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Mercoledì, 20 Maggio 2009

L'isola che non c'e'

Mia moglie ha già sistemato tutto nelle scatole ed è pronta per traslocare. Ma domenica pomeriggio, all'ultimo minuto, riapre uno scatolone e tira fuori una fotografia...

Concorso Storie Vagabonde

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Mia moglie ha già sistemato tutto nelle scatole ed è pronta per traslocare. Ma domenica pomeriggio, all'ultimo minuto, riapre uno scatolone e tira fuori una fotografia.

"Ti ricordi quando eravamo ragazzi, prima di sposarci?" mi fa. "Quando eravamo pieni di sogni e di progetti? Te lo ricordi?"

Mi passa la foto.

Sul retro, proprio sopra la stampa carta Kodak, scritti a penna un luogo e una data: Santorini, 1989.

"E' passato tanto tempo", faccio io. "Saranno vent'anni fa. Ma quella vacanza la ricordo bene."


Stavano a Kamari allora e l'albergo era a ridosso del monte Elijah che nel pomeriggio proiettava la sua ombra su quasi tutta la parte orientale del paese. Potevano vedere il mare di là e buona parte del corso principale con le sue taverne e negozi per turisti. La sera e la mattina quando atterravano gli aerei sull'isola di Santorini si sentiva il rombo potente dei motori e nel cielo si vedevano stormi d'uccelli volare come impazziti nella direzione opposta all'aeroporto.

Quella era l'ultima settimana d'agosto ma c'era un gran passeggio di turisti e i ristoranti del posto erano sempre stracolmi. Era una cittadina allegra e cordiale e la giovane coppia apprezzava l'albergo, che aveva quattro camere al primo piano e a pianterreno un ristorante e una piscina scavata nella montagna. La camera dove alloggiavano sembrava il quadro della camera di Van Gogh a Arles tranne che c'era il letto matrimoniale e una grande finestra e si poteva guardare oltre gli alberghi e le case dai tetti blu e bianchi fino alla spiaggia e al mare livido e pulitissimo dove sorgeva il sole.

La mattina facevano colazione con succo di frutta e pane imburrato con la marmellata, seduti all'ombra d'una veranda che affacciava sul mare. Al ragazzo piaceva molto il Baklavàs, una sfoglia di mandorle al miele molto appiccicosa, e tutte le volte ne tagliava una bella fetta da portare con sé in spiaggia. Poi preparavano dei panini al prosciutto e formaggio, tiravano fuori dal freezer la bottiglia dell'acqua ghiacciata, mettevano tutto nello zainetto e mano nella mano s'incamminavano verso la spiaggia di ciottoli neri.

L'acqua dell'Egeo era fredda e pulita e subito profonda, e a loro piaceva tuffarsi da un isolotto vulcanico vicino alla spiaggia e scendere giù fino al fondo e restare a nuotare finché il nuoto non li avesse riscaldati.

A pranzo sceglievano una taverna lì vicino, con una bellissima vista sul mare, dove mangiavano un bel piatto d'insalata greca con pomodori, olive nere, feta e tante cipolle tagliate fresche e sottili, in forma di anello e sistemate nel piatto in grande quantità. Si sentivano autenticamente felici e lui prima non sapeva che si potesse amare qualcuno sino al punto di non curarsi di nient'altro e di credere che tutto il resto non esistesse.



Poi quando il sole era ormai troppo caldo se ne tornavano sotto l'ombrellone e assieme univano i lettini per riposare un poco, con il profumo del sale e la brezza marina che rendeva piacevole il sonno. Restavano in spiaggia fino al tramonto, solo allora s'incamminavano verso il loro albergo, avendo cura ogni giorno di provare un cocktail diverso nelle decine di bar che costeggiavano la via principale della città.

