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Domenica, 10 Luglio 2005

Libia Raid 2005

Avventure nel Mondo proponeva: 9 giorni in Libia con moto a noleggio per compiere un itinerario di circa 1500 km nel deserto...

ARTICOLO DI

Vagabondo0

Introduzione

Compiere 40 anni per molti significa girare la boa; si passa dalla prima fase della vita alla seconda.

Si diventa a tutti gli effetti adulti e ciò spesso crea stati d’animo densi di preoccupazione e di tristezza, perché la gioventù lascia il posto alla maturità completa, che è prodromo della vecchiaia e quindi della conclusione del cammino della nostra vita.


Per questo motivo ho sentito il bisogno di "girare la boa " realizzando uno degli ultimi desideri rimasti dai tempi in cui la vita era piena di sogni e di illusioni: vedere il deserto, ma vederlo dalla sella di una moto, mischiando al rumore del vento il rombo di un motore, sulle orme degli eroi dakariani che riempirono di libri e di riviste la mia libreria venti anni fa.


La miglior soluzione parve quella di appoggiarsi ad una organizzazione che mettesse disposizione la moto e l’assistenza per poter realizzare l’impresa nel modo più economico e più sicuro possibile.

Avventure nel Mondo aveva nel suo pacchetto di offerte la proposta giusta: 9 giorni in Libia con moto a noleggio per compiere un itinerario di circa 1500 km per la quasi totalità lontano dall’asfalto ( e scoprirò successivamente anche dalle piste....).


Iniziai la preparazione per il viaggio nel mese di dicembre conscio del fatto che le cose da fare erano tante, il mio fisico aveva bisogno di una bella " revisione ", non avevo alcun tipo di attrezzatura tecnica per affrontare al meglio la guida in fuoristrada e dovevo anche ottenere il rilascio del passaporto.


A metà gennaio era tutto pronto e nella settimana successiva potei dedicarmi agli ultimi dettagli tra cui la chiusura valigia, operazione non facile a causa dell’enormità di cose che serviva portare con se in Libia ( stivali e pantaloni da cross, protezioni, casco, sacco a pelo, viveri di emergenza, tanto per citarne solo alcune).

Feci le vaccinazioni consigliate ( antiepatite, antitifica e antitetanica ) e iniziai ad aspettare il 29 gennaio con ansia via via sempre più crescente.



1° GIORNO SABATO 29-1-2005

Il volo parte da Malpensa e l’appuntamento per la consegna dei biglietti è alle 8.30 al check in Alitalia. L’incaricato di Avventure nel Mondo è puntuale e insieme ai documenti di viaggio consegna a me e Claudio, l’altro milanese del gruppo, due casse contenenti i viveri.

Superati i controlli pre-imbarco al gate del volo Milano Tripoli troviamo gli altri 6 compagni di viaggio che erano già arrivati con altri voli a Milano: Alessandro e Frodo, di Firenze, rispettivamente capo gruppo e meccanico-guida, Leonardo e Giorgio, marchigiani di Fermo, Franco di Treviso e Max di Roma. A parte Frodo che ha poco più di 20 anni, abbiamo tutti dai 35 ai 55 anni. La cosa mi da tranquillità, perché di certo non ci sarà nessuna "testa calda" e anche il livello di resistenza fisica sarà simile al mio.

Meno tranquillo invece mi lascia il sentire che tutti loro sono o crossisti o enduristi; l’unico motociclista "d’asfalto" sono io.

In più Alessandro Leonardo e Giorgio avevano già partecipato all’edizione 2004 dell’AKAKUS LIBIA RAID, durante la quale vi erano stati degli incidenti piuttosto gravi ad alcuni piloti: in un caso addirittura era dovuto intervenire, un elicottero dell’Aeronautica Militare libica per recuperare un pilota che si era fratturato bacino e vertebre sacrali.

Mi chiedo a questo punto se ho fatto la scelta giusta, vuoi per la mia inesperienza, vuoi per la pericolosità del raid in programma, ma ormai sono in ballo e scaccio i pensieri dalla mia mente non appena l’aereo si alza sulla fredda pianura padana.

Arrivati a Tripoli passiamo velocemente la dogana libica e veniamo accolti da Mohamed Najeh, il titolare dell’agenzia turistica che ci fornirà l’assistenza e le guide in territorio libico; personaggio da film, simile ad un padrino più che ad un imprenditore, gira attorniato da tre " aiutanti" che lo seguono ovunque vada. Ci rassicura in un inglese stentato sul fatto che qualunque problema avremo lui o i suoi uomini ci aiuteranno, basta telefonargli col nostro telefono satellitare. Per ringraziarci del pagamento che effettuiamo direttamente nelle sue mani, seduti nella sua Nissan Maxima con sedili in pelle bianca, ferma nel parcheggio dell’aeroporto, ci regala uno spruzzo di profumo sulle giacche tecniche che indossiamo......puzzeremo per due giorni come le peggiori prostitute di Tripoli.......

Il volo per Sebha parte alle 20.00 e passiamo tutto il pomeriggio tra sala d’attesa e bar dove mangiamo una buonissima e piccantissima pizza e sorseggiamo diversi the alla menta.

L’imbarco sul volo interno avviene ordinatamente, nonostante la quasi totalità dei passeggeri sia araba. Con noi ora ci sono anche il nipote di Najeh e un poliziotto, quest’ ultimo ci scorterà per tutto il viaggio, non abbiamo capito se per proteggere noi dai libici o la Libia da noi.....

