RACCONTO
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Domenica, 24 Agosto 2014

Il gattino di Istanbul

Ci sono due cose ad Istanbul che entrano dappertutto: gli odori ed i gatti. 

ARTICOLO DI

trillante

Ci sono due cose ad Istanbul che entrano dappertutto: gli odori ed i gatti.

I gatti come i fantasmi, non hanno bisogno di chiedere permesso, loro ci sono e basta, non vedono porte o finestre e nessuno se ne preoccupa. Sono una miriade... nei sobborghi e nei luoghi turistici, sono sotto i ponti e vicino ai cassonetti della spazzatura, ovunque come i piccioni a Venezia, da Beyoğlu a Sultanhamet, dormono nelle panche della stazione e persino dentro Aya Sofia. Attori silenziosi nel chiacchiericcio frenetico della città, si spostano indisturbati con destrezza tale che se ne incontri uno da vicino e lo guardi negli occhi ti sembra che sappia tutto.
Il “momento del viaggio” é stato quando camminando senza esatta cognizione dello spazio e del tempo, in cima ad una scalinata lunghissima e ripida, é giunto alle mie orecchie il suono più incredibile e struggente che possa carezzare i timpani di un visitante nella notte di Istanbul: il canto dei muezzin. Lontano da tutto... c’eravamo solamente noi, panni tesi sulle nostre teste, un gatto e lei: Istanbul. È stato come guardarla vivere da fuori e da dentro allo stesso tempo, sentirla cantare in quel modo é stato come sentirla respirare da lontano eppure eravamo lì, quasi dentro la sua voce, dentro la il suo respiro: noi e il gattino di Istanbul.

Gli odori la fanno da padroni, si diffondono in ogni angolo della città, onnipresenti, permeano l’aria dei luoghi aperti come di quelli chiusi in una maniera accecante. Certo, ogni cittá ha i suoi odori, più o meno gradevoli, più o meno forti, ma quelli di Istanbul sono arroganti: ti prendono a schiaffi e ti costringono a guardarti intorno.  Ci sono odori prevedibili, quasi attesi, come l’odore delle spezie che esce dai bazar, l’aroma delle infinite varietà di tè che i venditori per strada espongono dentro sacchetti di carta e quello più delicato del chai, che può sorprendderti in ogni angolo della città ed in ogni momento. Ma ci sono anche odori inaspettati come quello delle castagne arrostite, che nelle nostre associazioni di idee si trovano nello stesso comparto del vin brulè, del fuoco, del freddo, della voglia di casa e di un abbraccio, non immaginiamo certo l’odore delle caldarroste pensando alle porte dell’oriente, a moschee e minareti, tanto che quando ti entra nel naso per la prima volta ti prende in contropiede, più dell’odore aspro e pungente di urina che esce dai bagni pubblici quando ti avvicini alla tazza e chiudi la porta. A Istanbul gli odori ti prendono per mano e guidano il tuo sguardo, ti costringono a cercarne la fonte, ad esempio una vampata di caffé macinato fresco che spicca in mezzo a scie di curry e cumino, poi fai due passi in avanti e sparisce, tornano a saturare lo spazio olfattivo la curcuma e l’anice, cardamomo e indefinite note piccanti, finché un odore di plastica e di petrolio rompe l’incanto del mercato d’oriente e del bazar da fotografia: sulla tua destra c’é un discount che vende un po’ di tutto, principalmente roba cinese, allora smetti di sentirti come Amelie Poulaine che affonda le dita nelle lenticchie. Il quartiere di Balat ti spalanca le braccia con un incredibile odore di sterco di vacca, qualcosa di disumano per essere all’interno di una città, e vicoli stretti. Era solo un saluto, poi passa. Lascia posto all’odore di legno marcio e orina che esce dai portoni delle case o dalle finestre a filo della strada, probabilmete si aprono sulle cantine o sulle scale, perché quando ci si passa di fronte mandano freddo alle gambe. Qui c’é la nostra casa, che ha un odore che non riescirò a descrivere, perché unico. Non é profumo, ma quasi subito diventa familiare. È un misto fra l’odore delle decine e decine di paia di scarpe che sono depositate nell’ingresso del piano inferiore, quello di pulito delle lenzuola che Roya ha preparato per noi, quello del suo profumo, quello dei mobili vecchi con cui é arredata la casa e quello del cibo preparato in cucina. Alcuni vicoli puzzano di spazzatura, ma poi qualcuno stende il bucato ed il profumo inonda tutta la strada. Passeggiando per Fatih, a fine serata, l’ortolano ripone la merce e lascia sul ciottolato l’odore delle verdure e della frutta caduta a terra durante la gionata, più avanti qualcuno passa lo straccio prima di chiudere il locale e dalla porta aperta si sente l’odore di ammoniaca, che però non fa in tempo a pungere in fondo alla gola che già qualcuno esce dalla porta e lancia per terra un secchio pieno d’acqua e sapone, che scorre veloce sui ciottoli e profuma di lavanda. La metro ed i trasporti pubblici più moderni odorano di libro nuovo, gli autobus invece odorano di ascensore vecchio, se piove hanno un sentore misto fra il cane bagnato e odore di tromba delle scale, le trombe delle scale sanno di legno vecchio, di chiuso e di stantio. La stazione dell’autobus di pollaio. L’acqua del Bosforo é grigia e odora di mare. Sul ponte di Galata si sente il profumo dei pesci arrostiti che arriva fino a Eminönu. Le moschee hanno una gamma di odori al loro interno che dopo qualche giorno diventa inconfondibile, che va da un gusto speziato che ricorda vagamente l’incenso, all’odore di moquette che riveste il pavimento a quello di stoffa vecchia che avvolge le bare nei mausolei, fino a quello dei piedi scalzi di decine di fedeli e di turisti con i piedi sudati dal tanto girovagare. Camminando per Fener ti guida l’odore di pane caldo, di farina e di focacce alla cipolla, finché non ne hai addentata una, l’odore del caffé turco invoglia ad entrare nei locali dove lo servono, in alternativa al chai, ma quasi sempre appena entrati l’odore di sigaretta e della stoffa impregnata di fumo sovrasta quello del té. Nei quartieri più frequentati dai turisti si viene invasi dall’odore di pesce fritto e da quello dolcissimo dei lokum. L’hammam profuma del té alla mela che servono per terra su grandi cuscini, ma la camera riscaldata e gocciolante del bagno turco ha un odore di umido mescolato al sapone ed agli oli essenziali usati per fare i massaggi.

Ad istanbul non ci sono puzzi e non ci sono profumi, anche se io ho usato queste parole per non ripetermi nel definirli tutti odori, ma é questo che regna ad Istanbul: odori. Entrano dappertutto e forse se chiudessi gli occhi e qualcuno mi leggesse queste parole mi sembrerebbe di essere di nuovo lì, attraverso gli odori, attraverso gli occhi dei gatti di Istanbul.

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