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Sabato, 24 Giugno 2006

Fiamma sulle Montagne del Drago

Due settimane in Bhutan, Druk Yul, il Regno del Drago Tonante, l'ultimo regno buddista himalayano.

ARTICOLO DI

Fiamma

Due settimane in Bhutan, Druk Yul, il Regno del Drago Tonante, l'ultimo regno buddista himalayano.




Due settimane in Bhutan, Druk, il Regno del Drago Tonante.

Che dire? Certo non è il caso di raccontarle giorno per giorno, anche perché il Bhutan centrale, dove sono stata, è un territorio ai piedi (si fa per dire, in quanto si va dai 2000 ai 4000m. s.l.m.) della catena dell'Himalaya, costituito da una serie di vallate a quota 2.000 circa, percorse da fiumi omonimi e delimitate da "colline" alte fino a 4.000 (questo vale per la regione centrale: la parte sud del paese è a quota 150, mentre la vetta più alta raggiunge i 7553 metri). E quindi si continua a discendere i fondovalle fino ad arrivare ad un ponte che ne attraversa il fiume, dove a volte si cambia distretto, per poi risalire il fianco della "collina" fino al passo che porta a scollinare nella vallata successiva, e talvolta a cambiare di nuovo distretto.

Tutto qua.

Se non fosse che siamo più o meno alla latitudine del Cairo e che le nubi, bloccate dalle montagne, riversano su questa terra le piogge abbondanti che negano al Tibet, dall'altra parte dei monti, e che quindi fino ai 4.000 la vegetazione è ricchissima e animata da una infinità biodiversità.

Se non fosse che è l'unico regno buddista tibetano rimasto indipendente, ed è costellato di bellissimi edifici di carattere sacro-amministrativo, in posizione dominante nel paesaggio, pieni di sculture, pitture, lavori in legno, con una simbologia copiosa e affascinante.

Se non fosse che il paesaggio sia naturale, sia agricolo, sia gli edifici rurali sono di grande bellezza.

Se non fosse che i suoi abitanti hanno un senso estetico e, soprattutto, del colore, che trasforma ogni cosa in una festa per gli occhi.



Se non fosse che da marzo a maggio impazzano le fioriture dei rododendri, di tutte le forme e dimensioni e colori, anche alberi alti 4 o 5 metri.

Se non fosse che il clima, la flora, la fauna e tutto l'ambiente ne fanno una specie di paradiso terrestre.


Se non fosse.....


Allora vi dirò solo un po' di cose sparse, così come mi vengono in mente, per raccontare questo starno e meraviglioso paese, in cui tante epoche diverse sembrano coesistere in un unico presente...

Nota di Matteo: Mi sono sentito molto coinvolto da questo viaggio di Fiamma in Bhutan, il perchè lo scrivo in questo post sul mio VagaBlog...





Grande circa come Lazio, Toscana e Umbria, il Bhutan ha solo 750.000 abitanti. Le sue risorse si basano soprattutto sull'esportazione di energia idroelettrica (l'acqua, lo vedrete dalle foto, è letteralmente dappertutto).

L'attuale Re, Sua Mestà Jigme Singye Wangchuck, amatissimo dalla popolazione a quanto ci hanno detto, è salito al trono nel 1973 a 15 anni, aiutato dalla guida sapiente della regina madre tuttora vivente (l'ultimo giorno abbiamo incrociato la sua auto e il suo seguito), e di uno zio paterno, ha studiato in Inghilterra ed è un sovrano veramente illuminato, i cui scopi dichiarati sono quelli di dare al Paese uno sviluppo sostenibile, di contemperare la salvaguardia dell'ambiente con la felicità (non la ricchezza) dei suoi sudditi, di introdurre gradualmente dei principi di democrazia.

Basti pensare al concetto di "Felicità Interna Lorda", un indicatore elaborato dal Re in persona e su cui sono basati i piani di sviluppo quinquennale, che con voluta ironia sostituisce ufficialmente il nostro PIL.

Per spiegare queste cose ai sudditi, il Re gira continuamente il Paese, andando con l'elicottero dove non ci sono strade, anche per spiegare perché non è bene che le strade arrivino dappertutto.

Peraltro non è difficile trovare case di paese o di campagna dove sulla parete vicino alla porta d'ingresso è dipinto con fantasiosi dettagli un enorme fallo rosa come portatore di fortuna e prosperità, mentre sul tetto fa bella mostra di sé un pannello fotovoltaico (ne avevo fatto una foto, ma la mia macchinetta, pudibonda, me l'ha fatta sparire...).

