il fuoco ed a contendere il posto nel sacco a pelo a fameliche pulci.

Nella giornata appena trascorsa siamo stati testimoni e protagonisti della vita di un villaggio del neolitico. Sembra una cosa piuttosto banale dal momento che il termine «neolitico» è stato usato a sproposito da tour operator che hanno spacciato per «viaggi nell'età della pietra» confortevoli soggiorni nelle moderne cittadine dell'Irian Jaya, ma in realtà si tratta di una esperienza eccezionale.

Tardiamo a prendere sonno al pensiero che questo villaggio è uno dei pochi al mondo nei quali è possibile assistere a gesti e a riti che si ripetono immutati da più di 10.000 anni, da quando cioè i primi gruppi di cacciatori-raccoglitori attraversarono il ponte delle isole indonesiane per raggiungere l'Irian Jaya e disperdersi nelle valli più remote.

Top of page!



I giorni successivi, accompagnati da più di venti guerrieri, percorriamo varie valli adattandoci ai ritmi locali: passo veloce, quasi di corsa, alternato a numerose soste, dedicate alla raccolta e alla caccia.

Ci sentiamo ridicoli con i nostri sacchi di viveri in questa foresta dove è possibile procurarsi il cibo durante il cammino; altrettanto ridicola è la nostra attrezzatura, se si pensa che per sopravvivere, sono sufficienti un arco, delle frecce, un pugnale di osso di casuario ed un astuccio penico.

In questo ambiente ci rendiamo veramente conto di quanto certi nostri bisogni siano creati e non realmente necessari.

Un giorno, separandoci dal gruppo insieme al capo, percorriamo un sentiero che non era stato battuto dai tré guerrieri che normalmente ci precedono di almeno un'ora ed abbiamo l'occasione di toccare con mano quanto attenta e strenua sia la difesa del territorio che ciascuno esercita nei confronti di tutti.

Ci troviamo infatti circondati da individui che ci puntano addosso le frecce con un atteggiamento che non lascia dubbi sulle loro intenzioni; abbiamo un attimo di panico, poi il capo si fa riconoscere e tutto si risolve.


Ma l'episodio serve a farci capire quanto sarebbe difficile attraversare questo territorio senza la scorta dei nostri stupendi amici.

Tutte le notti usufruiamo della generosità degli abitanti dei villaggi e viviamo le loro stesse esperienze.

La vita non è sempre facile: a volte mangiamo con i peli e le interiora dei piccoli marsupiali che ci guardano con disapprovazione mentre li addentiamo, o dei cibi cucinati «personalmente» dal guerriero al quale somministriamo con regolarità sulfamidici contro la dissenteria; ma una si-
mile esperienza vale bene qualche rischio.
Apprendiamo semplici ed efficaci tecniche di sopravvivenza come tirare con l'arco, costruire un riparo di fortuna, accendere un fuoco con la legna bagnata, riconoscere i frutti commestibili, costruire un ponte.

Ma impariamo anche i rituali necessari per avvicinarci alle zone tabù, le preghiere per condizionare gli eventi meteorologici e gli stratagemmi che aiutano a non diventare vittime di magie.

In pochi giorni passiamo dallo stato di ospiti a quello di amici di questi uomini eccezionali: gli ultimi uomini liberi!

Un solo rammarico: non avere tempo a sufficienza.

Una sola solenne promessa: RITORNEREMO(siamo tornati l'anno successivo)

È stato un viaggio perfetto reso possibile da un po' di fortuna, ma soprattutto dalla attiva partecipazione di un gruppo di avventurieri degni di nota per doti umane e capacità.

I partecipanti: Alessandro, Domenico, Enzo, Arnaldo, Giovanni, Sandro e Mauro.

Caro Alex,

ho dato un'occhiata alle foto che mi sembrano bellissime.

Il testo non l'ho ancora letto tutto, ma mi sembra un po' sintetico.

Visto che c'è tempo, se ne avete voglia potete anche rimpolparlo un po', mi pare che
l'esperienza varrebbe la pena!

Sarebbe anche carino che diceste
esattamente dove si trova questo posto, come vi è venuto in mente di
andarci e che difficoltà avete incontrato.

Potete farlo sia nel testo del racconto che a parte, come un capitolo a sé, come preferite.

Ciao Grazie

Fiamma

Top of page!



Ariciao Fiamma.

Ora ti spiego. Il viaggio è stato fatto nel 1990 e siamo
ritornati giù l'anno dopo in più persone.

