RACCONTO
racconto icon
Sabato, 29 Gennaio 2005

Marocco Mauritania e Mali 1998-1999

Diario semiserio di un viaggio pensato bene, partito male, finito peggio. Con Federico, Igor, Range Rover e tutta la Sfiga che si poteva!

ARTICOLO DI

Vagabondo0

Questa è la storia di Igor, di Federico e di un Range Rover di 18 anni che, di comune accordo, perlomeno i primi due, decidono di fare un viaggio. Un'idea nata dalla famosa mente malsana di Federico (famosa, per chi conosce già Federico mentre chi non lo conosce ancora avrà modo di farlo leggendo queste pagine) a cui ha preso parte anche Igor che, al momento della decisione non conoscendolo ancora bene, si è fidato ed è partito con lui.

Questa è la storia di come da un'idea scaturisce un'avventura, fatta di poche essenziali cose, prima fra tutte l'amore per una terra dove il niente è il vero padrone, dove fra popolazioni sofferenti, foreste tropicali, deserti, ricchezze inestimabili ancora da scoprire o già scoperte, il nulla è l'unica cosa che è sempre presente ed incombente su tutto. La lotta per arrivare alla fine della giornata da parte di tutto ciò che popola quella terra (noi compresi, dunque, ma per noi era solo routine quotidiana di avventura), dove i valori umani differiscono nettamente da quelli sociali, dove il tempo è scandito dal sole e dalla luna, dove la più importante delle cose è rivedere il sole domani mattina: questo sarà un po' il filo conduttore del diario. Insieme alla sfortuna che da sempre caratterizza ogni momento della mia vita.

Questa è anche la storia di come l'Africa ha trasformato due conoscenti in amici (credo).

Federico aveva da sempre un obbiettivo: cercare di trascorrere tutte le feste invernali in Africa, non aveva importanza se nel deserto o nella giungla, l'importante era l'Africa.

Questa volta, con l'aiuto di Igor, l'obbiettivo è stato raggiunto, con difficoltà, gioie, incazzature, risate, torcicollo, dissenteria, rotture di palle e tutto quanto può concernere un viaggio avventura, e così Federico stavolta è riuscito a trascorrere il compleanno, Natale, Santo Stefano, Capodanno ed Epifania in Africa. O meglio, per quanto riguarda il compleanno non è stato proprio così, infatti nel giorno del suo compleanno, il "xxesimo" (tanto poi lo capirete, leggendo), i due sfigati con il rottame sono partiti alla volta di Francia, Spagna, Marocco, Mauritania, Mali. Avrebbero dovuto fare anche la Costa d'Avorio ma i mauri hanno fatto perdere loro parecchio tempo e soldi ... ma non posso continuare a raccontare gli avvenimenti così, altrimenti al posto del prologo, scrivo un altro diario.

Direi senz'altro che possiamo dare lo start di questa sfiga durata 8000 km dal primo giorno: il 19 dicembre 1998. ma, considerato che un po' di anni prima, nello stesso giorno, nasceva Federico, anche questo viaggio verso l'avventura avrebbe idealmente potuto nascere con lui, per cui: 19 dicembre 1966.

Top of page!



· SABATO 19/12/1998. PARTENZA DA ASTI l'avessimo mai fatto!!!...

La partenza è stata più dura del previsto stavolta. Il Range (che da qui in poi, per comodità, chiameremo o, meglio, scriveremo R.R.) mi è stato consegnato dal Burgnun solo ieri sera alle 22,30 ma non va ancora bene, ci sono dei problemi di anticipo e il motore non rende, anzi non va proprio.

I PERSONAGGI 1°

Il Burgnun, che in realtà si chiama Adriano, è il mio meccanico di fiducia per i rottami. A metà strada tra il fai da te ed il riciclaggio di parti meccaniche riesce comunque a ripararti tutto quello che gli porti: dal decespugliatore al jet. Nella sua officina c'è una disorganizzazione ordinata (od un ordine disorganizzato) per cui, alla vista di scaffali traboccanti di parti di auto che non esistono neanche più (che però possono sempre servire od essere adattate su altre auto), uno si impressiona a tal punto che viene colto dal raptus di ingranare la prima e fuggire, piuttosto che lasciare la propria auto nelle mani di quel carnefice. Invece, il più delle volte, i risultati raggiunti sono veramente dei successi, ottenuti con fili di ferro e ricambi d'occasione, proprio come in Africa, ed è per questo che lo considero il meccanico ideale per i miei rottami.

Adriano ha solo due tipi di abbigliamento: invernale ed estivo. Quello invernale è costituito da un maglioncino di lana molto, ma molto unto, per proteggersi meglio dal freddo, quello estivo invece consiste in una maglietta veramente unta per essere idrorepellente in caso di acquazzoni di stagione. Ha da sempre e sempre gli stessi pantaloni, anche se ultimamente è stato visto in giro con una salopette da meccanico.

Il soprannome Burgnun deriva dal fatto che ha un occhio bianco, non so per quale motivo.

Per caricare tutti i bagagli sono andato a dormire alle due di notte e lo start è previsto alle cinque e mezza. Alle sei e mezza, dopo aver realizzato di:

1° essere al mondo,

2° essere in ritardissimo,

3° dover partire per un viaggio in Africa,

mi precipito a prendere Igor.

Il totalizzatore dei km passando davanti al pub australiano di Isola scatta sui 98350: inizia una nuova avventura..

I PERSONAGGI 2°
Igor, o meglio Messieur Igor (con cadenza francese), come lo chiamavano laggiù, per la prima volta (sia per lui che per me) è stato il mio compagno di avventura, per questa avventura.

Dopo il disastro sentimentale accadutomi qualche mese fa avrei dovuto affrontare l'Africa in solitaria (ed anche in bolletta totale) e così mi sono messo alla ricerca di un possibile socio per una nuova avventura. Siamo "amici" (più che altro conoscenti) da parecchio tempo ma non ci siamo mai frequentati più di tanto: un saluto e via. Al matrimonio di una nostra amica gli ho messo in testa il tarlo dell'Africa e lui, che ha viaggiato già parecchio, si è fatto rodere con calma e nel giro di qualche mese era convintissimo. Per me è stato un rischio, non sapevo chi mi stavo portando appresso, se era un tritamaroni o no, ma anche per lui non sarebbe stata una cosa piacevole, scoprire il mio lato nervoso ed iracondo alla presenza di molteplici problemi, organizzati in serie, come a me capita periodicamente, nella mia "tranquilla" vita da sfigato. Ed invece tutto bene. Nemmeno l'ombra di uno screzio, grazie a Dio.

Igor è un ingegnere elettronico e la sua testa funziona un po' da ingegnere, con soluzioni brillanti e ragionate, ed un po' da elettronico, con processi mentali contorti ed impenetrabili. Di solito, in viaggio, si parlava per parecchio tempo, di qualsiasi argomento e poi il silenzio, per ore. Ogni tanto mi voltavo per vedere se era morto, e lui invece era lì, con il cervello che faceva rumore dal troppo pensare a chissà quale argomento. Poi se ne usciva con qualche frase che per lui era logica, in quanto ci stava ragionando su da ore, ma per me, che con la testa ero da tutt'altra parte, suonava incomprensibile, addirittura da problema mentale. Si è subito adattato comunque (proprio in tutto e per tutto) alla vita africana, mangiava di tutto, dormiva ovunque, non gli faceva schifo niente, si lavava quando poteva senza lamentarsi più di tanto (pur mantenendo la pulizia dei denti in maniera maniacale). Per me un grosso sollievo. Moltissimi problemi in meno.

