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Mercoledì, 23 Febbraio 2011

Kibbutz Baram, Israele

Israele sembra così piccolo, eppure quando ne studi la storia ed i luoghi ti perdi nella sua vastità. Oltre a diversi amici che hanno viaggiato in Israele, sentiamo Haim Baharier, maestro di Talmud ed esegeta biblico a Milano, che ci indirizza alla sua amica Angela, residente a Gerusalemme…

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Vagabondo0

Era molto tempo che io e mia moglie pensavamo ad un viaggio in Israele. Dopo esserci informati di qua e di là, abbiamo scartato l’idea di un tour organizzato. Israele è luogo dello spirito più di qualsiasi altro posto al mondo, non puoi vivere una cosa del genere intruppato in una comitiva. No, meglio girare il paese io e Carla da soli con un’auto a nolo. Fissato il periodo, la seconda metà di ottobre, mi metto a studiare il percorso. Israele sembra così piccolo, eppure quando ne studi la storia ed i luoghi ti perdi nella sua vastità. Oltre a diversi amici che hanno viaggiato in Israele, sentiamo Haim Baharier, maestro di Talmud ed esegeta biblico a Milano, che ci indirizza alla sua amica Angela, residente a Gerusalemme, che si rivelerà una fonte inesauribile di informazioni e suggerimenti. Oltre alle cose da vedere, le chiedo al telefono, puoi farci anche incontrare qualcuno con cui poter discutere delle cose di Israele, qualcuno che ci aiuti a capire? E’ attraverso Angela che ci mettiamo quindi in contatto con Ruth Garribba, presso il Kibbutz Baram, al confine tra la Galilea e il Libano.



* * * * *

Ruth è una giovane ebrea sulla quarantina, arrivata in Israele subito dopo la laurea a Roma all’inizio degli anni 90. Ruth militava nel partito comunista italiano, quando la caduta del muro e dell’Unione Sovietica, nonchè la trasformazione del PCI nel PDS avevano rimesso drammaticamente in discussione i punti di riferimento. Il Kibbutz Baram li rimpiazzò. Il kibbutz era famoso presso la comunità ebraica come un luogo molto speciale per chi crede nel socialismo. Fu così che Ruth, con scarse speranze sull’Italia, scelse Baram come destinazione della sua vita.

Ci sentiamo per telefono e posta elettronica: Ruth è felice di riceverci, ci farà visitare il kibbutz e potremo trattenerci a pranzo con lei. Arriviamo da Akko la mattina del 17 ottobre, attraverso le dolci e verdeggianti colline della Galilea. Per raggiungere il kibbutz bisogna lasciare la strada principale ed inoltrarsi su un viottolo di campagna che sembra puntare direttamente verso il vicino Libano. Arriviamo ad una grande cancellata con guardiola, Baram ci si apre davanti con file di case basse e ordinate sommerse da pini, palme e cespugli fioriti.

Ruth ci accoglie con un abbraccio come una vecchia amica, visitiamo la scuola elementare dove lei insegna (i bambini in questo momento sono impegnati altrove in attività all’aperto), poi ci conduce in giro. Il kibbutz nacque nel 1949 come una colonia agricola per lo sfruttamento di un territorio che 13 secoli di latifondismo arabo/ottomano avevano totalmente disboscato e ridotto ad una brulla steppa. La vegetazione è oggi incredibilmente rigogliosa grazie all’ingegnoso sistema di irrigazione goccia a goccia che fu inventato proprio dagli israeliani in quegli anni. Il terreno è un intrico di tubicini di gomma che vanno su ogni singola pianta, e l’innaffiamento notturno consente di non sprecare neppure una goccia delle preziosa acqua. Dall’alto del colle guardiamo le prospicienti colline del Libano a poco più di un chilometro di distanza. C’è una clamorosa demarcazione, il territorio libanese è totalmente brullo. Queste cose le avevamo già sentite, ma altra cosa è vederle.

