Articolo
racconto icon
Mercoledì, 28 Ottobre 2015

Juley, juley

Ladakh, il piccolo Tibet

ARTICOLO DI

dyante

Juley, ciao!
Juley, buongiorno!
Juley, buonasera!
Juley, buonanotte!
Juley, come stai?
Juley, tutto bene!
Juley, grazie!
Juley, prego!


Ecco la formula magica per vivere il Ladakh: juley!


Ogni Juley che si pronuncia è un sorriso assicurato.

Non esiste parola più importante in Ladakh che Juley; si ripete come un mantra e si giungono le mani all'altezza del cuore tutte le volte che si pronuncia. Se non si dice Juley almeno una volta al giorno non si è realizzati. Juley è un augurio di buon auspicio. Augurare fortuna e benessere a tutti è una pratica diffusa nei paesi buddhisti; è un modo per accumulare karma positivo e assicurarsi una buona rinascita nella vita futura. Ma non è proprio così facile rinascere in uno dei mondi superiori, perché - nel buddhismo e per il popolo Ladakhi in particolare - la cosa che più conta è l'intenzione; la motivazione che spinge a realizzare un'azione, che sia essa positiva o negativa.
Si racconta infatti che un giorno un povero contadino del Ladakh viveva nella povertà più assoluta. La sua famiglia moriva di fame e viveva in una capanna tutta rotta. Come tutti i buddhisti sentiva il forte desiderio di andare in pellegrinaggio fino a Lhasa, capitale del Tibet, per rendere omaggio alla famosa statua del Buddha, conosciuta come Jo Wo Je e conservata al Jo Khang, il tempio principale della città. Purtroppo però non riuscì mai a raggiungere il luogo desiderato per via delle scarpe malconce e della difficoltà di percorrere le strade e i sentieri innevati.

Scalate diverse alture, arrivò sino al monastero arroccato di Lamayuru, dove c'è una riproduzione di quella preziosa statua e lì si fermò. Il pover’uomo entrò con devozione nel tempio del monastero, si chinò di fronte al Buddha e a tutti i sui accoliti e fece le sue prostrazioni.


Tutti i fedeli portavano al Buddha le offerte di cibo, incenso, fiori, candele, acqua e denaro, ma il povero contadino non possedeva nulla e non era in grado di fare offerte al Buddha, se non ciò che era rimasto delle sue scarpe.
Fatte le sue preghiere e la sua misera offerta il contadino disse rivolgendosi al Buddha: ‘Jo Wo Je non ho altro che le mie scarpe da offrirti, ma se verrai a trovarmi al mio villaggio potrò dissetarti con dell'acqua e donare a te il mio raccolto'.
Dette queste parole si incamminò verso il suo villaggio e, dopo giorni di difficile cammino, tra deserto e pietraie, tornò dalla famiglia nella sua capanna a piedi completamente scalzi.
I piedi – per non parlare delle scarpe – sono considerati la parte più impura del corpo, pensate che anche quando ci si siede non si puntano mai i piedi verso qualcuno. Questo gesto è una mancanza di riguardo che non ha eguali. Per non parlare poi dei libri, mai posarli a terra a un livello inferiore rispetto a dove si è seduti, metterli all'altezza dei piedi o calpestarli, il libro è sacro...qualsiasi libro!
Quando i monaci di Lamayuru e i fedeli si accorsero delle scarpe offerte e posate sull'altare della statua del Buddha si allarmarono e si apprestarono a eliminarle per purificare il luogo sconsacrato. 'Quel vecchiaccio irrispettoso', dissero tutti in coro. Proprio in quel momento la statua si animò e disse: ‘Non toccate quelle scarpe è l'offerta più preziosa che io abbia mai ricevuto. Dovreste tutti prendere esempio da quel povero contadino che ha dimostrato il vero e puro amore incondizionato’. I presenti rimasero esterrefatti e, con il capo chino, si prostrarono tornando al loro posto. Il pover’uomo, intanto, tornato al suo villaggio, andò alla ricerca di acqua e di cibo da offrire al Buddha; così come aveva promesso. Finalmente l'estate era alle porte e gli albicocchi pronti a produrre frutti. In attesa dell'arrivo del Buddha, il vecchio si fermò sulla riva di un ruscello vicino la sua casa, preparò le offerte e si mise a meditare. Dopo poco tempo il Buddha apparve sospeso nell'aria, su un trono di loto, proprio di fronte al pover’uomo. Egli lo aspettava con ansia e alla vista del miracolo non si scompose, salutò e ringraziò, chinando il capo in segno di rispetto: 'juley!' Disse con devozione.
Proprio in quel momento le sue offerte al Buddha si trasformarono in oro e pietre preziose e il pover’uomo e la sua famiglia non soffrirono mai più la fame e la sete.
Ancora oggi i monaci di Lamayuru e i devoti ricordano questa storia e la tramandano di generazione in generazione e, oggi, anche ai curiosi visitatori. Con piacere abbiamo ascoltato anche noi questa storia.
Un cerchio di arcobaleno intorno al sole, in quel cielo blu, con le nuvole disegnate, preannunciava che la visita a Lamayuru sarebbe stata difficile da dimenticare.

 

 

 

 

Viaggia con noi

Iscriviti gratuitamente. Conosci i tuoi compagni di viaggio prima della partenza.

Viaggia con noi in tutto il mondo.