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Venerdì, 27 Marzo 2015

Il Capodanno perfetto

Perchè il viaggio è una scoperta non solo di luoghi ma anche di nuovi volti ed emozioni!La Gita ci racconta la sua esperienza!

ARTICOLO DI

AlexandraT

Poche cose stressano l'essere umano cresciuto nel mondo occidentale quanto organizzarsi al meglio per la notte di Capodanno. Sfido chiunque a ricordare un cenone o una festa davvero prefetta. O perlomeno passabile. C'è chi fa il figo sparandosi l'equivalente di una paga mensile per fare cose folli, chi si trascina come un fantasma fino alle 17 del 31 dicembre senza sapere che fare per poi aggregarsi a tremende cene dove non conosce nessuno. E poi c'è chi scappa. Io quest'anno ho fatto così.
Certo, accompagnare un gruppo per un viaggio all'estero nel periodo di capodanno potrebbe aumentare a dismisura la febbre dell'organizzazione perfetta, perché l'ansia da prestazione si moltiplica per tanti quanti sono i partecipanti. Ma non in un viaggio a Istanbul E, soprattutto, non il mio gruppo.
Istanbul è una città così magica che neve, terremoti (oddio, forse quelli sì), nubifragi e afa non riuscirebbero mai a schiodare il sorriso dal volto di colui che vi mette piede per la prima volta. In realtà succede anche alla seconda, la terza e la quarta volta. Sempre, a ogni visita, si scopre un panorama nuovo, si vede una luce diversa. La gente che ci vive cambia e con essa anche l'atmosfera. La prima volta che ci sono stata ricordo solo che gli uomini si prendevano a schiaffoni. Così, proprio all'inizio della discussione, senza che essa fosse ancora degenerata in rissa. E poi ricordo ancora che c'erano squallidi "kebabbari" e catapecchie dove abitavano i loro poveri gestori proprio ai piedi della discesa di Santa Sofia. Ora non è più così. La gente non si prende più a ceffoni e le catapecchie sembrano sparite. Almeno a Sultanahmet.
Con dei presupposti così il capodanno doveva essere semplicemente una data scritta su un calendario. Invece io ero in ansia. Volevo regalare al gruppo il capodanno perfetto. Non un barcone sul Bosforo, dove paghi una fortuna per piluccare due tartine se ti va bene e riesci a sgomitare fino al tavolo. E neanche una discoteca, che se proprio dobbiamo ballare ci andiamo a casa nostra. Io volevo offrir loro una meyhane, cioè una taverna tipica, quella dove ci si ingozza di raki e di meze e dove passano i suonatori ad allietarti la sbronza che sa un po' di vecchia Turchia. Quella che sta quasi scomparendo sotto il radicalismo (Islam, turismo, capitalismo sfrenato) di ogni abitante di questo enorme paese e che solo in alcune zone di Istanbul sembra ancora resistere.
Così, il pomeriggio del 30 dicembre, lascio per un'ora e mezza il gruppo per cercare una meyhane dall'altra parte del ponte di Galata, a Karakoy. Un'amica che ci vive me ne aveva segnalata una che non avevo trovato in nessuna guida e neanche su internet. La speranza, ormai, si era accesa: magari ce la facciamo a uscire dal megagorgo turistico e a fare un capodanno autentico "co li turchi". Invece no. Di meyhane autentiche, a Karakoy neanche l'ombra. Sotto una neve che ormai, dopo le prime 8 ore di magia, era diventata fastidiosa e mi aveva inzuppato persino i calzini, sto quasi pensando di andare verso Taksim e cercarne una lì. Ma poi immagino che nella zona più calda della città sarà già tutto pieno e che quello che leggo io sulla guida l'avranno letto altre decine di migliaia di turisti. E non voglio lasciare il gruppo da solo troppo tempo.
Già, il gruppo. Questo è uno di quei gruppi che capitano raramente nei viaggi organizzati. Troppo belli per passarci solo due giorni, troppo affiatati per essersi conosciuti solo da 48 ore. Con loro la visita delle moschee diventa più divertente perché non si vogliono togliere le scarpe per il freddo. E quindi le tanto decantate moschee di Istanbul le vediamo poco e niente. Ma i pochi giorni che abbiamo a disposizione per vedere una delle città più belle al mondo diventano preziosi anche se stiamo svaccati in fumeria a bere té. Sono loro che mi dicono "accodiamoci all'altro gruppo" per il cenone di capodanno. Il posto lo trova una mia amica tramite un suo amico che vive a Istanbul, e io credo di andare verso una specie di meyhane. O perlomeno verso una sua versione un po' meno tradizionale.
La realtà, però, è diversa. Ci ritroviamo in una specie di pub su due piani completamente vuoto. Ci viene riservata la sala superiore, con terrazza con vista Istiklal che però non possiamo utilizzare molto a causa della pioggia. In 32 stretti su tavolate da diner's americano proviamo a ordinare. Primo ostacolo: un solo menu in inglese, che viene trovato prima dall'altro gruppo. Dopo un po' capiamo che non saremmo mai riusciti ad averlo, così il gruppo mi dice di ordinare un misto di vari tipi di carne. Per velocizzare il processo. Ma presto scopro che gli elaborati piatti stile messicano del menu non sono concepiti per essere aumentati a dismisura, così mi faccio coraggio e, con l'approvazione del gruppo, punto il dito quasi a casaccio sulle pagine dicendo "3 di questo, 2 di quello" ecc. Ne esce fuori un servizio più veloce del previsto, piatti buoni presentati bene e un gran senso di allegria e convivialità che pervade tutto il tavolone. Beviamo birra e raki, qualcuno accenna anche a un ballo, e la mezzanotte passa così, tra una serie di auguri con l'altro gruppo e un'altra serie a Gianluca per il suo compleanno. Poi finiamo a brindare al capodanno italiano in un tremendo pub dal nome profetico di Rasputin. Ma questa è un'altra storia.
Mi sono a lungo interrogata sul perché le persone scelgano di affidare gli unici giorni di vacanza che hanno a un pacchetto-sorpresa: di solito va bene, e per tanti motivi. Ma per qualcuno può anche andare male. E a Istanbul ho capito finalmente il perché: non servono l'atmosfera, la perfezione, l'alcol fine a se stesso quando intorno a te c'è gente sconosciuta che ti fa sentire perfettamente a tuo agio. Non serve organizzare tutto con frenesia perché, vada come vada, quel capodanno sarà comunque perfetto.

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