Arrivati a Sebha saliamo su un pulmino che in circa due ore ci porta alla base di partenza del tour, Fjeij, un piccolo villaggio alle porte del deserto, dove, in una specie di "albergo" dormiremo la prima notte, dopo aver consumato una cena a base di minestra piccante e cous cous di pollo e dopo aver dato una prima occhiata ai KTM 525 mxc che ci aspettavano.



2° GIORNO DOMENICA 30-1-2005

Alla mattina mi sveglio e aperta l’imposta si presenta per la prima volta ai miei occhi lo spettacolo del deserto.


Altissime dune sembrano sommergere con la loro imponenza il paese ed il suo minareto.

Facciamo colazione e subito ci dedichiamo alla preparazione delle moto, pulendo i filtri e controllando la tensione e lo stato delle trasmissioni, cambiando quelle che parevano meno "fresche".


Alle 12.00 siamo pronti alla partenza e indossato l’abbigliamento tecnico partiamo insieme ai 2 pick up Toyota che ospitano le nostre tre guide, 2 libiche ed un tuareg, ed il poliziotto Amhid e trasportano i bagagli le tende i viveri e 4 bidoni da 200 litri per la benzina.


Sostiamo in paese per rifornirci di benzina ( 200 litri costano 25 dinari cioè circa 15 euro....), frutta, pane e acqua.


Lasciamo subito dopo l’asfalto e imbocchiamo a sinistra una pista dal fondo pietroso che scavalca una bassa catena di rocce. La moto è eccezionalmente stabile e facile da guidare: basta alzarsi piedi sulle pedane e si avanza sicuri tra pietre e solchi, superando l’iniziale diffidenza dovuta alla mia abitudine alla guida stradale.

Un pick up ci precede e l’altro chiude la fila.

Superata la catena rocciosa ci ritroviamo in un immenso plateau dal fondo di sabbia compatta. Sparisce ogni riferimento sul suolo e aumentiamo la velocità, con l’occhio sempre attento alla ricerca di possibili insidie.


La fila di apre e viaggiamo lontano dalle jeep, uno a fianco all’altro, per non respirare la polvere sollevata dai mezzi e dalle moto lanciati a velocità superiori ai 100 km/h.


Dopo circa due ore ci fermiamo per mangiare, nel nulla del deserto.


Non fa caldo, un vento teso raffredda i motori mentre noi apriamo le nostre casse e ci prepariamo seduti nella polvere dei panini con tonno, formaggio, salame.


Le braccia sono un pò indolenzite, così come i polsi, ma la felicità e la magia del luogo fanno passare subito ogni acciacco.

Le guide hanno acceso il fuoco con della legna di acacia recuperata lungo il primo pezzo del tragitto e scaldano l’acqua per preparare il caffè o il the. Meglio che in Autogrill!


Ripartiamo e affrontiamo una lungo tratto di plateau sempre a velocità elevata; dopo un ‘ora deviamo a destra e con il sole negli occhi ci dirigiamo ad ovest costeggiando a qualche centinaio di metri le dune del Murzuq, un deserto di sabbia dall’estensione enorme ( occupa un ‘area di oltre 400 km di lunghezza e altrettanti di altezza).

Guidiamo sempre affiancati, distanti gli uni dagli altri; le jeep sono dietro di noi di diversi km, perché siamo molto più veloci.

Grido nel casco la mia gioia, gusto il colore del sole che si abbassa verso il suo tramonto davanti ai miei occhi, sobbalzo continuamente sulle asperità del terreno. E’ meno faticoso guidare stando in piedi, la moto è più stabile e la schiena non soffre. Sono aggrappato al manubrio, in 5^ piena e sento il monocilindrico urlare dallo scarico aperto tutta la sua potenza. Le moto sono senza strumentazione non so a quanto stiamo viaggiando, ma di fianco a me le dune scorrono veloci.


Verso le 18.00 ci fermiamo a fumare e a riposarci. Le guide ci raggiungono e ci dicono che è ora di fermarci; Lasciamo il plateau e ci infiliamo tra le dune: lì il vento è meno forte e faremo campo in una piccola valle sabbiosa all’ingresso del mare sabbioso.


Prima di piantare la tenda mi guardo intorno: è meraviglioso!

Il sole che tramonta colora le dune di arancione e crea giochi di ombre e luci come in un caleidoscopio.

I KTM con il loro colore si adattano alla perfezione a questo quadro naturale.


Il sole è tramontato e comincia a fare freddo. Montiamo le tende a igloo, apriamo i sacchi a pelo e ci sediamo intorno al fuoco a mangiare, con la silenziosa compagnia delle nostre guide.

Dopo mangiato la guida tuareg inizia a preparare il the verde, lo chiama " atai" ( in arabo è il "tchai"); gesti lenti e precisi, un rituale tramandato da generazioni, i piccoli bicchieri di vetro ricevono la bevanda e passano di mano in mano a scaldare il nostro corpo e il nostro cuore. Alzo lo sguardo e il cielo mi dona milioni di stelle luminose.


Alle 21.00 ci ritiriamo in tenda e il sonno ci raggiunge nel silenzio del deserto.....



3° GIORNO LUNEDI 31-1-2005

Fa freddo quando mi sveglio: il termometro segna 1°.

Facciamo colazione con pane e nutella e caffè. Smontiamo le tende, carichiamo i bagagli sui pick up, facciamo un pò di stretching per evitare strappi muscolari causati dallo sforzo immediato a cui sottoporremo i nostri arti appena partiti.


