Articolo
racconto icon
Mercoledì, 25 Marzo 2009

Misr o dell'Egitto

Mi sveglio la mattina, guardo l'ora: sono le nove, caldo, buio. Sollevo la tapparella; la luce riempie la stanza. Mi affaccio e mi giunge alle orecchie il caos del traffico cairota...
Concorso Storie Vagabonde

ARTICOLO DI

Vagabondo0


Questo racconto partecipa al concorso Storie Vagabonde!

Ci sono 1000 euro in palio! Partecipa anche tu inviando i tuoi racconti entro il 25 aprile 2009.
Dal 1 al 30 giugno 2009 potrai votare il vincitore ed assegnare il premio: se questo racconto ti è piaciuto, ricordatene!





Mi sveglio la mattina, guardo l'ora: sono le nove, caldo, buio. Sollevo la tapparella; la luce riempie la stanza. Mi affaccio e mi giunge alle orecchie il caos del traffico cairota: nel palazzo di fronte, qualche piano sotto il mio, una signora con la testa coperta dal velo, sta innaffiando il balcone rigoglioso di verdissime piante; buongiorno Egitto.

Le stesse specie di piante riempiono il cortiletto che sta fra i due palazzi, colorandolo di un verde vivissimo.

Sono arrivata la notte prima; un taxi mi ha portato all'albergo "Le rose", un modesto alberghetto in centro, a due passi da Midan Tahrir.

Passerò al Cairo una giornata; poi mi sposterò a Luxor. Ma quello che racconterò è l'inizio di questo viaggio, la prima, forte, affascinante impressione di questo paese.

Faccio colazione; un uovo sodo, marmellata, il tipico pane egiziano, al hobs, tondo, sottile, di farina semi-integrale.

Esco per fare un giro in città. La sera mi aspetta il treno per il Sud.

Mi dirigo verso Midan Tahrir. Qualche donna velata attraversa la piazza; alcuni uomini discutono a capannelli. Tutt'intorno all'isola pedonale circolano bus e vetture.

Il traffico cairota è veramente indescrivibile: tutti clacsonano continuamente e le macchine marciano praticamente una attaccata all'altra. Decido di andare a visitare Khan-Khalili, grande mercato nella parte vecchia della città. Lo raggiungo in taxi.

L'autista raccoglie sul suo cammino un signore anziano e una bellissima donna, vestita con coloro tenui, carica di borse della spese. In Egitto non sono molte le persone che si possono permettere una macchina, così il taxi si rivela essere un mezzo di trasporto piuttosto comune, ed abbordabile. I taxi sono macchine vecchie, dalle portiere incerte e dalla carrozzeria spesso cadente, che i tassisti ornano con svariati oggetti per renderli più graziosi: coroncine di fiori finti, pelouches, cuori luminosi.

Ogni taxi ha la sua personalità.

Giungo a Khan-Khalili; il mercato è veramente immenso, ma me ne renderò conto solo più avanti. La fortuna vuole che il tassista mi abbia lasciato in prossimità della zona più popolare del mercato, fuori dai tracciati turistici. Qui botteghe ricavate dal piano terra delle case riparano, rielaborano, danno nuova vita a qualsiasi oggetto rotto o dimenticato: un uomo taglia, batte, ricuce copertoni, un altro estrae rame da fili elettrici e lo trasforma manipolandolo, altri uomini tagliano e cuciono pezzi di pelle.

Una donna, seduta fuori dalla porta di casa propria, lavora dei budelli. Mi sto per avventurare in un vicolo. Un vecchio, con un copricapo bianco, solleva la mano e mi fa cenno di no con la mano. Qui e là le stanze a piano terra sono state trasformate in chioschi, che offrono carne alla piastra, shorba, fave e montagne di muhalabiya (sorta di budino di latte con acqua di rose e mandorle). Di tanto in tanto passa qualche carretto trainato da asini, o da strani motorini, probabilmente riadattati da un motociclo.

Cammino incredula e stupita; non avendo mai messo il naso fuori dall'Europa non mi aspettavo un contesto così "altro"; ne sono incantata. La gente mi sorride cordiale; le donne, incrociando il mio sguardo, spesso abbassano il capo. Di tanto in tanto, nel mio girovagare, leggo delle placche affisse sulle costruzioni antiche. Sono state messe dagli inglesi, in epoca coloniale e tentano una datazione degli edifici. La maggior parte degli edifici è datata fra il 1100 e il 1300. Si tratta di vecchie moschee, in pietra, dove gli uomini si recano a pregare da più di mille anni; in questa parte della città ce ne sono più di trentasei. Tutto è molto quieto, nonostante la gente circoli e sbrighi le proprie commissioni. Mentre, assorta, osservo la facciata di una casa, mi si fa incontro un ragazzo, con uno splendido sorriso, e mi chiede, in inglese:

-Cosa guardi?