I suoi rapporti con gli indigeni erano un po' particolari, nel senso che, essendo io un po' più navigato di lui in materia di Africa, gli avevo spiegato: "...non dare troppa corda ai locali, perché comunque, alla fine di ogni discorso, loro cercano di avere qualcosa da te (esempio: un poliziotto del Mali, gentilissimo, ci chiede delle foto dell'Italia con la neve perché non ha mai visto né l'una né l'altra. Ho ricevuto una sua lettera, alcuni giorni fa, dove mi richiedeva addirittura una telecamera!)". Ogni personaggio che incontrava, il quale di norma ha un approccio abbastanza cortese, nonostante le mie raccomandazioni e nonostante abbia toccato con mano il fatto che comunque i locali vogliano qualcosa da te, era per lui spunto per fare una bella chiacchierata che comunque finiva sempre con una richiesta di qualcosa.

Colazione d'obbligo a base di cappuccino e brioche, nel primo bar che capita: quello della stazione di Cuneo. Erano all'incirca le sette e mezza e al bancone c'era già un tipo che probabilmente o non aveva ancora smaltito i fumi dell'alcool della sera prima oppure stava tentando di raggiungere il coma etilico già di prima mattina. Propendo per la seconda ipotesi, considerando lo stato sia psico che fisico del fenomeno, entro sera probabilmente avrebbe anche potuto raggiungere il coma, a meno che, grazie al numero impressionante di bestemmie che propinava agli avventori del baretto, un fulmine a ciel sereno inviato dagli dei, non lo incenerisse ponendo così fine definitivamente al tristissimo spettacolo.

Arriviamo dopo circa un'ora e mezza di strada in frontiera Italia - Francia, a Limone, e già abbiamo un piccolo problema: a parte il fatto che Igor ha dimenticato il certificato internazionale di vaccinazione, il che avrebbe pregiudicato un eventuale nostro ingresso in Costa d'Avorio (se mai ci fossimo arrivati), la polizia ci ferma e mi fa notare che il R.R. non ha effettuato la regolare revisione e vorrebbe sequestrarci il libretto con conseguente termine del viaggio. Allora tento una proposta: l'agente mi da le spalle tenendo il libretto del R.R. dietro la schiena, io glielo rubo e scappo nel traforo del Col di Tenda cosicché lui non vedrà mai più, né me né il R.R. L'agente, dopo un breve consulto con il suo comandante, accetta la scena ma, meno cinematograficamente, mi rende il libretto e, non riuscendo comunque a capire cosa ci facessero un paio di sci su un fuoristrada che partiva per l'Africa, ci lascia andare, cercando di valutare la possibile presa in giro.

Siamo in Francia e la Valle del Roja è come sempre bellissima; il R.R. ora va bene (perché è in discesa) e con l'inerzia non mi accorgo praticamente del danno che il Burgnun non mi aveva riparato. Finalmente in autostrada e via verso la costa francese, con il R.R. che sembra una caffettiera e scoppietta come se gli avessi fatto il pieno di petardi.

Non possiamo però darci per vinti adesso che siamo all'inizio e così ci arrangiamo per la registrazione delle puntine che regolano l'anticipo del motore e dopo soli 300 km. il motore del R.R. fa le fusa come un gattone con otto cilindri e riesce a tenere una velocità di crociera di 100/110 km. all'ora. A giudicare dal carico, però, più che un gattone sembrava un mulo ma ciò non sembrava infastidire più di tanto il mezzo e, di conseguenza, noi.

All'improvviso, mentre Igor mi aveva dato il cambio per un dovuto pisolino, si sente uno strano rumore, come se avessero deciso di fare le estrazioni del lotto nel retro del R.R. e, come apro gli occhi, vedo la macchina con uno strano angolo di inclinazione laterale.

Igor, avendo dei processi mentali terribilmente contorti, stava ancora ragionando su ciò che accadeva ma io, rotto (in tutti i sensi) a tutte le esperienze, con un occhio aperto ed uno ancora in fase di pisolo, con collo e schiena incriccati per la posizione da sala delle torture dei comodissimi sedili dell'ammiraglia di casa Rover (che si possono reclinare, ma solo in avanti), gli ho immediatamente suggerito di sostituire la ruota bucata prima che ci mangiassimo anche il cerchio.

"...Mm... O.K." è stata la risposta di Igor e così abbiamo fatto la prima prova generale di sostituzione della ruota. E' stata anche una prova generale di sistemazione del carico, di utilizzo della binda e di affiatamento della coppia che, peraltro, fino alla sera prima non aveva praticamente mai condiviso niente di avventuroso. La prova ha comunque dato degli ottimi risultati, su tutti i fronti.

Appena superato l'ostacolo "foratura" abbiamo dovuto vedercela con un altro antipatico problema: il differenziale posteriore perde olio!

Ma nel frattempo varchiamo la frontiera Francia Spagna totalizzando circa 700 km e a problemi non ci si può certo lamentare. Il differenziale ora non perde più: scarica proprio. Pausa e seconda prova generale: bisogna coricarsi per terra nello sporco e toccare cose luride e unte. Ovviamente io, in qualità di molto ex -uomo-CAMEL, mi offro per coricarmi sotto il R.R., che già mi stava abbastanza sulle balle, e Igor, come un valido assistente di sala operatoria, mi passava gli attrezzi per lo smontaggio. Il problema alla fine era solo causato dal livello di olio troppo alto nel differenziale per cui scaldandosi andava in pressione e lo buttava fuori. Prova numero due O.K. Io ero tutto unto e il R.R. sembrava essere a posto e così, felicemente, procediamo nell'itinerario. Arrivati dopo Valencia, ad un totale di circa 1200 km, all'una di notte, dopo circa DICIANNOVE ORE di guida, io avevo delle allucinazioni olistiche e così decidiamo di piantare la tendina nel pratino di un autogrill spagnolo a tentare un meritato riposo.

Top of page!



· DOMENICA 20/12/1998. OGGI ARRIVIAMO GIA' IN MAROCCO!!!

Il freddo, d'accordo con un pullman di marocchini che hanno fatto casino da quando siamo arrivati a quando siamo andati via, ci ha convinto a farci alzare alle cinque e mezzo per ricominciare il nostro viaggio.

L'autostrada spagnola scorre via veloce, così l'olio dal differenziale maledetto che continua a versare, come la magica cenere del Vibuti di Sai Baba, dove più ne togli e più se ne riforma. La soluzione finale del problema è stata poi questa: quando poi l'olio sarà finito, il differenziale non perderà più e noi gliene aggiungeremo dell'altro. Un mix tra saggezza popolare e Lapalisse che però ha funzionato mica male tant'è che il differenziale non si è più fatto sentire per tutto il resto del viaggio.

Siamo sulla bellissima costa spagnola che al momento, e data l'ora, si prestava magnificamente per una mangiata di pesce ed in men che non si dica troviamo una splendida trattoria da camionista che ci prepara una splendida frittura di pescetti; la giornata era molto soleggiata la temperatura intorno ai venti gradi: cosa potevi volere di più? Di sicuro non un ammortizzatore rotto, ma a quanto pare non c'era niente altro di meglio per cui, dopo la pesciolata, con un abbiocco galoppante-fulminante, siamo ripartiti con tre ammortizzatori anche perché, inoltre, era giustamente domenica e dove vai a farlo riparare o sostituire?

Senza perderci d'animo continuiamo questo viaggio che già aveva avuto delle premesse apocalittiche e verso le quattro del pomeriggio arriviamo a Malaga, all'imbarco per Melilla, in territorio marocchino. Il traghetto però partirà solo domani e così dopo un rapido consulto, ma vaff..., ripartiamo per Algeciras, dove sarà senz'altro lì ad aspettarci il ferry Algeciras Ceuta. Detto fatto: alle 17:45 ci imbarchiamo sulla nave superveloce per Ceuta dove facciamo scalo dopo soli 35 minuti di mare.