Indossato l’abbigliamento tecnico, accendiamo i motori dei KTM.

Il silenzio del deserto lascia posto al rombo degli 8 monocilindrici......


Usciamo dalle dune per riportarci sul plateau. Dopo qualche decina di km entriamo in una catena montuosa che valichiamo guidando su un pista pietrosa molto impegnativa per le braccia e che minaccia la tenuta delle moto a causa della dimensione dei sassi che troviamo sul nostro cammino....

Fermandomi per una sosta apro il cavalletto laterale, inclino la moto, ma scendendo dalla sella il sottile sostegno sprofonda nel terreno e cado sul fianco sinistro con la moto sopra un piede: nulla di grave, a parte la figura da pirla.

Superato un passo su un terreno che si fa via via sempre più sabbioso ci ritroviamo in una zona piena di gialle collinette punteggiate di acacie e pietre che spuntano dalla sabbia.

Dopo un’altra sosta riparto per ultimo e nell’invertire la direzione di marcia, mi si impunta la ruota anteriore nella sabbia e cado nuovamente.

Tempo di rialzarmi e sollevare la moto e gli altri sono spariti dietro le dune: mi ritrovo solo, col fiato grosso e non so da che parte devo andare: potrei rimanere fermo ad aspettare che ritornino gli altri a recuperarmi, ma decido di seguire una traccia nella sabbia, sperando che sia stata lasciata dai compagni di avventura.

Vago per 5 minuti seguendo il solco e li rivedo, fermi ad aspettarmi. Alessandro, il capo gruppo richiama l’attenzione di tutti sul fatto che sia indispensabile controllare sempre di non aver lasciato indietro nessuno e invita tutti a non dimenticare che ogni volta che qualcuno si perde come minimo si corre il rischio di dovere passare molto tempo a ritrovare l’amico.


Pranziamo nel plateau successivo, vicino a delle acacie, approfittando per raccogliere della legna che ci servirà questa sera per alimentare il fuoco.

Qualcuno approfitta della pausa pranzo per disegnare sulla sabbia figure geometriche con la ruota posteriore o per farsi lunghe sgroppate sul fondo sabbioso e piatto.


Io contemplo il panorama e ammiro la mia moto, bellissima nella sua semplicità.


Claudio ha qualcosa che non va: non parla, ha sul viso una smorfia di dolore: alla fine si decide e ci dice che nell’affrontare la precedente pietraia, mentre guidava in piedi, è scivolata dalla pedana con il piede ha preso una brutta botta sul polpaccio e sul tallone.

Non toglie lo stivale perché gli fa troppo male e stringendo i denti riparte.


Dopo qualche chilometro una jeep fora una gomma ( loro non montano le mousse come noi....).

Ci fermiamo ad attendere che venga sostituita la gomma; Claudio non ce la fa più e demoralizzato chiede di caricare la sua moto sul pick up. Ha la gamba gonfia e blu, fa impressione. Cerchiamo di consolarlo, dicendogli che con un pò di riposo gli passerà il dolore e domani potrà risalire in moto.

Non riesce ad appoggiare il piede a terra e sale a fatica sulla jeep.

Ripartiamo e affrontiamo una lunga pista sabbiosa e polverosa. Nonostante la distanza che teniamo l’uno dall’altro la visibilità è assai ridotta: inizialmente la velocità è moderata, per il timore di trovare qualche ostacolo davanti a noi senza avere il tempo di evitarlo; poi man mano prendiamo sicurezza, o meglio ci lasciamo prendere dalla incoscienza, e apriamo sempre di più il gas.

Viaggiamo in 5 piena con le moto che scodinzolano sui solchi lasciati probabilmente da camion passati dalla medesima pista, senza vedere nulla davanti a noi. Appena rallentiamo le moto perdono stabilità e quindi teniamo aperto il gas con la speranza che tutto vada bene.

Viaggiamo così per più di un ora: sono sfinito e pieno di polvere da tutte le parti, nel naso, negli occhi, nel collo, il giubbino ed i pantaloni sono diventati beige, il marsupio e lo zaino sono grigi.

Sostiamo vicino a dei caterpillar abbandonati nel deserto, seduti nella sabbia per riprendere le forze.


I pick up ci raggiungono dopo mezzora e questo ci fa rendere conto di quanto veloci abbiamo guidato nell’ultimo tratto per distanziare cosi tanto il mezzi a 4 ruote.

Ripartiamo sotto un cielo grigio. Lasciamo la pista e ci inerpichiamo su alcune colline di sabbia e pietre: andiamo più lentamente perché il fondo è molto insidioso e siamo stanchi. Sali scendi continui, un labirinto di pietre da aggirare e buche da evitare.

Chiudo la fila, seguendo gli altri e le loro evoluzioni, cercando di ripetere le loro traiettorie da esperti fuoristradisti.

Ad un certo punto viaggiando in terza su un tratto di sabbia, tenendo il motore allegro per galleggiare meglio, davanti a me appare una discesa ripida, lunga diversi metri. Chiudo istintivamente il gas e mi butto. Sotto proprio sulla mia traiettoria una pietraia. Faccio l’unica cosa sbagliata che potevo fare: cerco di sterzare a gas chiuso in discesa sulla sabbia morbida.

La moto si blocca di colpo e si impunta nella sabbia prima e sulle pietre dopo. Vengo sbalzato dalla sella e volo aventi per alcuni metri cadendo pesantemente sul fianco sinistro e picchiando il casco sul suolo.