Nel kibbutz vivono circa 500 persone, oltre a diversi volontari, tipicamente studenti (non solo ebrei) che arrivano qui numerosi da tutto il mondo. Le attività su cui si regge la comunità sono l’agricoltura (mele, kiwi, arance, limoni etc) e la produzione di dispositivi biomedicali, con due fabbriche che assorbono tutta la manodopera interna più un certo numero di salariati esterni. Mentre gli esterni sono salariati, i residenti di Baram non prendono un centesimo. Il salario a Baram è sinonimo di sfruttamento. Ma come funziona, chiediamo, l’economia del kibbutz?. Anzitutto non circola moneta. Non esiste proprietà e tutti i servizi sono gratuiti. Le case sono assegnate in base all’anzianità. C’è una magnifica mensa interna dove mangiano tutti. Noi vogliamo pagare il nostro pranzo, ma non è materialmente possibile. Scuola, sanità, divertimenti, tutto viene fornito dal kibbutz. Se uno deve farsi un intervento in un ospedale esterno, paga il kibbutz. Se un ragazzo deve frequentare l’università, paga il kibbutz. C’è un parco di automobili, utilitarie, familiari, jeep, pick up, a disposizione di tutti. Tu vai e prendi la vettura che ti serve. La manutenzione delle auto (e di qualsiasi altra cosa) è centralizzata. Naturalmente c’è una grande lavanderia dove tutti portano la biancheria a lavare e stirare. Un’amministrazione centrale prende nota di tutto, ciascuno ha una matricola, una tessera magnetica che alimenta un sistema informativo centrale. Fino ad una ventina d’anni fa, persino i bambini venivano separati dai genitori e vivevano tutti insieme, trascorrendo in famiglia solo la festa settimanale dello shabbat. Poi qualche bambino ha avuto problemi, ed i bimbi sono tornati a dormire in casa con i genitori.

Per riassumere, ci sono da un lato gli introiti di vendita della frutta e dei dispositivi biomedicali, dall’altro le spese per il sostentamento ed i servizi della comunità. Poichè il tutto è gestito oculatamente, normalmente avanza un utile, che viene ripartito in parti rigorosamente uguali tra tutti i residenti di Baram. Il direttore della fabbrica prende gli stessi soldi di chi lava la biancheria. Questi soldi, che possono essere spesi solo all’esterno, servono tipicamente per finanziare viaggi, gli studi universitari dei figli (se la comunità non è disponibile a farlo) e così via.


Naturalmente occorre prendere numerose decisioni: spese per investimenti, scelta delle scuole superiori per i ragazzi, lancio di nuove attività, iniziative commerciali etc. Tutti i residenti di Baram di età superiore a 18 anni si riuniscono ogni 15 giorni nella mensa e decidono per alzata di mano.

E’ un sistema di vita dove l’individuo non deve avere preoccupazioni materiali, molto tempo avanza per lo studio e per attività culturali. Mentre noi ce ne andiamo a zonzo con Ruth, suo marito che è laureato è nei campi a raccogliere le mele.

Abbiamo quindi trovato l’Eden, il mondo perfetto? chiedo a Ruth. Solo in teoria, in pratica non mancano tensioni e contrasti. Anzitutto, siccome il sistema non premia rispetto al merito, chi si dà da fare, chi ha i numeri, si sente frustrato rispetto ai fannulloni che inevitabilmente ci sono anche a Baram ed hanno stessi benefici e diritti, talvolta anzi superiori in funzione dell’anzianità di permanenza nel kibbutz. Alcune decisioni sono fortemente conflittuali, ad esempio quando si tratta di decidere quali sono i ragazzi da mandare, a spese della comunità, nelle migliori università. E poi c’è un problema di fondo: il progressivo invecchiamento della popolazione. Il socialismo perfetto di Baram si coniuga male con la competizione capitalistica del mondo esterno. I ragazzi più brillanti mordono il freno, spesso vanno via per cogliere opportunità che il kibbutz non riesce ad offrire. Viceversa gli anziani, le persone che non hanno alternative nel mondo esterno, tendono a rimanere. Baram si trasforma progressivamente in un organismo assistenzialistico e la sua popolazione invecchia, tuttavia il processo è molto lento perchè le motivazioni ideologiche restano forti ed i membri della comunità lottano per mantenerla prospera e vitale. Il vento della politica in Israele soffia a destra, ma qui il socialismo resiste.

E la vicinanza con il Libano? Cos’è successo durante le guerre che ci sono state? Nel kibbutz ci sono molti rifugi, la gente è addestrata a correre al riparo in 10 secondi dalla sirena d’allarme. Ma nell’82 e nel recente conflitto del 2006 proiettili di artiglieria e missili passavano sulle teste dei residenti con tale frequenza che il kibbutz è stata sgomberato finchè il peggio è passato.



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É giunto il momento di lasciarci. Nell’accomiatarci le chiedo come vede le opportunità di pace con i palestinesi. Ruth è per la politica della mano tesa verso gli arabi, per lo sgombero degli insediamenti e la restituzione di tutti i territori occupati nel 1967. Ammette che gli stessi arabi israeliani sono sfavoriti rispetto agli ebrei. Anche su Gerusalemme si dovrebbe negoziare per permettere agli arabi di recuperare i loro luoghi sacri. Ma è molto pessimista che si possa arrivare ad un accordo. Mancano i grandi uomini da una parte e dall’altra. Con Obama, forse, chissà...


Oscar Marcheggiani


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