Siamo in terra africana e bisogna cercare di mutare repentinamente il proprio modo di vedere il mondo. La classica via d'uscita da Ceuta per la frontiera marocchina è però chiusa: un gran traffico di polizia e gente ed una strana deviazione sulla collina di Ceuta per aggirare un ostacolo. Ma cosa sarà questo ostacolo? Perché tutta quella gente? Un signore ci spiega:" ... niente... hanno messo una bomba in un negozio , ma ormai è tutto finito." Tutto finito cosa? E' esplosa o l'hanno solo asportata? In ogni caso come benvenuto è stato veramente il più gradito per due come noi che cercavano un po' di avventura.

Fortunatamente poi la frontiera è stata praticamente varcata a mezzo chiuso, senza controlli o perdite di tempo grazie ad un piccolo esborso di denaro al classico Alì o Abdul o Mohamed della situazione, in modo da poter continuare il tragitto immediatamente.

I PERSONAGGI 3°

In tutti i posti africani di frontiera in cui sono transitato nei miei dieci anni di viaggi, ad eccezione dei più piccoli e sperduti, esistono dei personaggi che, secondo la migliore tradizione africana dell'inventarsi un lavoro da svolgere, disbrigano le pratiche doganali dei turisti. Non ci si deve però immaginare un'agenzia, in quanto l'unico vero lavoro di questa gente è quello di prenderti i moduli da compilare e consegnarli al "bureau" una volta che sono stati completati. Praticamente un distributore di informazioni. Un lavoro che tutti potrebbero fare da soli, con l'unico intoppo della perdita di tempo dovuta al fatto che quasi mai si riesce a capire in quale sportello o presso quale funzionario di frontiera rivolgersi. I nomi di questi personaggi sono sempre i soliti, Abdul, Mohamed, Alì o cose del genere, assolutamente falsi, in quanto loro agiscono nella più totale illegalità, spesso anche in simbiosi con i doganieri, che ti procurano un problema (tipo qualche documento irregolare, assolutamente inventato sul momento), in modo che il "fenomeno della dogana" ti abborda e te lo risolve, così tu poi sei obbligato a pagarlo. Oramai li ho già messi nel budget del viaggio e ho già pronti sia il problema (in modo da rivolgermi direttamente all'omino senza passare dal doganiere) che i 100 franchi francesi, così quasi sempre riesco a passare la frontiera con la macchina intonsa da verifiche doganali che potrebbero anche farmene spendere di più.

Alle nove di sera però un piccolo languorino ci spinge a cercare del cibo fino a scovare un tugurio alimentare dove ci viene servito dello splendido montone alla brace che fino a dieci minuti prima faceva da cuscino al tipo che ci era appoggiato sopra per scambiare quattro chiacchiere con i suoi compaesani presenti. Igor comincia a capire come ci si deve comportare qui per poter vivere senza troppi problemi e mangia il suo montone come se niente fosse.

Decidiamo di fare ancora un po' di strada ed arriviamo fino al paese di Larache dove c'è l'Hotel España, in cui finalmente facciamo una superba doccia calda.

· LUNEDI' 21/12/1998... MOROCCO CROSSING ...

Considerato il tiro a cui ci siamo sottoposti nei giorni scorsi ci siamo tacitamente accordati nello svegliarci alle nove del mattino. E si comincia subito con una bella sorpresa, anzi due:

1° ha cominciato a piovere

2° in Marocco (come poi abbiamo scoperto, in tutta la parte araba dell'Africa), è periodo di ramadan per cui è tutto chiuso fino alle ore beate e la gente, che notoriamente non ha molta voglia di fare già normalmente, ora non fa proprio niente. I nostri problemi di inizio giornata sono due:

a) il cambio (di valuta)

b) l'ammortizzatore.

Il primo l'abbiamo risolto dopo un'oretta di attesa davanti alla banca e per il secondo decidiamo di proseguire fino a Rabat.

La capitale politica del Marocco si trova a qualche ora di buona strada da Larache ed è una bellissima città, molto vivibile nonostante le dimensioni. Qui dobbiamo trovare l'ammortizzatore e dobbiamo fare i visti per il Mali e la Mauritania, anche se per quest'ultima non dovrebbero essere necessari.

L'ambasciata del Mali è stata estremamente gentile con noi e ci fa avere il visto in mezz'ora mentre i mauri addirittura ci confermano che "per i fratelli italiani e francesi non c'è bisogno di visti", quindi tutto O.K. (ricordatevi di questo passo: avrete occasione di ritrovarlo...). La pausa pranzo (proprio come se fossimo al lavoro, tanto il mazzo, qui, te lo fai ugualmente, forse anche più grosso) è stata allietata da un localino a metà strada tra una pescheria ed un tabacchino che però vendeva solo dei "bric" che sono delle crèpes a forma di involtino triangolare, cotte su piastre spalmate di olio (Selenia 15W40), ripiene di gamberetti, o pollo, o legumi o carne trita di chissà quale povero animale, addirittura disponibili come optional, in versione dolce. Uno spettacolo per il palato ed un thriller per il fegato.

Il problema ammortizzatore, dopo pranzo, ce lo risolve un demolitore scelto così, a caso tra decine, mentre ci racconta che lui ha continui commerci di parti di auto con l'Italia (Milano, in particolare) e, a giudicare dai motori Mercedes 3000 o 5000 che c'erano, riusciamo ad intuire che qualcuno, in Italia, sta ancora soffrendo per questi commerci. Io trovo e lui mi vende un ammortizzatore di un furgone Mercedes che, pur montando sotto il R.R., faceva un po' schifo: creava un risultato finale di un R.R. con la scoliosi, ma almeno la macchina stava su ed era un po' più stabile in curva.

Esco dal demolitore come se uscissi dall'Avis: dissanguato (più leggero di circa 150.000 lire) e ripartiamo verso sud per raggiungere la bellissima Safi, antico porto portoghese del 1500, con bastioni intatti e una città vecchia stupenda. Vigendo il ramadan, la popolazione non mangia nulla fino alle sette di sera circa e poi gozzoviglia fino a notte fonda. E noi a gozzovigliare con loro. Abbiamo cenato con dei panini che sembravano arrivare direttamente dalla discarica di Vallemanina, ma erano di un buono esagerato; non ci siamo invece fidati delle piastre batteriche che volevano spacciarci per bigné, ripieni di creme dagli indubbi poteri lassativi e devastanti per la flora e anche fauna batterica del tuo intestino. A nanna in un hotel del 1500, non in stile, proprio del 1500: rottami al posto dei letti, rubinetti arrugginiti. Ed i panini che erano già all'opera: infatti l'intestino, come per magia, si stava lentamente trasformando in una betoniera che avrebbe poi impastato tutte le porcherie in esso contenute fino al mattino seguente.

Top of page!



· MARTEDI 22/12/1998... MOROCCO CROSSING ...

Al mattino oramai abbiamo preso una brutta abitudine: non si fa più colazione. Anche questa mattina non abbiamo mangiato niente, così, con una betoniera nello stomaco, arriviamo in tarda mattinata a Essaouira, ridente località turistica sull'oceano, di rara bellezza. Piena di turisti, piena di marocchini che vogliono ciulare i turisti, noi la giriamo un po', facciamo delle belle foto, compriamo un po' di gioielli touareg (non so cosa ci facessero a Essaouira ma erano originali). Mangiamo due panini di dinosauro ed incontriamo una bella ragazzina, apparentemente dodicenne, che adescava clienti per i suoi tatuaggi con l'henné. Io penso che se per caso avesse incrociato un pedofilo, con i suoi ammiccamenti, rischiava lei di essere adescata, per ben altro tipo di "arte corporea".