Mi si blocca il respiro per un attimo e sento un forte dolore alla gamba ed al torace.

Cerco di alzarmi ma non riesco a fare altro che girarmi ed appoggiare la schiena a terra. Muovo la gamba sinistra per capire se è rotta: per fortuna la stendo senza problemi.

Resto immobile e riprendo il fiato sentendo solo il rumore della mia moto che poco dopo si spegne.

Il resto è silenzio.

Non mi alzo, fatico a respirare e sono li solo a guardare il cielo grigio.

Dopo attimi interminabili odo un rumore di moto che si fa sempre più vicino, poi un altro. Sono Alessandro e Leonardo che stanno venendo verso di me.

Corrono vicino a me e mentre il secondo rialza la moto, il primo mi aiuta a togliere il casco e lo zaino e mi chiede se è tutto ok. Dico di si anche se mi viene da vomitare. Mi alzo, cammino avanti e indietro. Intanto arrivano anche gli altri e Leonardo, che mi precedeva, memore dei discorsi della mattina, non appena superato quel difficile passaggio si è girato indietro per vedere se io ce l’avessi fatta. Mi dice che ha fatto appena in tempo a vedere la moto che cadeva ed ha subito capito che doveva tornare indietro ad aiutarmi.

Esaminiamo la traccia lasciata dalla moto e mi aiutano a capire dove ho sbagliato e perché sono caduto.


Ripartiamo, anche se il dolore al torace non accenna a diminuire.

Dopo un pò facciamo il campo, sempre in mezzo alle dune. Qualcuno ha ancora voglia di correre e fare salti, qualcun’altro chiacchiera guardando la propria moto per smaltire la tensione e la fatica accumulata.


Claudio è dolorante, io anche, ma come il gatto e la volpe uniamo le forze e montiamo la tenda, mangiamo davanti al fuoco e andiamo a dormire. L’Aulin mi aiuterà a sopportare il dolore.



4° GIORNO MARTEDI 1-2-2005

Freddo, colazione, smontaggio tende, stretching e vestizione. Riscaldamento dei motori e partenza: anche questa mattina il rituale è completo. Usciamo dalle dune e dopo pochi km di sabbia arriviamo sull’asfalto. La strada è in pessime condizioni, piena di buche e con grosse gobbe longitudinali provocate dal calore estivo.

Claudio non riesce a risalire in moto. La gamba ed il piede sono ancora gonfi e decide di mollare.

Raggiungiamo il primo villaggio, Al Uwaynat e troviamo un taxi che lo riporterà a Fjeji, distante 400 km da dove cercherà di rientrare a Sebha e di li in aereo a Tripoli e poi in Italia. Notifichiamo la sua partenza al posto di polizia, ci abbracciamo e lo salutiamo. Sapremo qualche giorno dopo tramite il telefono satellitare che è rientrato in Italia dove gli hanno diagnosticato una frattura al tallone.

Ripartiamo verso Ghat, percorrendo la strada asfaltata. Ci aspettano 150 km di guida noiosa, ma tutto sommato visto il dolore che ancora mi fa soffrire è meglio così.

30 km prima di Ghat gli altri decidono di lasciare l’asfalto per addentrarsi tra le dune, tagliando così il tragitto fino alla città dove faremo base nel locale campeggio.

Il panorama è bello anche visto dalla strada e mi accodo alle jeep per affrontare l’ultimo tratto che comunque diventerà sterrato dopo pochi km a causa di lavori di asfaltatura che interessano la strada principale.


Appena entrato a Ghat mi perdo con le jeep a causa della confusione. Procedo fino ad un piazzale e mi fermo. Sono solo nel cuore di questa città africana, dove la maggior parte della popolazione è di colore, essendo punto di arrivo di immigrati dal vicino Niger e dal Mali. Mi sento " leggermente " osservato..... la gente passa, mi guarda, qualcuno mi saluta. Resto lì almeno un quarto d’ora, finché uno dei due pick-up arriva dalle mie spalle suonando il clacson ed invitandomi a seguirlo.

Giungo al campeggio gestito da alcuni Tuareg. Mi accolgono con estrema gentilezza e mi fanno accomodare sotto una tettoia di paglia su comode sedie. Fa molto caldo, mi spoglio e mi massaggio il torace.

Dopo circa un ora di chiacchiere con le guide e i tuareg arrivano gli amici in moto, stravolti dalla fatica provocata dal passaggio sulle dune, ma con gli occhi colmi di soddisfazione. Mi rendo conto di aver fatto bene ad evitare quel percorso. Nelle condizioni in cui ero avrei rischiato di farmi ulteriormente male o di rovinarmi i giorni successivi.

Ci sistemiamo in alcune camere, ricavate in una costruzione lunga e stretta. Sono molto piccole, ci sta solo un materasso ma almeno evitiamo di montare le tende e possiamo farci una doccia.

Dopo pranzo prendiamo le moto e ci rechiamo nel centro della città. E’ giorno di mercato.


Giriamo tra le bancarelle improvvisate dei venditori africani di vestiti, profumi, scarpe, spezie, frutta.


Lasciamo il mercato per dirigerci verso la Medina, la città vecchia, abitata solo da alcuni Tuareg.


La sovrasta un forte costruito dagli italiani durante il periodo in cui la Libia era una nostra colonia.


Dall’alto si vedono il lontananza palmeti e oltre le dune.

Rientriamo in campeggio e dopo una doccia rigeneratrice consumiamo la cena a base di zuppa e cous cous, sotto un tendone colorato che anche Gheddafi ci avrebbe invidiato.

