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Lunedì, 27 Aprile 2009

Mongolia: Tra Terra e Cielo, Nomadi e Sciamani

Un'ora all'arrivo ad Ulan Baator e già comincio a sentire l'ansia di questa vacanza di cui ancora non so nulla. L'unica certezza è che sarà un viaggio "avventura", in ogni senso.
Concorso Storie Vagabonde

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Un'ora all'arrivo ad Ulan Baator e già comincio a sentire l'ansia di questa vacanza di cui ancora non so nulla. Non ho quasi avuto il tempo di capire dove e cosa andrò a vedere e fare. L'unica certezza è che sarà un viaggio "avventura", in ogni senso. Mi spaventa non poco l'idea. Nessun confort, solo natura e natura, e necessità di adattarsi ad una vita spartana. Marmotte alla brace, carne di yak, latte di cavalla fermentata e formaggio di capra offerto da fantomatici nomadi del deserto o degli Altai nelle loro tende di feltro bianche...accampamenti visti fino ad ora in foto o tutt'al più nei documentari della domenica pomeriggio. La parola chiave è "adattarsi". E' diventato sempre più difficile rinunciare alla comodità, a partire dall' indispensabile cellulare senza il quale mi sento persa. Non essere raggiungibile per tre settimane è come scomparire dal mondo... Chiara accanto a me dorme già, svegliata dai miei sussulti di terrore ancestrale al minimo sobbalzo dell'aereo. Il gruppo è disseminato qua e là sul piccolo Tupolev Aeroflot rumoroso quanto una macchina con la marmitta bucata. Voglio scendere, respirare un po' di aria "vera", non condizionata come quella dell' aeroporto o di questo catafalco con le ali, e sentire, finalmente, non dico il silenzio, ma il cessare di questo assordante brontolio che ipnotizza come il suono della lavatrice in centrifuga. Dopo decolli, atterraggi, controlli in dogana, timbrature e metal detector, con il terrore di sentire il bip bip e vedere arrivare una matrioska russa in divisa da novizia, arriviamo. Recuperati i bagagli, cambiamo i soldi e facciamo conoscenza con gli autisti e la guida, il solitario Sergheji.

Si parte.

Due chilometri asfaltati e dopo ... sterrato, buche e sassi...un vero tormento! Mareati e senza un filo d'acqua! Previsione: 12 ore di pulmino per 300 km: direzione deserto del Gobi. Lo scenario è allucinante, distese e distese di terra, cavalli al pascolo, mandrie infinite di mucche, pecore e capre . Falchi svolazzano sopra la nostra testa. L'odore di erba punge le narici...un odore forte, opprimente per chi è già nauseato dalla guida. Interminabile viaggio. Nessuno parla. Tutti intenti a reggersi per non sbattere la testa sulle lamiere e incrinare le vertebre martoriare dagli scossoni. La nostra meta non si scorge ancora, anzi, iniziamo a dubitare della sua reale esistenza.

Intorno a noi il nulla.

Anche gli animali ora non ci sono più. All'improvviso due tende con impianto solare e antenna satellitare: un ristoro per i pochi di noi che azzardano ingurgitare qualcosa prima di salire nuovamente sul pulmino. Bagni...neanche a parlarne. Una buca non lontano è adibita allo scopo.



Il campo base è una fila di gher attorno al ristorante nell'edificio principale. La tenda sbatte mossa dal vento. Chiudendo gli occhi pare quasi di sentire le onde che si infrangono a riva. Bella questa sensazione. Alzando lo sguardo si apre una distesa verde. Uno strano sentimento, una pace, una calma estrema, mi sento insolitamente tranquilla e serena. Sebbene l'idea di un viaggio così per tre settimane mi lasci molti dubbi. E se non fossi fatta per tutto questo? E se mi fossi "imborghesita" al punto da non poter apprezzare appieno uno stile di vita così diverso dal mio? Forse è solo questione di abitudine, di recuperare e vivere il tempo in ogni istante senza quella frenesia che ormai da un po' mi attanaglia. Forse. Andiamo a cena. La luce della tenda si sta spegnendo, tra poco rimarrà solo il fioco chiarore della torcia. Vado a dormire... In sottofondo il rumore del generatore... fra poco anche quello sparirà. Sono in mezzo al deserto.


Ieri sera dopo una cena a base di pasta scotta, carne di capra e coca cola abbiamo assistito ad un concerto tradizionale. Un trio, due suonatori e una cantante, e uno strumento dalla testa di cavallo a metà tra violino e chitarra. Le corde non si pizzicano, ma si allungano, si stringono, si stendono emettendo dei suoni davvero straordinari. Pare di sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli, il lamento del cammello, l'orda dei guerrieri che incombe, il frusciare del vento...