Riprendiamo la rotta verso sud nel primo pomeriggio ed il R.R. scoppietta di nuovo ma a volte fa i 130 km/ora. Nel tragitto verso Agadir, una decina di km. prima, incontriamo un gruppo di surfisti con dei furgoni nei confronti dei quali il R.R. sembrava appena uscito dalla concessionaria. Facevano un po' di tenerezza perché nonostante lo scenario da "Point Break", con tipi da California, tute da surf multicolor, tavole da centinaia di dollari e belle ragazze, mancavano alla fine le onde, in quanto quelle che c'erano permettevano loro sì e no una cavalcata di qualche secondo. Che pena!

Fortunatamente (così, per rompere un po' la noia) nei pressi del campo si era rovesciato un TIR di zucchero, così ci siamo fermati a vedere dei marocchini che si scannavano per dei panetti zucchero, ormai misto ad olio (del camion), terra ed immondizia varia che in Marocco, come un po' in tutta l'Africa, ormai abbonda ovunque.

Arriviamo successivamente ad Agadir, o Las Vegas, difficile a distinguerle, ma tanto fà talmente tristezza, è così poco "Africa", che fuggiamo senza soffermarci più di tanto.

La strada ora costeggia la scogliera a picco sul mare, che è così bella da mozzare il fiato. Inoltre il fiato ce lo ha mozzato anche la salsedine portata dal vento, che rende l'asfalto viscidissimo. Questo fatto in più di un'occasione, ci ha obbligato a fare dei bellissimi numeri per evitare di volare di sotto, in mezzo ai relitti di navi che pullulano questa costa.

In serata arriviamo a Tan Tan, dove dormiamo in un hotel carino con doccia alimentata direttamente dalla Groenlandia, assolutamente non riscaldata. A cena finalmente riusciamo a mangiare il famoso "tajine", di pollo, in una sala ristorante con TV per non udenti, in quanto il volume era talmente alto che, se eri non udente riuscivi a capire qualche cosa, e se invece eri udente ti assordava.

Top of page!



· MERCOLEDI' 23/12/1998... MOROCCO CROSSING ...forse l'ultimo giorno

Ci siamo svegliati con una nebbia che avremmo voluto dimenticare per una ventina di giorni ed invece ci ha assillato ancora fino a tarda mattinata. E' una foschia causata dalla fortissima umidità portata dall'oceano anche per parecchi chilometri all'interno. Questa zona è l'inizio del territorio Saraoui interessato dalla guerra del Polisario e, nonostante la guerra debba essere finita da qualche anno, ci sono spiegamenti di forze militari e di polizia non indifferenti. I passaporti vengono consumati dai molteplici ed assolutamente inutili controlli dove ti chiedono un sacco di informazioni dettagliatissime, padre, madre, professione, caratteristiche del mezzo e così via, ma vengono sempre trascritte sul primo pezzo di carta che trovano, che é poi il sacchetto dove c'erano i datteri del loro pranzo. Professionalità e serietà encomiabili.

Continua intanto alla nostra destra la costa atlantica che ci permette di fare delle foto irripetibili e degli incontri curiosi, come quella comitiva di camper francesi arroccati su un costone di roccia a strapiombo sull'oceano, attrezzati di tutto punto per vivere fino a quando non si fossero stufati. Insieme a loro c'era una simpatica cagnolona, con tre bei bimbi (cuccioli) che avevano rubato una scarpa lasciata incustodita vicino ad uno dei camper ed ora stavano per ridurla a brandelli. Poco più in là, in una laguna a livello del mare, c'era una colonia di fenicotteri che "pascolava" tranquillamente. Tutte queste cose non le vedrete mai perché un doganiere figlio di buona donna mi ha sequestrato il rullino con tutte queste bellissime foto.

Continua la strada per Dakhla, la nostra prima meta, il primo confine tra Marocco e Mauritania. Qui si faranno le formalità per l'uscita nel campo minato e da qui partirà il convoglio, guidato da un militare, per evitare appunto di saltare su qualche mina.

Anche oggi però riusciamo ad avere dei problemi con il R.R. che, un po' perché beve senza ritegno ed un po' perché la stazione di servizio non aveva più benzina, per poco non ci lascia a piedi in un luogo dove non era proprio il caso di farsi una passeggiatina di duecento km. per una tanica di benzina. Praticamente, arrivati alla stazione di servizio, dopo i necessari convenevoli di rito, chiedo all'omino di farmi il pieno. Lui, con un sorriso a quattro o cinque denti, mi chiede:" Non è che avete sorpassato un'autocisterna? E' da due giorni che la aspettiamo!"

Dopo aver realizzato che era finita la benzina sia nella pompa che nel R.R., il primo impulso è stato quello di estrargli anche i denti che gli erano rimasti in bocca, sfusi. Ma lui che ne poteva? C'est l'Afrique! Ed il problema, con queste parole magiche, quaggiù è risolto, a parole.

Riusciamo comunque ad arrivare al primo "barrage" di Dakhla con una spia della riserva che mi aveva quasi accecato e, fortunatamente, dietro al "barrage", da qualche mese avevano messo in funzione un distributore. Eravamo salvi!

Dakhla è sempre la solita pattumiera, città militare di frontiera, piena di militari, e un melange strano di marocchini e mauri. La strada che porta a Dakhla è un nastro nero che divide in due un promontorio che si staglia nelle acque dell'oceano Atlantico, formato da colline di sabbia bianchissima e da vallate salmastre dovute ad infiltrazioni di acqua di mare. Grazie a tutto ciò, il paesaggio è talmente lunare che, quando attraversi questa zona, ti aspetti sempre di trovarti qualche astronauta che ti fa ciao ciao con la manina; invece trovi solo qualche turista appassionato di pesca alla ricerca del posto incantato dove poter praticare la mitica pesca miracolosa, anche perché questo mare è pescoso davvero e garantisce il minimo indispensabile per la sopravvivenza della Mauritania.

Quest'anno opto per un hotel che, dall'esterno avrebbe potuto essere anche carino ma una volta dentro "abbiamo lasciato le nostre speranze", come coloro che varcavano la porta dell'inferno nel poema dantesco. La lotta con gli scarafaggi era talmente impari che ci sembrava di essere sul set di "A Bug's Life" e così abbiamo capitolato nei nostri sacchi a pelo anche perché qualche pulcettina nel letto ci sarà stata di sicuro; la finestra con i vetri come optional, poi, permetteva il passaggio a zanzare dall'aspetto avicolo: quale migliore palestra per le zone a rischio di malaria che avremmo dovuto attraversare nei giorni a venire? Il prezzo comunque era contenuto e ciò alla fine ci ha rincuorato molto.

Era ormai ora di cena e Dakhla brulicava di musulmani affamati come iene. Tutti i ristoranti, le bettole e qualsiasi altro cesso disposto a darti qualcosa da mangiare erano stracolmi di uomini che, in silenzio, avevano tuffato letteralmente la faccia nel piatto per mangiare qualsiasi cosa avessero messo loro davanti. Qualcuno addirittura in uno sfogo di debolezza, con grande rammarico del profeta, era intento a tracannarsi una birretta fresca: ma dove l'avrà mai trovata? Nel dopo cena, la cittadina si era saturata di popolazione con la folla che si rimpastava su e giù per le tre o quattro vie centrali di Dakhla. Ovviamente per motivi di tradizione, se vogliamo anche religiosa, gli uomini erano da una parte e le donne dall'altra. Il desiderio di entrambe le parti era così forte che lo si poteva quasi toccare, ma durante il Ramadan è vietato anche quello, anche se qualche audace era già riuscito a rimorchiare la buzzicona di turno e, passeggiando con lei a braccetto, se la tirava a mille mostrando praticamente a tutta la popolazione maschile, con aria di sfida, la grossa (nel senso di formosetta) preda che aveva cacciato, dimostrando così che Allah nulla può nei confronti dell'amore. L'amore vince sempre. Quando però l'ha poi pinzato il padre di lei, lo spavaldo ha capitolato in un round solo per K.O. tecnico!