-Il palazzo.

Ahmed - di lì a poco scoprirò che questo è il suo nome - comincia a raccontarmi la storia dell'antico Khan Khalili, dei palazzi e delle moschee in questa zona. Ahmed studia storia dell'arte, ha la mia età (20 anni all'epoca) e abita lì vicino. Mi conduce all'entrata di una moschea. Pare piccola; in realtà due cortiletti portano alla parte centrale, dove, su un lato del cortile, vi è lo spazio per la preghiera. Nel primo cortiletto, in mezzo alla terra battuta, sorgono due alberi dalle larghe e verdi foglie. All'ombra di uno degli alberi, un sostegno di ferro sorregge un'anfora di terra cotta, che conserva l'acqua al fresco, dalla quale i fedeli possono abbeverarsi. Tutto è talmente quieto che sembra essere così da sempre. Nelle pareti di pietra sono intagliate delle meravigliose finestre e alcuni piccioni riposano tranquilli nelle cavità dei muri. Ci sono anche degli uomini che riposano all'ombra, fra i due cortili. La moschea assolve anche al ruolo di "casa per chi non ne ha una" e riparo dalla calura.



Continuiamo a scorrazzare in questo quartiere , fino alla Casa Turca. Si tratta di una costruzione del '700, abitazione di un ricco mercante turco. Gli interni sono piccoli, discreti ma assai lussuosi. Ahmed mi conduce poi nella bottega di un suo amico barbiere. Il negozio non misura più di due metri per due, e vi è una sola poltrona per il taglio. Il barbiere mi accoglie con un sorriso ampio, ed ho modo di osservare la sua specialissima tecnica: con un'asola fatta da un filo, tesa fra due dita, l'abile barbiere strappa i peli delle sopracciglia ai clienti. Mi offre poi il pranzo, recapitato nella sua bottega: l'immancabile coushari, piatto forte del Cairo, un gustosissimo mix di lenticchie, riso, spaghetti, pomodoro e cipolla fritta. Sono piacevolmente sorpresa dalla cordialità e dalla disponibilità di questo popolo.

Dopo pranzo andiamo a visitare il caravanserraglio, antica costruzione del '500: attorno al cortile principale, dove si lasciavano le bestie, si affacciano molte stanze, nella quali si accampavano le carovane di passaggio e i mercanti. Ahmed ed io saliamo sul tetto: la vista è incantevole. Sulle case basse, fatiscenti, ma non per questo meno belle, si alzano innumerevoli le torri delle moschee, le persone e i carretti transitano tranquilli, un vociare calmo si leva dalle stradine. Ahmed mi indica una macchia di casupole colorate: è un cimitero, mi spiega, i più poveri fra i poveri adibiscono le tombe a dimore.

Dopo la vista panoramica, ci rechiamo in un'altra moschea. Si odono voci di bimbi.

Entriamo. Un imam cieco mi tende sorridente la mano; attorno a lui una decina di bambini corrono divertiti.

La calura è sfiancante; ci rechiamo in un caffè. Gli uomini sono seduti attorno a piccoli tavolini. Alcuni semplicemente guardano la gente passare, fumando la shisha (narghilè), altri giocano qualcosa di molto simile al domino. Noi ci sediamo all'interno; Ahmed ordina due té alla menta. L'acqua viene fatta bollire continuamente

in un'anforetta sospesa su delle braci, posta sul banco. Alcuni gattini smilzi giocano sulla panca accanto a me. Vita di quartiere in un sobborgo del Cairo.

Riprendiamo a gironzolare attorno a Khan Khalili. Ahmed mi mostra una bottega; fa molto caldo. Mi addentro: tutto attorno delicate ampolle, sinuosi bicchieri, semplici ma graziosi monili, il tutto realizzato di vetro soffiato dai mille colori. L'artigiano mi mostra come realizza tutte queste meraviglie, soffiando il vetro da un tubo di metallo.

Si è fatta sera. È ora che io prenda il treno per Luxor. Saluto e ringrazio infinitamente Ahmed. Sul treno, il mio vicino si posto è un uomo in jallabia (lungo abito di cotone) sui cinquant'anni. Mangia pane e formaggio. Me ne offre un po'. Che popolo ospitale, ribadisco a me stessa.



Ripenso a tutto quello che ho visto, sentito, assaggiato, ascoltato durante il giorno.

Sono esausta ma incredula e felice di fronte alla scoperta di questo mondo e di altri mille che potrebbero essercene. Mi addormento pensando di aver vissuto una delle giornate più emozionanti della mia vita.

Francesca Panozzo


Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.