I miei dolori cominciano a farsi sempre più tenui e l’umore sta risalendo. Dopo cena facciamo manutenzione alle moto, pulendo i filtri dell’aria, e controllando la trasmissione ed il gioco dei cuscinetto dello sterzo. Le moto, versione 2004, sono perfette e non ci daranno mai problemi anche nei giorni successivi.


Alle 23.00 andiamo a letto, sazi, puliti, e pieni di entusiasmo: il giorno dopo entreremo nell’Akakus, la metà del nostro viaggio.



5° GIORNO MERCOLEDI 2-2-2005

Dopo la colazione ci prepariamo alla partenza. Dobbiamo fare scorte di benzina e di viveri e ritirare al locale posto di polizia i passaporti con il timbro che ci consente l’accesso all’area dell’Akakus.

Affrontiamo la solita coda dal benzinaio, mentre le guide si occupano dei rifornimenti di cibo e delle incombenze amministrative. Ci raggiungono dal benzinaio e riempiono i 4 bidoni da 200 litri ( per ognuno il costo è di 35 dinari, ovvero 21 €. Il che vuol dire che un litro di benzina costa 10 centesimi !!! ).


Sembra di essere in un distributore di benzina il giorno prima dell’inizio di uno sciopero: decine di auto in coda ( coda....insomma, meglio dire ammucchiate una vicino all’altra in ordine sparso....).


Grazie alle guide ed al poliziotto di scorta riusciamo a guadagnare posizioni e possiamo ripartire in fretta.

Lasciamo Ghat e ci dirigiamo ancora verso sud, attraversando piccoli sobborghi dove molte persone al nostro passaggio alzano la mano in segno di saluto. In un caso invece alcuni ragazzini ci accolgono tirandoci dei sassi..... tutto il mondo è paese.

Finisce l’asfalto e entriamo su di una pista sterrata nell’Akakus; dopo un posto di controllo della polizia la pista si fa sabbiosa.


Entriamo in uno uadi, il letto di un fiume prosciugato, che si sviluppa prima rettilineo tra aspre rocce calcaree e poi sempre più stretto. Il percorso comincia a salire e a farsi tortuoso: sabbia, sassi e curve non consentono la minima distrazione.


La moto avanza in seconda o terza scodando ad ogni cambio di direzione. Comincia a sentirsi un gran caldo; oggi sarà il giorno più caldo di tutti. Il cielo è blu, e l’ambiente è selvaggio.


Valichiamo un passo e davanti a noi si apre un plateau di decine di km chiuso in fondo da alte dune: siamo diretti là.


Percorso il tratto rettilineo pieghiamo a sinistra in una valle formata da un lato da dune alte centinaia di metri e dall’altro da rilievi rocciosi simili alle nostre dolomiti: ci portiamo sul versante destro e cominciamo a danzare su queste montagne di sabbia, su e giù come su una giostra.


Lo spettacolo è magnifico: voliamo da una duna all’altra seguendo traiettorie differenti, immersi nel silenzio e nel nulla. Esistiamo solo noi e le nostre moto; le jeep proseguono sul fondo valle e le vediamo piccole sotto di noi.


Arrivati in fondo alla valle un colpo al cuore: siamo sulla duna chiamata " del non ritorno ".

Ci si para davanti un abisso: almeno 300 metri di strapiombo con una pendenza superiore a 45°. Il motivo per cui è chiamata così è chiaro, da li si può provare a scendere, ma è impossibile risalire!

Siamo tutti 7 fermi a guardare il vuoto sotto di noi: uno alla volta ci lanciamo verso il basso. 2^, 3^, 4^ tirate al massimo seduti il più indietro possibile per alleggerire l’avantreno ed evitare che la ruota anteriore sprofondi nella sabbia finissima. Davanti a noi si avvicina il plateau e non ci sono ostacoli che ci spaventano. Teniamo il gas aperto e "atterriamo" la sotto.

Mi giro e vedo un muro di sabbia sopra le mie spalle, segnato dai 7 solchi lasciati dai Michelin Desert delle nostre KTM.

Sono sudato e in preda all’eccitazione. Ripartiamo e percorriamo tratti incredibilmente belli, tra rocce e dune.


In fondo ad una discesa un altro posto di controllo: siamo al confine tra Libia e Algeria. Sbaglio marcia e per poco non mi infilo con la moto nel filo di ferro posto a delimitare il passaggio. Per fortuna la KTM e una buona dose di fortuna perdonano anche le inesperienze.


Proseguiamo ancora per qualche km e ci fermiamo a mangiare: tolgo il casco e mi accorgo che il sole è fortissimo. Mi copro con una bandana e mi siedo all’ombra della jeep.

Bevo tantissimo. La temperatura supera i 30 gradi. Mi guardo intorno e sogno, tanto è bello ciò che mi circonda.

Il nostro meccanico Frodo non riesce a stare fermo: prende la moto e scala l’altissima duna che abbiamo di fronte: siamo tutti estasiati nel vederlo salire per centinaia di metri, dritto fino in cima, e nel vedere come gira la moto una volta in cima derapando per poi gettarsi verso il vuoto a tutta velocità.


Riprendiamo la marcia infilando uno uadi sabbioso da cui spuntano sassi e arbusti di piante desertiche. Il caldo è pesantissimo e viaggio in fondo alla fila. Mi si annebbia la vista nel cercare di individuare eventuali ostacoli o pericoli. Viaggio in piedi sulle pedane seguendo le tracce lasciate da chi mi precede.