E per la prima volta abbiamo mangiato il torrone marocchino. Bi-funzionale: 1° si attacca, e pure strenuamente, al lavoro del tuo dentista e lo annienta in pochi minuti; 2° si può utilizzare come carta moschicida, in quanto la mosca sente l'odore dolce diabetico del prodotto alimentare (?) in questione e poi ne rimane talmente attratta e muore lì, felice di mangiare tale dolcezza. Però il prezzo alla fine era poi concorrenziale con il nostro torrone, e quindi avevamo la nostra bella convenienza.

· GIOVEDI' 24/12/1998. E' QUASI NATALE (MA QUI NON LO SANNO)!!!!!

Oggi ci sarà la kermesse delle formalità per l'uscita dal Marocco e per formare il convoglio scortato che attraverserà il campo minato e, a giudicare dal movimento che c'è in città, ci sarà anche molta gente.

Il campo minato è il residuo della guerra tra Marocco e Mauritania per il dominio del territorio dei Saraoui (ai quali nessuno a mai chiesto il parere, ma si sono presi solo un sacco di botte, così senza sapere il perché). Per attraversare questa zona, i marocchini si sono inventati il convoglio, che frutta, poi, alla fine di tutti i discorsi sociali e politici, ricadendo come sempre in un grettissimo discorso economico, un sacco di soldi sia ai marocchini che ai mauri. Si sa: il turista porta sempre denaro.

Il convoglio non è altro che una fila di mezzi che, buoni buoni, uno dietro l'altro, attraversano, su una pista nel deserto, scortati da un militare solo, il tratto minato a cavallo tra Marocco e Mauritania.

Quest'anno ho già visto un sacco di mezzi veramente interessanti, ma ne riparleremo nei prossimi giorni.

L'iter demenzial-burocratico è il seguente:

1° Ufficio di Polizia: generalità varie (nome, paternità, professione, ecc)

2° Ufficio dello Stato maggiore/gendarmeria (stesse stupidaggini di prima più due foto)

3° Ufficio della dogana (idem come polizia, più documenti della macchina).

Importantissimo: non si può variare l'ordine degli uffici (altrimenti poi i funzionari marocchini non si raccapezzano più...) e bisogna assolutamente fare tutte queste cose nel più breve tempo possibile. Tanto saremmo partiti tutti il giorno dopo.

Finite le formalità un bel pranzo a base di pesce e poi, dopo una giornata di cazzeggiamenti a piedi per Dakhla, cena a base di cus cus.

Domani si parte, al mattino presto, speriamo.

Top of page!



· VENERDI' 25/12/1998. IT'S CHRISTMAS TIME!!!!!!

Oggi si parte per la Mauritania e alle nove del mattino, più o meno, tutti sono puntuali e ci si raduna nel piazzale antistante la polizia all'ingresso di Dakhla. La colazione oramai non sappiamo nemmeno più cos'è, anche perché, per il solito Ramadan, è sempre tutto chiuso fino a chissà che ora.

In giro per la città si vedono solo più gruppetti che si sistemano i mezzi per attraversare il deserto. E' il festival delle piastre da sabbia (sono come delle passerelle che, posizionate sotto le ruote della macchina non la fanno affondare nella sabbia), delle taniche, dei portapacchi, delle gomme di scorta. Tutte queste cose, al momento della partenza da casa, stavano tutte al loro posto, ben ordinate, proprio perché uno ci ha perso del tempo per trovare ad ogni cosa il proprio posticino, il buco per sistemare la tanica della benzina, lontano da quello per la tanica dell'acqua, e così via. Ora, dopo circa quattromila chilometri, non ci sta più niente, ed è tutto sempre fuori posto. La pala "balla" nei buchi e fa rumore, raschia contro la gomma che così si può bucare. Tutto per ingannare il tempo antecedente la partenza.

C'è un sacco di gente: circa 70 mezzi tra cui degli autobus, delle Citroën 2CV ed un sacco di "bagnole" di "marchand" (questi francesismi, stanno ad indicare rispettivamente "rottami" e "mercanti"). Ma vediamo con precisione, nel riquadro sotto, chi c'era all'appello.

I PERSONAGGI 4°

· I pullman dei francesi in gita scolastica con 37 studenti/esse tra i 15 ed i 18 anni. C'era un autobus praticamente di linea intercomunale (la "corriera") con una ventina di ragazzi sopra, condotta da un "manico" che l'ha portata praticamente dappertutto, più tre pulmini, uno da trenta e due da venti posti guidati dalle maestre, qualcuna anche abbondantemente sopra gli "...anta", che, per l'occasione, si erano agghindate un po' da bajadere, non esattamente in linea con la filosofia strettamente musulmana dei mauri. Gli autobus erano attrezzati di tutto punto, cucina, viveri, acqua, ecc. Inoltre, i gitanti avevano anche un vecchissimo camion a trazione integrale Mercedes che aveva lo scopo proprio di "scopa", cioè di racimolare gli insabbiati. Era però un rottame senza senso e non credo abbia fatto molta strada.

· Giuliana di Torino, splendida signora solitaria, con un pick up carico di esperienza di viaggi avventura in giro per l'Africa con itinerario a sorpresa. Nei momenti di pausa, durante il convoglio, ci ha raccontato dei suoi trascorsi in giro per il mondo, e basti pensare che è andata fino in India con una Citroën 2CV partendo da Torino. Inoltre, scopro anche che ha origini astigiane.

· Gli UNIMOG veneti, con dei pazzi scatenati a bordo che hanno litigato praticamente con il mondo intero. Persone distintissime, alcune, selvagge altre. Un direttore di banca con relativa consorte a bordo di un Unimog praticamente nuovo che definire bellissimo è ancora poco. Stefano, solitario, con un Unimog che "...ho comprato dai Vigili del Fuoco perché era troppo grande per i loro scopi; l'ho pagato la metà e quando l'ho ritirato aveva 500 km (nuovo costa 150 milioni di lire)". A me 'ste cose qui non capitano mai. Claudio, ex dakariano, con pazientissima consorte, su un Unimog "piccolino" ex gara (Parigi Dakar, appunto); aveva due serbatoi per l'acqua di 80 litri cadauno ed uno di questi era pieno di prosecco. Con loro c'è anche un Toyota bellissimo con una Maggiolina che non ha quasi più nessuna fisionomia della tenda da auto, e inoltre era presente anche un altro Unimog che, per la sua agilità, velocità, spunto ed accelerazione l'ho ribattezzato "il monumento". E' un mezzo assolutamente immobile, presumibilmente degli anni '60, con degli accessori artigianali un po' moderni di indubbio gusto kitsch. Il cassone su cui era allestito tutto (cucina e letto) aveva forma di parallelepipedo con dimensioni 1,80x1,60x1,25 (lunghezzaxlarghezzaxaltezza). I due fratelli che lo guidavano erano due "selleroni" di due metri l'uno e non so dove riuscivano a stare.

· Le tre 2CV anni '70. Erano due berlinette più una furgonetta, tutte multicolor. Simpaticissime e con una accessoristica non prettamente africana, ma più da "gita di Pasquetta", comunque molto efficienti e soprattutto inarrestabili. La furgonetta, addirittura, al suo interno aveva una piccola saletta giochi per i bambini della coppia francese che guidava.

· Un francese in bicicletta. Non ricordo il nome, ma ricordo che aveva percorso già un sacco di chilometri in bicicletta nei paesi europei, ed ora aveva deciso di cambiare strada e dirigere la sua rotta verso l'Africa. In un campo minato, in bici appunto.