Il Paese è al momento coperto al 75% da foreste ed il re ha stabilito che questa percentuale non possa scendere al di sotto del 60%.

Parchi nazionali ed aree protette tutelano più del 36% del territorio nazionale (in Italia siamo al 11%, e molti dei nostri parchi esistono solo sulla carta), tanto che il WWF ha indicato il Bhutan come una delle nazioni più seriamente impegnate nel mantenimento dell'equilibrio ambientale del mondo.

Il taglio degli alberi può essere effettuato solo con una regolare autorizzazione (e comunque è vietata l'esportazione del legname), cosicché per le necessità di tutti i giorni gli abitanti tagliano i rami bassi degli alberi lungo le strade, conferendogli un curioso aspetto mutilo, simile a quello dei pini di Roma "curati" dai giardinieri comunali.

Per informazioni più scientifiche e dettagliate vi rimando a Wikipedia in Italiano ed in Inglese.




Il legname è usatissimo per le costruzioni: quelle tradizionali sono in legno, pietra e, soprattutto, in terra pressata: su una base di muratura alta circa un metro vengono posizionati i grandi telai di legno degli infissi, generalmente a trifora, poi intorno a questi sale la muratura. Le impalcature sono leggerissime, in canne di bambù. Il sottotetto ampio e aperto crea un terminale imponente che dà dignità anche alle costruzioni rurali, sempre piuttosto grandi, perché ospitano tre generazioni. Purtroppo attualmente nelle città comincia a diffondersi, pur mantenendo esteriormente le forme tradizionali come imposto dal re, l'uso del cemento armato e del laterizio.

Quando, in campagna, qualche vecchio edificio viene abbandonato, lentamente si sgretola e si sbriciola, ritornando terra alla terra...



Gli edifici principali e i templi hanno bellissimi pavimenti di legno, di assi larghe anche 40 cm. cerate e lucidate continuamente dai giovani "seminaristi".

Gli edifici più importanti e più ricchi sono gli Dzong, che al carattere sia politico-amministrativo sia religioso uniscono quello di fortezza, sono infatti sempre posti in una posizione strategica, spesso collegati solo mediante un ponte, e, pur essendo molto diversi tra loro, hanno dei caratteri comuni, come quello di avere tre cortili; gli ambienti circostanti i primi due sono dedicati agli uffici amministrativi, quelli del terzo al monastero, alle incombenze del culto: abitazioni di monaci, ambienti sacri, ambienti di studio, biblioteca, con al centro l'edificio più alto che ospita il tempio vero e proprio.




Gli spazi degli dzong sono bellissimi, con molte parti in legno riccamente scolpite e decorate, con variazioni altimetriche, cortili, passaggi coperti, porticati, ripide scale che mettono alla prova noi europei e che i monachini scendono volando come rossi uccellini.

All'interno dei templi (gli interni non si possono fotografare) lunghe file di piccole stuoie o tappetini costituiscono i "banchi" di studio e di preghiera. Molti bambini, adolescenti e giovani studiano infatti presso i monasteri (nel paese ci sono ben 6000 monaci), anche se molti di oro non diventeranno poi monaci, e vestono tutti l'abito color bordeaux e la lunga sciarpa rossa. Spesso abbiamo fotografato la loro allegra uscita da lezione, erano molto disponibili e, grandi e piccoli, erano blandamente compiaciuti nel vedere le loro immagini nel piccolo schermo delle nostre macchine digitali: accettano i turisti (pochi fortunatamente) con serafica buddità.






I templi si chiamano chorten, e possono essere sia negli dzong che isolati. Quelli isolati, come del resto le nostre chiese, possono essere di tutte le dimensioni: da maestosi edifici a più piani, a piccole costruzioni, fino ad una sorta di minuscole torrette a sezione quadrata sormontate da un piccolo tetto a padiglione, spesso multiple.

Vi sono anche dei monasteri arrampicati sulla montagna in luoghi impossibili, come il "nido della tigre" e romitori ed eremi sparsi nelle montagne, i goemba. Nei templi vengono lasciati in gran numero delle sorte di ex-voto, o preghiere, in forma di chorten grandi pochi centimetri. Anche le numerosissime bandiere che si incontrano sono preghiere: vanno lasciate sventolare finché si distruggono, e non si possono mai togliere, anche se ridotte a brandelli, ma solo aggiungere. Qua e là sulla montagna o in riva ai fiumi si vedono vibrare al vento dei folti gruppi di bandiere bianche, strisce verticali attaccate a degli alti fusti di bambù, con delle scritte: sono i 108, (108 è un numero sacro), gruppi di preghiere che i parenti consacrano ad un caro estinto. Una sorta di "rosari" sono questi cilindri che vedete nella foto: sopra vi sono scritte delle preghiere e vanno fatti girare in senso orario uno dopo l'altro, se ne trovano nei pressi dei templi, ma anche per strada vicino ai negozi. Ne vendono anche di piccolissimi, portatili, che si tengono in mano e si fanno girare sempre in senso orario, all'interno di questi piccoli cilindri si trova un rotolino di carta dove sono scritte preghiere.