La sabbia è morbidissima: maggiore è il caldo meno la sabbia resta compatta.

Arriviamo all’arco naturale di roccia, simbolo dell’ Akakus.

Passiamo sotto di esso con le moto e scaliamo le dune circostanti, come se fossimo al luna park.

Mi sento stanchissimo ed il caldo non mi aiuta a riprendermi. Bevo ancora, sperando che reidratandomi possa recuperare prima le forze: forse avrei fatto meglio ad evitare di mangiare pane e salame a pranzo!.


Ripartiamo e ci fermiamo poco dopo a guardare le incisioni rupestri ad epoche lontane in cui la zona non era desertica ma abitata da cacciatori e animali della savana: vi sono raffigurati uomini e animali quali emù, cammelli, bufali......

Ancora più avanti troviamo incredibilmente un pozzo: l’acqua è freschissima e mi lavo la faccia e la testa trovare refrigerio. Vorrei fermarmi lì, non riesco più a tenere gli occhi aperti dalla stanchezza. Anche gli altri sono cotti. Riposiamo mezzora all’ombra della cisterna e ripartiamo.

Davanti a noi un paesaggio lunare. Dalla sabbia spuntano torri rocciose che si perdono fino all’orizzonte.


dobbiamo proseguire. Mancano ancora decine di km al luogo dove le guide vogliono fermarsi.

Lentamente le rocce lasciano il posto alla sabbia ed entriamo nella zona di Uan Kasa, un plateau contornato da dune, che con il tramonto del sole divengono arancione.

Il posto ha un fascino particolare e mi fermo a contemplare il panorama mentre gli altri giocano sulle dune con le moto.


Dopo un pò ci infiliamo tra le dune e ci fermiamo. Montiamo le tende e guardiamo il sole che cala dietro la sabbia.


Le guide accendono il fuoco e preparano la cena: pasta e pollo fritto.


Al buio sorseggiamo il te verde preparato con la ormai conosciuta abilità, attraverso un lungo passaggio dalla teiera ai bicchieri e viceversa, che ha lo scopo di ossigenare la bevanda e far sciogliere lo zucchero.


Saliamo al buoi completo in cima ad una duna. Ci sediamo sulla cresta e guardiamo le stelle. Non si sente nulla. Il silenzio fa girare la testa ma lo spettacolo delle stelle che riempiono il cielo è qualcosa di indimenticabile.


Ci ritiriamo in tenda, stanchissimi, con il cuore pieno di soddisfazione e di gioia.



6° GIORNO GIOVEDI 3-2-2005

La luce del mattino è bellissima: disegna giochi di ombre sulle enormi dune di fronte a noi.


Rimontiamo in sella e proseguiamo nell’attraversamento dello Uan Kasa. Oggi è freddo, c’è un forte vento spazza il plateau su cui viaggiamo.

Scavalchiamo un passo correndo sempre sul fondo sabbioso:ci fermiamo a guardare il panorama che si apre sotto di noi.


La stanchezza del giorno prima è passata: dormiamo in genere almeno 10 ore per notte e questo serve a farci riprendere le forze per ricominciare ogni mattina con le stesse energie del primo giorno.

Da qui in poi ci ricongiungiamo una parte del percorso già compiuto lunedì scorso, riattraversando i plateau di sabbia morbida, la massacrante pista pietrosa e riportandoci infine sul plateau che costeggia le dune del Murzuq.

Qui decidiamo di addentrarci tra dune e facciamo bene. Frodo, il meccanico guida, dice che ci porterà a vedere la neve...!!! Non riusciamo a capire la cosa ma lo seguiamo fiduciosi, vista la grande esperienza che ha mostrato di avere mostrandoci quei luoghi maestosi.

Guidiamo sulle dune, con sabbia abbastanza compatta; l’unico problema è che il cielo si è velato e senza la luce del sole facciamo fatica a vedere il fondo su cui guidiamo. Il colore della sabbia sembra uniforme e non riusciamo a distinguere le differenti tonalità che indicano eventuali ostacoli o la differente consistenza della sabbia.


Dopo qualche decina di km arriviamo nel luogo magico.


Non è neve.....ma gesso! Siamo sopra a dei blocchi di gesso naturale che emergono dalla sabbia. In più scavando di poche dita vediamo la sabbia colorarsi di giallo, di viola, di bianco..... è un fenomeno particolarissimo che non riusciamo a spiegarci.

Cominciamo a sentire freddo e ripartiamo.

Guidiamo di nuovo sul plateau veloci e in libertà.

Le guide decidono di fare il campo lontano dalle dune, perché la in mezzo ci sarebbe troppo vento e sarebbe troppo freddo. Ci fermiamo quindi tra alberi di acacia che spuntano da cumuli di sabbia alti un metro.

Anche questa sera ripeteremo i soliti riti, fuoco, cibo, te verde, parlando con le guide del costo dei beni di consumo in Italia ed in Libia, di Berlusconi, di Gheddafi,della Palestina, di Arafat, dell’Iraq e dei soldati italiani morti in una guerra che, voluta solo da qualcuno per ragioni economiche, non impedisce ad arabi ed europei di parlare intorno ad un fuoco nella solitudine del deserto.



7° GIORNO VENERDI 4-2-2005

Ci muoviamo con calma: abbiamo da fare circa 100 km di plateau prima di arrivare alla base di Fjeji, dove dovremo cambiare la catena alla moto di Giorgio che ha la falsa maglia che sta cedendo, e da cui ripartiremo dopo pranzo per arrivare alla zona dei laghi.