· Un sacco di Peugeot con i loro "peugeottari". Questo termine è quello che serve per definire questi personaggi denominati anche "marchand", mercanti d'auto. Consuetudine abbastanza frequente in Francia, quella di acquistare una vecchia Peugeot, auto cult per tutta l'Africa, e di percorrere migliaia di km in terra africana per poi rivenderla a qualche malcapitato indigeno. Successivamente, in Germania, si è sviluppato lo stesso fenomeno, però con le Mercedes. C'è chi lo fa per turismo, come me, chi lo fa per lucro (rubare un'auto, in termini economici, costa sempre niente, in termini morali o giudiziari è però un altro discorso), e chi lo fa per professione. Si parte con il rottame, si raggiunge il luogo di vendita il più presto possibile, senza spazi per panorami o interessi turistici vari, si cerca di vendere al miglior prezzo possibile e con i soldi guadagnati si rientra a casa per ricominciare il tour de force. Questa pratica del "peugeottaro" era molto in voga negli anni '70, soprattutto in Algeria e Niger, poi con la questione degli integralisti, si è bloccato tutto; ora si sono aperte delle vie alternative, anche se secondo me non è più la stessa cosa. Se riusciste ad attraversare il tratto di deserto che divide l'Algeria dal Niger, vedreste un immenso cimitero d'auto, lungo anche un centinaio di chilometri. Sono tutte le auto abbandonate dai "marchand" per un'insabbiamento profondo od un guasto grave. Oramai sono solo più scheletri che emergono come zombies dalla sabbia, "ripuliti" di qualsiasi cosa che possa essere recuperata o rivenduta, dai Touareg. E resteranno lì a testimoniare uno stile di vita dell'uomo bianco in Africa, fagocitate dalle sabbie, smerigliate dal continuo sferzare della sabbia portata dal vento e bruciate dal sole implacabile del Sahara. Grazie a loro però, i prossimi viandanti troveranno il passaggio giusto, quello sulla sabbia più dura, esattamente come se fossero delle pietre miliari ad indicare direzioni e distanze, in un luogo dove forse non ha molta importanza né dove vai, né perché stai andando e nemmeno quanto tempo ci impiegherai.

· Un R.R. tedesco ex verde militare ora dipinto con vernice murale bianca per motivi di sicurezza. Infatti al giorno d'oggi, viaggiare in Africa con un mezzo ex militare può avere dei significati strani per gli indigeni; quindi è meglio cercare di eliminare tutti i possibili riferimenti ad un excursus militare del veicolo, per evitare qualche sventagliata di mitra o qualche assalto di pirati o di ribelli. I due simpaticissimi ragazzi che lo portavano al macello, avevano, dunque, un po' di timore che piovesse e che si sciogliesse la pittura al quarzo.

· Cinque moto tra cui una Harley Davidson. La guidava un sessantenne olandese con il tipico abbigliamento da "Harleysta" ma, fuori dall'asfalto, non l'ho più visto. E non abbiamo nemmeno sentito il botto della mina, quindi sarà tornato indietro.

· Fabio e Charlotte con il loro Toyota strapreparato. Uno stile molto "nobile", ma con un buono spirito di adattamento, ha contraddistinto la coppia. Charlotte, sulle prime, sembrava non gradire molto il viaggio poi abbiamo capito che era proprio il suo modo di fare. Il Toyota era un modello molto potente che Fabio aveva acquistato poco tempo prima. E' stata bellissima la faccia di Fabio quando Claudio, l'ex dakariano degli Unimog, ha riconosciuto il Toyota ed ha elencato il nutrito carnet di gare africane del veicolo, degne del curriculum vitae di un pilota professionista. Ma lo sbiancamento ed i sudori freddi di Fabio sono stati placati dal fatto che il vecchio proprietario del veicolo, sottoponeva il Toyota ad un meticoloso periodico check up, con relativa riparazione o sostituzione di parti danneggiate, al termine di ogni competizione per cui la macchina era veramente in buone condizioni.

· Piero e Anna con il Nissan pick up e le loro mille guide. Particolare interessante: la tenda da tetto. Tutte le "air camping", come si definiscono le tende da tetto per auto, hanno degli spessori notevoli una volta chiuse. Questa era solo di pochissimi centimetri in quanto era stata ricavata artigianalmente da una rete da letto matrimoniale adattata al tetto e, a quanto pare, ha funzionato benissimo per tutto il viaggio.

Finalmente si parte, tutti in carovana, è uno spettacolo. Un convoglio di scassoni, con i quali nessuno si azzarderebbe neppure ad andare a comprare le sigarette, che giungono un po' da tutta Europa per andare un po' in tutta l'Africa. Le destinazioni più comuni sono Mali, Burkina Faso, Niger, Ghana, Costa d'Avorio, Benin, Togo. Si fanno ancora due o tre riordini, per serrare un po' la fila, fino ad arrivare a Bir Guendouz dove facciamo campo e festeggiamo il Natale con una fetta di panettone ed un po' di spumante seduti nella freddissima sabbia fastidiosamente inumidita dall'aria dell'oceano. Piero sta male per un colpo di freddo allo stomaco mentre qualcuno ha già spaccato la macchina, è rimasto indietro ed è stato recuperato solo ora, a notte tardissima e ancora qualcun altro festeggia il Natale con un brindisi, prendendosi un po' la rivincita sul ramadan dei musulmani. Non sono festeggiamenti opulenti, per un viaggio avventura preferisci portare delle cose necessarie, non superflue, ma c'è comunque tanta sincerità e tanto "spirito di corpo" anche perché quando qui ti trovi nelle difficoltà sei esattamente uno come tanti, perdendo tutti i tuoi pregi e i tuoi diritti, e se perdi anche le amicizie e la solidarietà degli altri, allora sei veramente da solo e fregato.

Il panettone e lo spumante ed in collaborazione con il freddo e l'umido locali, fanno sì che nelle nostre pance si sviluppino delle reazioni gasogene che consentono, oltre ad un rapido riscaldamento (e successivo surriscaldamento) dell'ambiente tenda, anche un effetto odoroso e sonoro di indubbio impatto (anche ambientale, se vogliamo), tant'è che nonostante i due, tre gradi di temperatura, ci è convenuto dormire con la tenda aperta se non volevamo finire come dei condannati alla camera a gas. Buon Natale! (Anche se sembrano le prove generali dei botti di Capodanno).

Top of page!



· SABATO 26/12/1998 (SANTO STEFANO)...QUI COMINCIA L'AVVENTURA

Come al solito la sveglia è fissata per le cinque, anche se siamo ancora un po' intontiti dagli eventi gassosi della notte, e lo start per il tratto più divertente del convoglio è fra mezz'ora. Oggi approcceremo il deserto e le sue piste, qui anche le sue mine, forse. La temperatura è già abbondantemente sopra i venti gradi e il sole comincia a farsi sentire.

Il campo dove ci siamo fermati a dormire è un piazzale di sabbia e roccia, dominato dal fortino della Legione Straniera Francese, ora dei marocchini, in cui non c'è assolutamente nulla. Esattamente come se ti fermassi lungo l'autostrada in una rientranza apposita, anzi in autostrada hai il guard-rail, a Bir Guendouz no. Da quest'anno hanno costruito un fabbricato con i gabinetti, ma si sono dimenticati che nel deserto non c'è acqua e così i gabinetti sono come dire... un po' sguarniti, ecco. Da Bir Guendouz comincia la cosiddetta zona franca, di transizione tra il Marocco e la Mauritania e, con essa, anche il deserto. La strada dopo Bir Guendouz è ancora asfaltata per qualche chilometro, poi solo sabbia, pietre e quello che rimane della vecchia strada asfaltata: una fettuccia nera, impraticabile corrosa dall'azione combinata di sabbia, vento, carri armati e mine.