Non ci sono forme di previdenza sociale e sono le famiglie stesse che provvedono agli anziani, così a loro è in genere affidata la custodia dei bambini e... la preghiera! Infatti nei pressi dei templi importanti si trovano una sorta di piccoli accampamenti di anziani, che alternano i giri di preghiera (rigorosamente in senso orario) attorno al tempio alle occupazioni quotidiane, come cucinarsi uno spuntino o aggiustarsi le scarpe.






All'interno degli Dzong e dei templi le pareti sono in genere completamente coperte da pitture, che possono essere su tela e poi applicate o dipinte direttamente sul muro, di colori vivissimi, rappresentanti fatti, leggende, dei, animali, spiriti malefici, in complesse immagini zeppe di elaborati simbolismi, spesso riferiti alle vicende della vita, anzi delle vite del Buddha o di Guru Rimpoche (il maestro reincarnato), il religioso che nell' VIII secolo introdusse nel paese il buddhismo Mahayana nella forma tantrica, che è veneratissimo. Molto belle sono le Ruote della Vita, che rappresentano tutte le tappe da percorrere prima di giungere al Nirvana, l'obbiettivo ultimo.



L'interno dei templi, oltre che di pitture e sculture, in legno e in stucco dipinto, è ricco di ornamenti in stoffa, di colori vivacissimi e spesso doviziosamente ricamati. Non potendoli fotografare all'interno dei templi, ho trovato un negozio di arredi sacri, ed ecco qua le immagini, provate un attimo a confrontarle mentalmente con uno dei nostri negozi di arredi sacri!




Se avete voglia di approfondire, vi segnalo due link molto interessanti su it.wikipedia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Buddhismo
http://it.wikipedia.org/wiki/Guru_Rinpoche





Degli dzong il più importante è quello di Trongsa, che sorge in una posizione tale da dominare la vallata del fiume Mangde e si può scorgere la sua sagoma anche da notevole distanza. Come tutti gli altri dzong, anche quello di Trongsa è stato un centro religioso importantissimo (e lo è ancora), sede di potere politico locale e struttura militare di difesa. Il nucleo originario risale al 1648, ma nel 1897 venne seriamente danneggiato da un terremoto e fu fatto ricostruire soprattutto per volere di quello che fu poi il padre del primo re del Bhutan. Molti degli abbellimenti sono stati apportati per volere della famiglia reale e si potrebbe dire che è lo dzong della famiglia reale.




Una cosa difficile da comprendere per noi occidentali è la mancanza di temporalità: sia i templi che le pitture seguono sempre gli stessi canoni stilistici e molto spesso vengono ricostruiti (i templi) e ridipinte o rinfrescate le pitture, e quindi, mentre da noi una preparazione a livello liceale consente, di fronte ad un'opera, di capire se è medievale, rinascimentale, barocca, ecc., di fronte ad una delle loro pitture anche persone esperte non sempre sono in grado di pronunciarsi.

Del resto questa dimensione atemporale, in qualche modo mitica, rimane anche nella loro vita odierna. Emblematico secondo me è il modo in cui il re si è sposato: qualcuno (non ricordo se il padre morto o chi) gli è apparso in sogno e gli ha detto di sposare tutte le figlie di una determinata famiglia. Nella famiglia c'erano sei sorelle, una era già sposata e la più piccola non era interessata alla faccenda e ha detto di no, così il nostro laureato di Oxford che viaggia in elicottero ha sposato le altre quattro, che sono attualmente le regine: non sembra una storia di mille anni fa?



L'istruzione è gratuita per tutti (e oltre alla lingua dzongkha, nazionale, tutti studiano anche l'inglese), ma non obbligatoria, in quanto, dovendo comunque pagare i libri e l'uniforme e rinunciare al contributo lavorativo dei piccoli, non tutti i contadini se la possono permettere, però ci sono varie forme di aiuto, perché il re ci tiene moltissimo. Sta di fatto che si può rivolgere la parola in inglese, ottenendo risposta, a quasi tutti i bambini.