Appena partiti vediamo all’orizzonte delle macchie scure in mezzo al giallo della sabbia: ci avviciniamo incuriositi finchè non distinguiamo dei campi coltivati!!

Sono decine di cerchi coltivati a cereali e verdura, con impianti di irrigazione a pioggia simili a quelli che usiamo dalle nostre parti.

Facciamo un pò di giri intorno a queste meraviglie dell’agronomia finché non arriviamo a delle costruzioni e a dei silos dove immaginiamo vengano stoccati i prodotti agricoli.


Il sottosuolo della Libia è ricco di acqua, tant’è che ci raccontano le guide essere in corso grandi opere statali per portare l’acqua dal deserto alla costa attraverso condutture enormi, per soddisfare così il fabbisogno delle zone più densamente abitate.


Lasciamo questa "fattoria" attraversando una specie di cancello, a fianco del quale però non vi è alcuna recinzione ( avete presente la pubblicità della FAAC con la Ferrari che corre nel deserto e passa attraverso un cancello...? ) e seguiamo una linea elettrica guidando su un fondo di sabbia dura e piena di avallamenti.

Il vento è molto forte e viaggiamo con le moto inclinate di lato. Il cielo è grigio.

Raggiungiamo delle baracche da cui esce qualche bambino che ammira il nostro passaggio.

Dopo poco siamo sulla strada asfaltata, dove ci fermiamo per la usuale sigaretta. Si accosta un pick up con a bordo un militare e il suo autista. Scende, parla con le guide e con il nostro poliziotto; sembra un pezzo grosso, a giudicare dall’inchino che questo gli fa salutandolo. Ci invita ad andare a casa sua per fare delle foto nel suo "giardino", ma gli diciamo che i nostri tempi sono ristretti e non possiamo accettare. Arriva un’altra macchina da cui scendono altre persone, un pò in divisa e un pò in borghese: ci chiedono se possono fotografarci e quindi scattano un sacco di foto vicino a noi ed alle KTM: forse ci hanno scambiato per i reduci della Dakar.....


Ripartiamo dopo calorosi saluti e percorriamo qualche decina di km su un asfalto pessimo: le auto dei militari ci superano a gran velocità; poco più avanti le vediamo ferme a lato della strada. Gli uomini sono saliti su una roccia e fotografano il nostro passaggio.

Poco oltre ad un incrocio c’è un posto di controllo: rallentiamo, ma il militare di guardia fa segno di passare e ci invita con un gesto ad impennare: come non accontentarlo.....


Raggiungiamo la base e mangiamo cous cous al pollo. Max decide di lasciare la moto e salire sulla jeep per godersi il paesaggio.

Effettuiamo la manutenzione e imbocchiamo una pista che ci porta diritti verso dune altissime.

Dobbiamo scavalcarle per entrare nell’ultimo paradiso che visiteremo in questo viaggio: la zona dei laghi e delle oasi.


Salite ripide, discese impegnative, con "varianti" da affrontare derapando su sabbia fine e poco compatta, dove la ruota anteriore cerca sempre di affondare se non si tiene il gas aperto. Il vento alza la sabbia che finisce anche negli occhi, facendoli bruciare.


E poi dune più morbide e regolari, attraversate da numerosi solchi lasciati dalle jeep che ci hanno preceduto.

Il panorama è stupendo: palme, acacie, dune che ai lati si fanno sempre più alte. E’ un peccato doversi concentrare nella guida e non poter assaporare il paesaggio circostante.

Guidiamo per un ‘ora e mezza in questo paradiso. Alla fine del tragitto, mentre sono sto guidando in piedi vedo oltre le dune il tetto di una jeep che procede nel senso opposto al mio.

Proseguo per altre due dune e ad un tratto rivedo la jeep proprio davanti a me che sta risalendo la duna dal lato opposto a quello su cui mi sto arrampicando: scarto l’ostacolo buttando la moto a sinistra e dando tutto il gas: vedo le facce degli occupanti della jeep assumere un’espressione tra lo stupefatto e il terrorizzato.

La moto derapa sulla sabbia, e dopo aver evitato l’impatto mi ributto a destra ed inizio la discesa: sarebbe stato il massimo fare un frontale in mezzo al deserto! La fortuna ha voluto che stessi guidando in piedi e quindi avessi una maggior visuale....


Arriviamo al lago di Gabraoun: una duna altissima lo sovrasta. Decine e decine di palme lo contornano. In fondo un villaggio abbandonato. C’è anche un piccolo campeggio-bar-negozio sulla sponda, dove un gentilissimo tuareg ci invita ad accomodarci. Facciamo rifornimento alle moto travasando come al solito la benzina dai bidoni riposti nel cassone del pick up: Mohamed non si accorge che il mio serbatoio è pieno e la benzina fuoriesce bagnando tutta la moto ma soprattutto le parti intime del sottoscritto che era seduto sulla sella: non avete idea dell’effetto"ustione " che provoca la benzina a contatto con una zona così delicata!


Ci riposiamo per mezz’ora e ripartiamo per il lago successivo, quello di Mafhou: più piccolo ma ancora più bello: dal villaggio sottostante accorrono dei tuareg che ci propongono di acquistare delle stupende spade fatte a mano e decorate da intarsi di argento e altri oggetti anch’essi creati da loro. Si avviano le classiche trattative "all’africana" partendo da richieste esorbitanti per chiudersi con cifre ragionevoli.