Quanti pensieri durante il viaggio. Pensi a casa, al lavoro, alle cose che vorresti fare quanto torni, alle cose che vedrai e che farai, al futuro, e ti vedi proiettata in avanti...Sarà l'orizzonte fuori dal finestrino, il senso di infinito, le nuvole che viaggiano veloci nel cielo...tutto ti fa pensare allo spazio senza tempo, alla tua vita, a come vorresti essere e come invece sei. Un sacco di cose che forse non sono nulla o forse sono qualcosa di più, un momento per fermarsi a pensare, a riflettere che a casa manca.




Oggi un'altra avventura! Nel deserto, mentre stavo sonnecchiando, si sente uno strano rumore provenire dal pulmino...cosa sarà? La ruota è partita con tutti i bulloni e pure il tamburo! Siamo in mezzo al nulla e l'altro pulmino è ormai fuori vista. Sosta forzata ne approfittiamo per fare qualche foto. Si avvicina una bambina con guanciotte rosse alla heidi seguita dal fratellino e dalla mamma. Fanno i timidi, ma sorridono con gli occhi. La donna ci invita nella sua gher, siamo ospiti di riguardo. Ci offre pezzetti di formaggio stagionato e yogurt. Al centro della gher un pentolone ribolle di latte...prepara il burro. Ci racconta la sua storia: è nata a Ulan Baator, in città e ha sposato un nomade ora nei boschi a far legna per l'inverno e vive qui con i quattro figli...è orgogliosa e felice e con grande dignità ci mostra la sua casa. Mostro ai bambini le fotografie fatte sino ad ora e restano incantati ad osservare luoghi della Mongolia che magari, anzi sicuramente, ancora non hanno visto. Mi prendono per mano, giochiamo con il povero gattino trascinato al guinzaglio, vorrebbero farmi cavalcare ...ma è ora di andare...Salutiamo con la promessa di spedire le foto o recapitarle in qualche modo...ma come? Non hanno alcun indirizzo e da poco il governo ha introdotto l'uso del cognome. E io che mi preoccupo se non sono raggiungibile al cellulare! Proseguiamo augurandoci che ciò che abbiamo ingurgitato non si ritorca contro il nostro italico apparato gastro-instestinale poco avvezzo ad ingerire germi "stranieri".


Sono in tenda in un angolo sperduto della Mongolia. La pila si sta scaricando inesorabilmente, e la candela accesa, seppure faccia molta atmosfera, rischiara ben poco. Ogni tanto illumino a terra per accertarmi della presenza di ragni o altri insetti. Questa gher, come dire, è un po' spartana. Non c'è acqua e non c'è elettricità. Insomma nulla di tutte le comodità alle quali siamo abituati. Stasera la vodka ha cominciato a scorrere ed è giunto il fatidico momento dei cori alpini...Per pietà la guida e l'autista si sono messi a cantare delle canzoni in mongolo. Armonie dolci e malinconiche. Chiudo gli occhi. Mi lascio cullare e trasportare altrove... In lontananza c'è una festa, musica altissima, fuochi d'artificio, un uomo sembra chiamare i numeri della tombola. Il ristorante si staglia nell'oscurità illuminato da una miriade di lampadine colorate. Pare di essere in una Romagna anni '50. A mezzanotte, come Cenerentola, a nanna. Fuori la baldoria prosegue.



Macinare chilometri di terra battuta, di sassi, di buche e scossoni. S va avanti, oltre, in fondo alla linea dell'orizzonte. Il torpore lascia affiorare idee sopite da tempo, nascoste volontariamente o meno, che ora reclamano con forza un po' considerazione, non più sopraffatte dalla frenesia quotidiana. Non è facile seguire il flusso di pensieri che scorrono l'uno dopo l'altro, ininterrottamente. Paure inconfessate, speranze, propositi, fantasie. Mi lascio trasportare, ma consciamente devo porre fine a questo divagare forsennato che rischia di farmi perdere in me stessa, sprofondare nell'abisso dal quale non saprei riemergere. Meglio fermarsi alla superficie, non sconvolgere un equilibrio precario fatto di compromessi, sentimenti e desideri repressi che tardano ad essere esauditi e svengono ricacciati in un angolo remoto della mente, irraggiungibili. Ma restano buchi vuoti da colmare. Una sensazione di insoddisfazione congela ogni azione e decisione, in attesa di un evento fatale che fermi questo errare senza meta.


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