Questo è uno scritto che abbiamo
buttato giù mesi dopo, forse anche per accompagnare il filmato che avevamo
fatto.

Ora però colui che materialmente lo scrisse, Domenico, non è più
tra noi, ci ha lasciato esattamente 10 anni fà di questi periodi, è per
questo volevo che rimanesse così, per un suo ricordo, tale e quale lui lo
aveva scritto.

L'organizzatore di questo viaggio inizialmente fu lui,
Domenico, che io già conoscevo per un viaggio fatto in Kashmir
precedentemente.

Tramite "Avventure nel Mondo", di cui lui era stato
capogruppo in altri viaggi, si decise di contattare altre persone decise a
fare questo tipo di esperienza, effettivamente non alla portata di tutti,
perchè dovevamo almeno essere in 6.

Era una "Prima" (infatti da quell'anno
in poi è stato inserito tra i viaggi di Avventure nel Mondo) e alla fine
partimmo in 7, dopo varie riunioni sul percorso, su cosa portare e tutti
gli altri vari aspetti logistici per non rimanere impantanati tra la
burocrazia indonesiana.

Il perchè di un simile viaggio non ha risposta,
era il momento giusto, con persone giuste, e con la giusta ispirazione.

Voglia di cose nuove, di conoscere qualcosa che mai nessun altro aveva
conosciuto, sentirsi per alcune settimane persone dedite a scoprire
piuttosto che inquadrati turisti, e decine di altri motivi, anche
personali per ognuno di noi.

Guarda, ti aggiungo i ringraziamenti così
come li aveva scritti Domenico, così ti puoi fare un'idea anche delle
difficoltà e pericoli a cui siamo andati incontro:

Voglio ringraziare Enzo
per aver salvato Arnaldo ricucendogli un'arteria e salvandolo, Giovanni
per essersi sottoposto a marce forzate per accompagnare il ferito in
ospedale e ricongiungersi poi al gruppo, Sandro per essersi accollato tre
giorni di cammino in solitario pur di restare col gruppo fino all'ultimo
giorno compatibile con la data del suo rientro in Italia, Alessandro per
aver continuato a camminare pur perdendo un chilo di peso al giorno
(quasi), Mauro per aver allietato le nostre serate con litri di tè al
bergamotto e tanto Grana Padano (o Parmigiano).

'); document.write('Bye ALEX' + '.'); // -->



P.S. Comunque ora ci penso. Casomai, proprio non bastasse, vedrò di
contattare gli altri e di scrivere qualcosa.

Top of page!



II invio

Clicca per ingrandire
Il viaggio si è snodato una parte da Wamena ad Angguruk, e una parte, la più selvaggia, a nord sopra Wamena verso il fiume Mamberano, una piana alluvionale che è tuttora sconosciuta
e dove non siamo mai arrivati, perchè bisognava superare dei monti che
erano tabù per le popolazioni che ci accompagnavano, in quanto erano le
montagne dei sacri fuochi degli spiriti.

Ad Angguruk la pista per gli aerei non è una vera pista, è una air-strip a strapiombo in una valle
(foto allegata), che serve per gli aerei della MAF, cioè dei missionari, i
quali ci volano solo se prenotati precedentemente e con restrizioni di
peso.

Noi lo abbiamo preso per il ritorno fino a Wamena,così avevamo tempo
per un'altro trekking, in quanto ci sono un centinaio di km di marcia tra la
giungla e montagne da superare alte fino a 3600 m.

Le difficoltà che si possono
trovare in un viaggio di questo tipo sono innanzitutto di carattere fisico
perchè le condizioni climatiche sono proibitive essendo di poco al di sotto
dell'Equatore. Primo fra tutto il caldo umido, piogge torrenziali
giornaliere ma di breve durata nelle ore più calde, quindi si cammina
sempre con le scarpe bagnate e ciò comporta evidenti disagi ai piedi.

Quasi sempre si è in mezzo al fango, in alcuni punti con pericolo di sabbie
mobili, o si doveva guadare fiumi e torrenti, o scendere con le imbragature e corde
che ci eravamo portati. Quindi ci siamo dovuti organizzare già dall'Italia
su cosa portare di indispensabile, anche pensando al fatto che una volta
là eravamo da soli, fuori dal mondo, ad alcuni giorni di cammino dal posto
più vicino in cui chiedere aiuto.

Bisognava partire presto la mattina
perché essendo la regione anche montagnosa la luce del giorno calava abbastanza
presto, verso le le 16,30-17, quindi alcune volte ci si doveva fermare
verso le 15,30-16 per preparare il campo e per mangiare, in quanto di
notte non è salutare continuare a camminare.