Non c'è un vero e proprio controllo delle nascite, ma il contenimento della famiglia a due figli è caldamente suggerito, anche se nelle campagne le famiglie continuano ad esser più numerose. Vi sono sparsi nel paese diversi distretti scolastici a tutti i livelli, inclusa l'Università, che sono una sorta di convitti. Uno dei più importanti, che abbiamo visto passando, è l'istituto professionale dei falegnami e carpentieri, una categoria di rilievo, come è evidente dalla enorme mole di lavori in legno che si trovano in tutte le costruzioni. Anche i pittori sono una specie di corporazione, che gira il Paese eseguendo le pitture per chi può pagarle.

Non ci sono scuole per idraulici: è considerato un lavoro poco redditizio e lasciato agli indiani, col risultato che se in albergo si cerca di fare la doccia in alcuni bagni è solo bollente, in altri solo fredda, in altri la stanza si allaga.... Nelle campagne mi è sembrato di capire che si limitano a captare l'acqua del ruscello o torrente vicino casa (tanto ce n'è dappertutto) con un tubo per portarsela nei pressi della casa stessa.







Anche i lavori stradali (costruzione e manutenzione) i locali non li vogliono fare e sono affidati a ditte indiane, e queste impiegano mano d'opera indiana o nepalese che alloggia, in caso di nuove costruzioni in baracche di cantiere allestite lungo il percorso, per la manutenzione invece, in miserissime tende ai lati della strada con mogli e figli, molto spesso impiegati a... fare brecciolino, con scalpello e martello, dalla stessa roccia che viene tolta a monte della strada per creare il percorso.

Vi sono ospedali distrettuali e dispensari mobili girano il territorio fornendo servizi ambulatoriali e medicine.


C'è un'assoluta parità nei diritti fra i due sessi, addirittura in una parte del Paese sono le figlie femmine ad ereditare il patrimonio familiare e quando si sposano è il marito a trasferirsi nella famiglia della moglie, nel resto del Paese l'eredità è divisa imparzialmente. Quando una coppia decide di unirsi, semplicemente lo fa. Solo se lo desidera può registrare la cosa, se nascono figli e li vuole riconoscere deve registrare il matrimonio. Se decidono di lasciarsi, se non si sono registrati si lasciano semplicemente, se si sono registrati devono registrare anche la separazione, in tal caso ai figli spetta i 30% dello stipendio paterno. Semplicissimo.


Le feste più importanti e vivaci, "tsechu", si svolgono una volta all'anno presso gli dzong e i monasteri in onore del Guru Rimpoche. Di solito si svolgono in primavera e in autunno. I tsechu consistono in cinque giorni di spettacolari danze in maschera e di rappresentazioni teatrali allegoriche di argomento religioso che sono rimaste invariate da secoli. Noi siamo arrivati a Paro negli ultimi due giorni del tsechu locale.






Le danze in maschera si svolgono su un pianoro nelle vicinanze dello Dzong, delimitato su due lati da due edifici-tribuna per gli spettatori più importanti, il resto dei curiosi si arrampica sul pendio, come abbiamo fatto anche noi. Tutt'intorno e anche giù in basso, subito fuori dal centro urbano, si svolge un vivacissimo mercato, con tende dove si mangia, si beve, si fanno giochi di carte, si vendono i fagottini di foglie con dentro la noce di betel e la calce, un infernale miscuglio che molti di loro masticano in continuazione e che sciogliendosi con la saliva diventa di un vivo color rosso, dando la sensazione che stiano mangiando qualcosa di sanguinolento. Questo miscuglio, ci spiegavano, non è una droga, ma piuttosto una sostanza fortemente energetica, e un'abitudine, tipo gomma americana; peccato che a lungo andare distrugga i denti.

Durante le feste tutti indossano i costumi tradizionali, mentre nei giorni di lavoro molti lo portano, ma non tutti. Il costume maschile, il "gho", è costituito da una sorta di caffettano corto al ginocchio che va indossato in modo abbastanza complicato, facendogli fare un'ampia piega sulla schiena e fermandolo con una cintura; per alcuni, i lavoratori di concetto suppongo, è completato da due grandissimi polsini bianchi asportabili, tutti poi portano una grande sciarpa, lunga circa 4 metri, di solito di seta cruda, ma può anche più economicamente essere di cotone, che per gli uomini normali è bianco grezzo, per i monaci rosso e per i funzionari di vari colori a seconda del ramo in cui lavorano e del grado, fino al giallo che solo il re può portare.