La sera, infine, prendevano un piccolo bus scassato e andavano a Fira, la capitale, distante dal loro albergo poco meno di venti minuti. Facevano un giro delle taverne finché non decidevano cosa mangiare, e poi prendevano posto in uno dei tanti tavolini all'aperto. Alla sera il ragazzo cenava sempre con i souvlaki, spiedini di carne d'agnello e di maiale cotti alla brace, mentre la ragazza amava la moussaka, melanzane unite a carne trita, salsa di pomodoro e patate. Trascorsa la mezzanotte, sceglievano una delle tante discoteche all'aperto che sorgevano sulla spiaggia e spumanti d'allegria, spalla a spalla, ballavano in mezzo ad altri giovani fino al sorgere del sole.

Uno degli ultimi giorni avevano fatto il giro della caldera a bordo di un vecchio caicco, erano stati sul vulcano di roccia nera dall'odore di zolfo fortissimo, avevano guardato il riflesso del sole che tramontava sull'acqua seduti dentro un vecchio mulino trasformato in un bar e, per ultimo, in groppa a volenterosi somari avevano salito i 587 gradini che per la "strada di Ghialòs" portano a Oia.

La falce della luna era già visibile nel cielo quando si erano seduti accanto a un piccolo falò, con un cocomero in fresco nelle acque gelide del mare, e lei aveva cotto pesce fresco, gamberetti e polipi come primo piatto e frittelle, carne e uova più tardi, nella stessa padella annerita. Era riuscita a bruciare la padella in entrambe le occasioni, mentre l'acqua del caffè, invece, non bolliva mai, eppure era stata una delle volte in cui si erano divertiti di più. Avevano bevuto una bottiglia intera di vinsanto e dopo, in albergo, avevano fatto l'amore e si erano addormentati l'uno vicino all'altro, respirando piano piano a intervalli regolari.

Qualche ora dopo, all'improvviso lei aveva aperto gli occhi, come spaventata, e aveva cominciato a provare paura.

Il ragazzo intanto dormiva, respirando a bocca aperta.

«Amore» gli sussurrò, scuotendolo delicatamente per la spalla. «Amore» ripeté.

«Che c'è, Anna? Dimmi, cos'è che hai?»

«Vorrei tanto che mi massaggiassi la pancia» rispose lei. «Darà problemi tutto quel mangiare cotto male?»

Lui aprì gli occhi al buio, poi li richiuse subito. «Stai tranquilla, non è niente.»

«Ti prego abbracciami e fammi addormentare. Mi fa male la pancia.»

Lui si sollevò su un gomito, le mise una mano in grembo e prese a massaggiare con delicatezza.

«Sii gentile, preparami una camomilla» fece lei. «Dopo tutto quello che ho mangiato, ho bisogno di una camomilla per dormire.»



«Ma dove la riscaldo l'acqua, senza un fornello?» domandò lui. Guardò la ragazza, e gli venne in mente che lei sembrava una paziente d'ospedale. Una paziente fragile e indifesa.

Allora rotolò sul letto e prima che lei potesse rispondere disse:«Ci penso io.» Riempì d'acqua un bicchiere di plastica, andò in bagno, e cominciò a scaldare l'acqua con l'aria calda del fono. Era rimasto chiuso più di mezz'ora, là dentro, ogni tanto bagnava la punta dell'indice per sentire se si scaldava, e poi ricominciava daccapo. Si sentiva una specie di matto a rimanere chiuso, d'estate, in un bagno a scaldare l'acqua con un fono. Ma non smise finché la camomilla non fu pronta.

La ragazza bevve a piccoli sorsi, stringendo il bicchiere con due mani. Dopo pochi minuti fece un ruttino. Poi un altro. E un altro ancora. Prima silenziosi, poi sempre più forti. Alla fine scoppiò a ridere e anche lui rise con lei, stringendola forte a sé.

Quella notte lui si svegliò ancora e sentì il vento forte e selvaggio e si girò e si tirò il lenzuolo sulla spalla e richiuse gli occhi. Sentì il respiro di lei e richiuse gli occhi di nuovo. Sentì lei che respirava piano e regolarmente e poi si addormentò.


Adesso sono passati un sacco di giorni da quella vacanza. Troppi, forse.

"Sono stato uno stupido" le dico, cercando di prenderle una mano. "Ho sbagliato."

"Oh smettila" fa lei, decisa. "Va' all'inferno tu e quella specie di segretaria. Vorrei solo essere già fuori di qui."


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