Quando si trovava un
villaggio in cui fermarsi, bisognava stare attenti, perché gli indigeni sono
animisti e molto superstiziosi: se fosse successo qualcosa di strano al villaggio e ai
suoi abitanti mentre eravamo di passaggio o ci fermavamo, la colpa sarebbe
stata nostra, con spiacevoli conseguenze, tanto che una volta la nostra
guida ci ha consigliato di andarcene non appena si avvistava il primo
raggio di sole.

Ricordiamoci che sono, o meglio erano popolazioni che
erano dedite al cannibalismo fino agli inizi degli anni '70. La nostra
guida Sam, l'abbiamo conosciuta a Wamena pochi giorni dopo il nostro
arrivo, mentre comperavamo ciò che ci sarebbe servito per il trek, al
mercato locale.

Era l'unico che non fosse una guida governativa, era un
locale cresciuto con i missionari vicino a Wamena e ci avvicinò in quanto
lui parlava anche inglese, oltre la lingua locale e l'indonesiano. Ed era
l'unico che ci poteva dare ciò che noi andavamo cercando, cioè ci poteva
assicurare che avrebbe fatto di tutto per portarci dove volevamo noi senza
portarsi poi dietro i militari indonesiani, che sono visti dalle
popolazioni locali come la popolazione irachena vede i militari USA.

Questa scelta ci portò conseguenze subito in quanto le due guide
governative riuscirono a farci cacciare dalla losmen che occupavamo
(pensioncina locale) e da altre fino a che Sam non ci trovò un posto fuori
Wamena.

Poi si occupò di trovarci alcuni portatori locali che sarebbero
stati molto utili anche per intrattenere rapporti con le popolazioni che
avremmo incontrato lungo la strada.

Uno dei momenti più difficili fu
senz'altro il secondo giorno di trekking da Wamena. Erano all'incirca le
due del pomeriggio e stava piovendo alla grande da circa venti minuti. Io
e Arnaldo chiudevamo la fila piuttosto allungata dalla gran pioggia,
mentre passavamo attraverso un villaggio di poche capanne. Nello
scavalcare il recinto di delimitazione fatto con tronchi e rami appuntiti,
Arnaldo sbatte con il dorso della mano in uno di queste punte e si taglia.

Subito ci rendiamo conto che è una cosa grave perché c'è un taglio di
almeno 6 cm e il sangue esce a fiotti violenti, allora comincio a correre
in avanti alla ricerca degli altri più avanti, che non si vedevano più
tanta era la vegetazione e la pioggia, per fermarli per poter curare il
ferito.

Ci si ferma nel villaggio e si decide di ricucire la ferita.
Nessuno lo aveva mai fatto, sembrava un film di Rambo, ricucire la ferita
da sveglio senza anestesie o altre cose solo con il cordiale militare che
proprio Arnaldo si era portato.

Prima di partire dall'Italia in una delle
riunioni di preparazione, avevamo deciso di portarci tutto il kit che
usano le Guardie Forestali in Italia in quanto Enzo era uno di loro e
aveva a casa una di queste sacche, che poi noi avevamo reso più sostanziosa
con altre cose più specifiche per il viaggio che stavamo per fare.

Quindi
dentro c'era anche il kit per la sutura e fiale di (anti?)-coagulanti,
questo non me lo ricordo perché proprio non me ne intendo di queste cose, fece
tutto Enzo in quanto per lavoro aveva seguto un corso di Pronto Soccorso.

Tutti
facemmo la nostra parte, chi teneva forte di quà, chi di là, chi distraeva
o incoraggiava Arnaldo chi aiutava a ricucire ecc.ecc. Tra le più svariate
difficoltà tutto andò bene, sembrava che la sutura tenesse, così ci
fermammo per la notte.

In serata il capo villaggio pregò e fece una
cerimonia di guarigione per Arnaldo che era un misto di animismo e di
religione cristiana che era stata inculcata loro dai missionari di Wamena.

La mattina dopo di comune accordo noi proseguimmo per il trekking e
Arnaldo accompagnato dal fratello Giovanni ritornò a Wamena per andare
all'ospedale a farsi controllare.

Era tutto a posto, neanche loro
avrebbero potuto fare meglio. Poi Giovanni ci raggiunse con un tour de
force di tre giorni, mentre Arnaldo ci venne a prendere con un Cessna
della MAF ad Anggruk alla fine del primo giro di trekking.


Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.