Decidiamo di fermarci a dormire nel loro villaggio: ci sono dei tucul e potremo evitare di montare le tende.

Scendiamo verso di esso ed entriamo nel recinto di canne che racchiude al suo interno queste capanne ed una tettoia oltre che un paio di costruzioni di mattoni.

Ognuno sceglie la sua "camera" per la notte.


I tuareg e le nostre guide preparano il the e la cena a base di pasta condita con saporite spezie e pollo arrostito. Ci sediamo intorno a due fuochi e aspettiamo che arrivi il buio parlando tra noi. I tuareg ci guardano e ascoltano le nostre parole senza capire il senso dei nostri discorsi. Ogni tanto qualche scambio di battute in francese anche con loro.

Siamo un bel gruppo:in tutto il viaggio non c’è mai stata una discussione e nessuno ha mai voluto prevalere sugli altri o fare il capo. Siamo andati li solo per godere delle bellezze del deserto, ci siamo rispettati, aiutati, capiti nelle nostre differenze. Anche questo aspetto è stato importante per determinare il successo del viaggio.

Finito di bere l’ennesimo the ci ritiriamo nei tucul e ci addormentiamo subito.


8° GIORNO SABATO 5-2-2005

Ci svegliamo per l’ultima volta nel deserto. Prepariamo le nostre cose, salutiamo i nostri ospiti che vogliono farsi fotografare sulle moto: li accontentiamo e ne sono felicissimi...


Decido di lasciare la mia moto a Max e di rientrare a Fjeji con la jeep: voglio godermi per l’ultima volta gli scorci panoramici che durante l’impegnativa guida non sono riuscito a godere.

L’ultima foto su di essa mi fa venire in mente i momenti passati sulla sua sella negli ultimi giorni, la fatica profusa nel guidarla sulle piste più difficili, il rombo del suo motore, le cose che mi ha permesso di vedere e le sensazioni che mi ha fatto provare.

Senza di lei non avrei potuto godere nello stesso modo di questa fantastica esperienza. Accarezzo il serbatoio affettuosamente e la saluto.


Sulla strada del ritorno troviamo un altro lago, quello di Mandara. E’ un gioiello naturale dall’acqua salatissima, dove, se non avesse fatto troppo freddo, sarebbe stato opportuno fare un bel bagno.


Contemplo il paesaggio dal finestrino della jeep di Mohamed: è qualcosa che entra diritto nel cuore e sono certo non ne uscirà più.

Vedo gli amici in moto che danzano sulle dune e riesco ad immaginarmi al loro posto ora come nei giorni passati. Esco dal mio corpo e vago nell’immensità di quella natura così imponente, aspra, terribile, ma al tempo stesso affascinante.


Dopo un paio di ore arriviamo di nuovo a Fjeji e terminiamo così la nostra avventura. Sono arrivati all’albergo dei tedeschi con 3 camion 4x4 attrezzatissimi che dovranno ripartire domani verso sud. Scambiamo qualche battuta con loro e poi pranziamo con le ultime scorte avanzate.


Una doccia, un pò di riposo e attendiamo, seduti al sole ascoltando musica araba e vecchie canzoni dei Pink Floyd, che arrivi il pulmino che ci riporterà in serata a Sebha dove prenderemo l’aereo per Tripoli.

Salutiamo calorosamente le tre guide con cui abbiamo condiviso l’ultima settimana di avventure e le ringraziamo. Mi dispiace lasciare persone così semplici e generose sapendo che difficilmente le potrò rivedere.


In aeroporto incrociamo il gruppo di motociclisti che partirà domani con le "nostre" moto. Ci salutiamo mentre scendono dall’aereo e gli auguriamo buona fortuna.


Alle 23.00 arriviamo a Tripoli dove ci raccoglie un altro pulmino che ci porterà in albergo, non prima di essersi fermato in un ristorante per una meritata cena a base di kebab e salse spalmate sul pane azzimo. Spendiamo 12 dinari a testa ( 7 euro ).


Arriviamo in albergo e prendiamo possesso delle camere. Mi mancava un buon letto dove riposare.



9° GIORNO DOMENICA 6-2-2005

Mi sveglio con la voce del muezzin che prega dal vicino minareto.

Decidiamo di visitare il centro della città ed usciamo dall’albergo. Ci avviamo a piedi, attraversando strade piene di traffico e di puzza di scarichi, che contrasta con la purezza dell’aria respirata sino al giorno prima nel deserto.

Il centro appare un dedalo di piccole vie su cui si affacciano botteghe di commercianti ed artigiani. In giro tanta sporcizia, le facciate delle case sono in rovina, a tratti si immagina la bellezza di certi angoli decine e decine di anni fa, quando il tempo non aveva ancora rovinato tutto.


Dopo un paio di ore ritorniamo in albergo, non prima di aver sorseggiato in un bar un caffè aromatizzato alla cannella.


Di qui giungiamo in aeroporto dove, dopo aver mangiato al ristorante, serviti da splendide ragazze dalla pelle scura e dagli occhi profondi, alle 15.30 ci imbarchiamo sul volo Alitalia per Roma. A Fiumicino, dopo i controlli di frontiera ci salutiamo abbracciandoci, proseguendo ognuno per la propria città con voli nazionali.


Arrivo a Milano alle 19.30. Sollevo il bagaglio dal nastro trasportatore e con questo gesto finisce il mio viaggio ed inizia la nostalgia.....


Arrivederci Sahara!

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