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Giovedì, 14 Gennaio 2016

Le donne di Zanzibar

In viaggio alleggerisco le mie spalle 

ARTICOLO DI

Nabig

Dall’aereo, dopo una nottata di sonno tormentato tra un sedile e l’altro,vedo la terra rossa dell’Africa, sono arrivata. Il portellone si apre per farci scendere, le palme toccano il cielo a pochi passi da me, l’aria è calda. Ai lati dell’unica pista di atterraggio, lungo i sentieri le donne avanzano lente come in un quadro, i loro vestiti colorano l'orizzonte come i loro sorrisi. Gli occhi raccontanto storie lontane nel tempo, sul capo portano brocche di acqua mentre intonano il loro canto. I bambini curiosi cercano il contatto con i turisti, sorridono sempre, ci corrono incontro curiosi, ci osservano, si aspettanto qualcosa da noi. Il pulmino va verso il mare, sobbalza tra le buche dell’unica strada asfaltata esistente, l’aria entra dal finestrino aperto, lascio andare lo sguardo. Ascolto,  l’isola inizia a sussurrarmi parole dai suoni sconosciuti come una canzone che non sentivo da tanto tempo . Lungo la strada da nord a sud collegata alla capitale, la natura si fa largo, gli animali spostano le foglie enormi dei banani, le palme ondeggiano al vento, si avverte la loro presenza nascosti in un pugno di verde. Al nostro passaggio davanti alle piccole abitazioni i bambini ci salutano con la mano, sedute sulla terra rossa avvolte nei copricapo coloratissimi le donne di Zanzibar preparano il pasto, mi guardano con un sorriso.  Nel centro della città si trova il monumento dedicato alla liberazione degli schiavi, alcune statue con le catene al collo, la guida ci racconta la storia, la sofferenza subita prima della libertà, percepisco  nella sua voce  incrinata un dolore difficile da dimenticare. Il tempo qui ha uno scorrere diverso dal nostro, ogni attimo rallenta il battito, akuna matata fino a sera. Su una piccola barca di legno in mezzo all’oceano Indiano sotto un  improvviso acquazzone ho visto un uomo abbassare il capo sulle  braccia raccolte intorno alle gambe, in segno di resa all’inevitabile volontà della natura , inzuppato d’acqua aspettava di potersi asciugare sotto il sole che sarebbe arrivato.  La nostra barca ci porta su di un atollo di sabbia bianca, con l’alta marea sparisce senza quasi lasciare traccia, sotto la superficie dell'acqua sfumature più intense,nuoto tra i pesci mentre i raggi del sole diventano iridescenti. Resto sospesa tra loro con l’intenzione di mimetizzarmi per non intaccare questo angolo di pace  tra coralli, anemoni e tutto quello che la natura mi sta offrendo.  All’ora di pranzo i pescatori ci cucinano le aragoste e altro ottimo pesce sulla sabbia, gusto lentamente i piatti. Osservo i pescatori, mangiano seduti in disparte davanti al fuoco ormai spento, vorrei condividere questo momento insieme a loro ma qualcuno mi dice che non è possibile. La guida  mi confida di voler trovare una vita migliore, il suo lavoro nel villaggio turistico gli permette di ricevere un buon compenso  rispetto agli altri abitanti dell'isola. Si augura un giorno di riuscire ad avere il denaro necessario per  permettersi un volo aereo verso il nostro paese. Io lo ascolto sotto il caldo del sole di dicembre guardo il mare verde smeraldo davanti a me, la  sabbia bianchissima sotto i miei piedi, le donne di Zanzibar silenziose portano fasci di legna per il fuoco,  ognuno con il suo sogno,  io sto già rimpiangendo di dover lasciare l’isola, lui non vede l’ora di farlo.

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