E' un'ecatombe già dopo pochi chilometri. Il primo a passare è stato un Toyota olandese che dopo tre metri è annegato nella sabbia, gli altri Peugeot, Mercedes, auto e furgoni si insabbieranno tutti intorno al Toyota nel raggio di duecento metri, alla ricerca di una via alternativa. Il R.R., da vera signora non ha provato nemmeno a cedere un po' di motore (anche perché le avrei dato fuoco); le 2CV sono passate spavaldamente, senza infamia e senza lode. Le moto saranno ancora lì che ravanano senza riuscire a fare un centimetro. E' stata l'apoteosi delle piastre da sabbia, delle videocamere, delle macchine fotografiche e dei buoni samaritani che, disincagliata la propria vettura, vanno ad aiutare gli altri. Il massimo spettacolo l'ha dato il pullman da cinquanta posti che è passato come un razzo senza insabbiarsi! Un manicomio.

Tre ore di colonna per varcare la frontiera maura ad uno ad uno: consegna passaporto, annotazione dei dati ecc. ecc. La seconda pozza di sabbia è un uguale divertimento peccato che non si possano fare foto per via della frontiera maura. Lo spettacolo qui è dovuto dal fatto che la sabbia è sulla curva della pista. Curva stretta, fra terreno minato a destra e il filo spinato del confine a sinistra. Non si può accelerare più di tanto, altrimenti sconfini su una mina ed il tuo viaggio (anche quello con la "V" maiuscola) è già terminato. I 4x4 (se chi guida ha un po' di esperienza) possono passare la difficoltà con una marcia molto corta e le gomme molto sgonfie, ma le vetture normali anche a velocità folli si piantano nella sabbia, fortunatamente nella sabbia. Il R.R. ha fatto il recupero di un furgone ma poi gli Unimog hanno fatto il resto, pullman compreso. Comunque bisogna venire fino qui per vedere un pullman che cerca di imitare un aereo, considerando il salto su una roccia che lo ha proiettato in alto di circa cinquanta centimetri!!

Cominciano i primi sentori di qualche problema con il visto per la Mauritania, ma per ora riusciamo a passare. Da qui in poi la pista è dura (nel senso di compatta) e senza fatica riusciamo a raggiungere l'avamposto di Noahdibou dove ci vogliono fermare per la notte con il solito discorso dei passaporti, delle formalità, della rava e della fava.

Durante le formalità di gruppo (tecnica africana) si sente un rumore leggero, di sottofondo. Non tutti lo percepiscono, presi come sono nelle faccende di frontiera. Poi il rumore diventa ritmico e molto più forte, tanto che ora la gente si dice: "Hai sentito?" Da dietro le dune, in direzione di Laiguera, comincia a intravedersi una luce diffusa, lattiginosa. Tutti adesso fanno silenzio e l'interesse a quel "Hai sentito?" ora è quasi timore. Piano piano si staglia la figura della locomotiva ma non è ancora così definita da far associare il rumore di ferraglia al treno, anche perché pochi si aspettano di vedere il treno nel deserto. Non fai in tempo a chiederti "Ma cos'è?" che capisci subito che si tratta di uno scassone che potrebbe solo circolare qui in Africa, ma quando non riesci a vederne la fine e, durante il suo lentissimo incedere, nemmeno più l'inizio, ti chiedi "Ma quant'è lungo?" Poi dopo qualche minuto di silenzio totale in cui la ferraglia spadroneggia su tutti gli altri suoni, arrivano gli ultimi dei 250 vagoni e riesci di nuovo a respirare e a ricominciare a fare quello che stavi facendo, sì perché, senza rendertene conto, ti sei immobilizzato, rapito da una scena degna di un film post-atomico, che per qualche istante ti ha creato una sensazione che va dal timore allo stupore, passando attraverso l'incredulità. Poi ti guardi in giro, credendo di essere l'unico cretino che a trent'anni rimane a bocca aperta davanti al treno, ma vedi che più o meno tutti sono al tuo livello, ti rincuori e ripiombi nella realtà delle formalità di frontiera in Mauritania.

Intanto gli autobus si sono persi fra le dune in mezzo alle mine. I militari li recuperano nottetempo, ma arriveranno in città in tarda mattinata. Sono fantastiche le scuole francesi, soprattutto sicure: se avessi un figlio lo iscriverei senz'altro in una scuola che organizza una gita scolastica in un campo minato in Mauritania.

Con un'abile mossa riesco a sbloccare i passaporti degli italiani, grazie anche all'aiuto di Alì e di Claudio degli Unimog e riesco ad andare a dormire al campeggio di Alì su un quasi letto vero. Claudio è un ex dakariano, pazzo e, a volte, simpaticissimo; con i marchand però dovrebbe avere un comportamento diverso. Oramai sono già le tre del mattino. Domani formalità per l'ingresso in Mauritania.

I PERSONAGGI 5°
Alì è il proprietario di un bellissimo campeggio a Noahdibou: "La Baie du levrier". Si tratta di un cortile di sabbia, recintato da muri, composto da tettoia con cucina, camere, e bagni a tua completa disposizione. Puoi scegliere se montare la tenda, dormire in camera, cucinare i tuoi viveri, quello che vuoi insomma. L'unico difetto sono la doccia, che è sempre freddissima, ed i cessi, che puzzano sempre anche se il personale li pulisce sovente.

Alì è un arabo che ha capito che se vuole vivere con il turismo deve adeguarsi alle necessità dei turisti. Non sono in molti in Mauritania ad averlo capito. E' sempre disponibilissimo, cortese e nei limiti della sua cultura, pulito ed educato. Questi ingredienti hanno fatto sì che il suo camping abbia un buon successo di avventori. Organizzatore di escursioni nel deserto, é un maniaco del tè mauro, ma soprattutto del rito del tè. Se, durante la giornata, ti incontra nel cortile o spaparanzato sulle sdraio sotto la tettoia della cucina, ti offre immediatamente il tè: il primo amaro e con un sapore fortissimo, quasi di tabacco; il secondo, un po' più zuccherato ma sempre di aroma molto intenso; il terzo dolcissimo, da diabete, da favorire senza dubbio la carie dei denti tant'è che dopo ogni tè, Igor, maniaco dei denti, non avrebbe potuto continuare la giornata senza usare lo spazzolino.
Claudio è stato uno dei personaggi più interessanti delle carovana. Chiunque in quella carovana avrebbe voluto ammazzarlo, a causa dell'odio fortissimo che stimolava il recondito istinto animale di chiunque, ma io a lui ero simpatico e lui a me non ha mai suggerito dei raptus omicidi. Innanzitutto è un pazzo scatenato, ex dakariano (corridore di Parigi Dakar), sbalzi di umore da crisi maniaco depressive, e, particolare degno di merito, aveva i due serbatoi dell'acqua dell'Unimog pieni di prosecco. Ha litigato con tutti ma come alibi aveva quello che alle due del pomeriggio aveva già bevuto. Un tipo particolare insomma.

Ancora un incontro tipico di questi viaggi: Pasquale, di Napoli ma residente a Berlino, capelli lunghi intrecciati da rasta (dreadlocks), età 48 anni (assomiglia allo zio Carlo, dice Igor), sposato e separato con un figlio di otto anni, "cittadino del mondo", come si è autodefinito, aiuto cuoco in un ristorante della città tedesca, con un Mercedes SW diesel da vendere a Bamako. Ma di lui avremo occasione di riparlarne più avanti.

· DOMENICA 27/12/1998. MAURITANIA'S LIFE.

A Noahdibou finalmente interrompiamo quell' usanza acquisita in Africa di non fare colazione e ci fiondiamo alla "Patisserie Claire de Lune" per strafogarci di dolci alla panna, dai sicuri effetti devastanti, per noi già provati dal panettone di Natale. Inoltre abbiamo portato la pioggia: era undici anni che non pioveva. Ma la sfiga non si ferma lì.

Le formalità maure consistono nell'attraversamento di più difficoltà inutil-burocratiche.

· Dogana: controllo formale delle dichiarazioni di valuta, dichiarazione sull'onore di non essere arrivati in Mauritania per vendere il mezzo (il novanta per cento dei partecipanti al convoglio erano marchand) e una bella fila per l'attesa del timbro sul passaporto per l'importazione temporanea del mezzo. Peccato che i doganieri, agli astanti in piedi nel corridoio, frugassero, così con disinvoltura, nelle tasche per racimolare qualche ouguiya, ovviamente senza chiedere o, meglio, cercando di non farsi accorgere.

· Assicurazione: stipula di una normale polizza con dei costi come se un neopatentato dovesse circolare con una Lamborghini Diablo a New York nelle ore di punta.

· Polizia: le dolenti note. Controllo formale dei visti e timbro di ingresso in Mauritania. "I fratelli italiani e francesi non hanno bisogno del visto per la Mauritania", mi aveva detto il segretario dell'ambasciata maura a Rabat. Evidentemente quel poliziotto non era parente del segretario e, conseguentemente, nemmeno degli italiani o dei francesi, in quanto agli unici due italiani senza visto come noi è costata la bella cifra di 200.000 lire per poter entrare in Mauritania. Se tutti i miei accidenti hanno attaccato oramai quel simpatico poliziotto sarà già morto di ascaridi da un bel po'.

Salutato Alì e Mohamed, riusciamo ad abbandonare Noahdibou verso le cinque del pomeriggio dopo aver comprato una tanica per l'acqua (pensavo di averla comprata in gioielleria, dopo aver sentito il prezzo!) e dopo aver riparato la gomma scoppiata. Quindi ci si ripropongono le tre baracchine mitiche della prima frontiera, quella del deserto, ovviamente in pieno fine ramadan così non c'era nessuno che ci considerasse. Ma ad un primo controllo, capendo che non avevamo fatto i biglietti per il Parco del Banco d'Arguin (che non dovevamo fare!), hanno cominciato a prenderci in considerazione. Soprattutto per batterci ancora dei soldi che, ormai schifati dalla giornata vessatoria, abbiamo pagato senza troppi problemi, augurando loro che, grazie ai nostri proventi, potessero godersi lunghe giornate di degenza presso un qualsiasi reparto di ortopedia o, meglio, di chirurgia di un qualsiasi ospedale locale, meglio se piccolo e male organizzato.

I PERSONAGGI 6°
Mohamed è un mauro che ha vissuto parecchi anni in Italia, lavorando come carpentiere a Milano. Parla benissimo l'italiano ed usa un intercalare unico "... è un casino della madonna..."Attualmente ha una ferramenta ma è sempre impegnato nei traffici " da arabo" più o meno loschi.

Partiamo che ormai è buio, alla vana ricerca degli Unimog, che ci avevano dato appuntamento, essendo partiti qualche ora prima di noi, su una pista mai fatta, in mezzo alla sabbia più bella che c'era. La luna creava delle ombre tenui che ci indicavano i contorni delle dune da evitare, ma, solo con i fari della macchina, era veramente difficile interpretare il colore della sabbia e quindi la sua consistenza. Igor era molto impegnato a crearsi la rotta con il GPS, finalmente al suo primo vero utilizzo da quando l'ho comprato, considerato che la ferrovia non la si vedeva quasi più perché la pista le si era allontanata un po' troppo e poi era molto buio. Viaggiammo per circa due ore a velocità un po' ridotte; talvolta ci ritrovavamo in mezzo a sabbia soffice e il R.R. "moriva", occorreva scalare, sperando di non doverci fermare a spalare sabbia per poter ripartire. Alle dieci e mezzo ho gli occhi che sembravano due cocomeri e, considerato i 50 km che avevamo appena percorso, decidiamo di fare campo ai piedi di una bella duna. Tenda, fuoco e mangiare seduti sulle taniche, appoggiati al portellone posteriore che da bancone di officina per le piccole manutenzioni ora è diventata tavola da pranzo. Ovviamente il cielo stellato ci ha fatto da tetto. Ma non è fantastico tutto ciò? Però faceva anche un bel freddo porco, tant'è che di notte poi la temperatura è scesa a due gradi e Igor, convinto di essere a Madonna di Campiglio, ha tirato fuori gli sci ed ha fatto due curvettine sulla dunetta che ci ospitava per la notte. Mi sono venuti in mente i surfisti di Agadir: che pena!

Mancava ancora un passaggio del treno di notte che è sempre una delle cose più belle che abbia mai visto in vita mia: un treno impossibile (250 vagoni), su una ferrovia semidiroccata, nel buio assoluto del deserto con un faro centrale ed un rumore più inquietante che assordante! A me lascia sempre senza fiato. Domani deserto. E vai!

Top of page!



· LUNEDI' 28/12/1998. MAURITANIA'S LIFE.

La notte è stata fantastica. Beh, non fraintendiamo, Igor non c'entra nulla, lui ha dormito come un sasso, credo, ed io pure. E come sassi ci siamo mimetizzati benissimo nella placida notte del deserto (comunque un po' fredda). E dopo una notte di ottimo riposo, verso le nove del mattino ricominciamo il nostro cammino verso la città di Choum (la dovete vedere!). Ovviamente prima abbiamo riassettato il campo ed abbiamo asciugato la tenda, fradicia di umidità che, incredibilmente, a quasi cento km. di distanza, arriva ancora portata dal mare.

La ferrovia è a poche decine di metri da noi ma non vediamo le tracce della pista: ciò potrebbe essere importante perché, al di là della ferrovia, a circa un km, c'è il confine marocchino e, quindi, è possibile trovare delle mine; per cui se c'è la pista le mine non ci sono, diversamente: BUUMM!! Nonostante ciò procediamo per un po' nella sabbia vergine che a tratti è sofficissima costringendoci a sgonfiare le gomme per non affondare troppo ed a tratti è così dura che mi permette di portare il R.R. anche a 110 km/h di velocità! Una bella alternativa ai quasi cento chilometri percorsi in seconda al massimo dei giri.

Attraversiamo dei villaggi che sono ovviamente nati per gli operai che lavorano alla manutenzione della ferrovia e, in uno di questi, credo a Inal, abbiamo trovato un locale che diceva di aver lavorato con un certo Antonio, "...italiano, no? Lo conosci, eh ?" (già, perché in Italia chi non conosce il famoso Antonio? Ma dai, quello italiano!), che ovviamente gli aveva insegnato il solito turpiloquio di rito, forse anche un po' più turpe: un bel "P... Dio!", che l'indigeno usava come suo intercalare abituale.

Lungo la ferrovia, ci sono dei siti che sono stati teatro dei deragliamenti e, a giudicare dai vagoni sparpagliati nel raggio di un centinaio di metri, anche disastrosi. In direzione di Choum però le sorprese non sono ancora finite. La pioggia, nei giorni scorsi, è caduta abbondante e in alcuni tratti di deserto è possibile vedere parecchia erbetta, che è una vera manna per i branchi di cammelli e le greggi di capre che pascolano in mezzo alla sabbia. La pioggia, insieme all'erbetta, ha fatto anche parecchio fango che ci causa qualche problema di aderenza, anche perché le gomme del R.R. sono rigorosamente pelate fino all'osso o meglio, alle tele. Troviamo anche una bella dunetta su cui riesco ad arrampicarmi con il R.R. e a fare così da skilift per Igor che finalmente riesce a provare gli sci come si deve. La sabbia tiene bene e Igor riesce a fare due belle curve ed una discesa come se fosse sulla neve, peccato che la duna era un po' bassa! Finalmente Igor annovera nel suo personale carnet il quarto continente al mondo dove lui ha sciato.

Ora la pista per Choum è solo più dune di sabbia, per evitare di perdere la rotta ne scavalchiamo qualcuna e finalmente, in lontananza, si vede Choum, dove arriviamo alle diciotto circa. Choum è fatta di casupole di


Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.