Per le donne il costume tradizionale è costituito da un rettangolo di circa 150x240 cm., la "kira", tessuto a mano in due strisce della larghezza del telaio, poi cucite insieme, che può essere interamente in cotone, in cotone decorato in seta o tutto in seta. Le kira sono bellissime, fortemente colorate, con disegni geometrici elaboratissimi, non ce n'è una uguale all'altra e a farne una una tessitrice ci mette dai sei ai dieci mesi, in funzione della finezza del tessuto. Questi grandi teli se li avvolgono intorno alla persona, li appuntano sulle spalle con due fermagli metallici ornamentali, spesso d'argento, e si cingono con una cintura tessuta nello stesso modo. Sopra, una corta giacca, in genere di raso. Una sciarpa portata sulla spalla può completare questo coloratissimo abbigliamento.

Scuole di tessitura sono attive in tutti i maggiori centri.







Siamo stati al mercato di Thimpu, la capitale. Il mercato si svolge di sabato e domenica, infatti il venerdì le strade sono piuttosto trafficate, soprattutto di camion.

La prima parte è dedicata all'oggettistica e ai tessuti, spesso merci di provenienza indiana o nepalese; la seconda agli alimentari, con un notevole assortimento soprattutto di verdure, analoghe alle nostre ma spesso di forma diversa: melanzane lunghe 40 cm. o sottili sottili, cetrioli (o zucchine?) fittamente bitorzoluti, banane lunghe 5-6 cm (buonissime!), peperoncini di vari tipi, o verdure del tutto diverse, tipo i germogli di felce venduti a mazzetti come gli asparagi ed altre cose che non sono proprio riuscita ad identificare. Il formaggio di yak viene tagliato in pezzi grandi come una mezza saponetta, infilzati su cordicelle a ghirlanda e lasciati essiccare finché diventano duri come un sasso; una ragazza italiana ci ha confidato che in un precedente viaggio ne aveva accettato un pezzetto, che aveva tenuto in bocca per lungo tempo cercando di ammorbidirlo e masticarlo, finché, sconfitta aveva finito con sputarlo...





Dopo il mercato siamo andati al campo del tiro con l'arco dove si stava svolgendo una gara. I bhutanesi sono da sempre un popolo guerriero (tanto abile in quest'arte che nemmeno gli inglesi riuscirono a sottometterlo) ed il tiro con l'arco è tuttora lo sport nazionale, praticato indifferentemente da uomini e da donne; raramente i Bhutanesi partecipano a gare internazionali, ma quando avviene sono sempre sul podio.

Ma quello che abbiamo visto è una forma particolare di gara: un tipo di tiro con l'arco tradizionale (eseguito, però, con archi ultramoderni) riservato agli uomini, che è considerato molto importante, tanto che non si può sperare di diventare un funzionario statale di alto livello se non si eccelle in questa disciplina.

La faccenda funziona così: il campo è lungo 350 m., qualcosa come 5 volte un campo di calcio regolamentare! All'inizio infatti non avevamo neppure ben capito dove fossero i tiratori, tanto apparivano lontani. Le squadre sono di otto persone, ad ogni estremità del campo ne stanno quattro di una squadra e quattro dell'altra. Il bersaglio è una stele di legno alta circa 80 cm e larga non più di 30, dipinta di bianco con disegnato un bersaglio, abbiamo subito capito che già colpire il bianco della stele è considerato un buon punteggio. Quando siamo arrivati tiravano quelli dalla parte opposta a quella dove stavamo noi; dalla nostra parte, degli otto presenti quattro, i compagni dei tiratori, si davano da fare a cercar di indicare il bersaglio ai compagni lontani, i quattro avversari cercavano di confonderli. Tutti e otto secondo me erano in serio pericolo di vita, perché ad un certo momento si sentiva un colpo, senza assolutamente esser riusciti a vedere la freccia, e questa si conficcava violentemente di solito nel terreno a qualche palmo o anche metro di distanza dalla stele. Gli otto temerari, non so come, si scansavano all'ultimo momento. Ci hanno detto che talvolta può venir colpito uno spettatore e, se questo era alla debita distanza, il tiratore viene condannato, talvolta viene colpito uno dei giocatori, e in quel caso peggio per lui, fa parte del gioco, si poteva scansare!
Mentre eravamo lì la stele è stata colpita due volte, e in questo caso i compagni di squadra del tiratore vicini al bersaglio fanno una specie di danza solenne accompagnata da canti di vittoria, molto divertente da vedere. Siamo rimasti lì affascinati per più di un quarto d'ora.



Mi accorgo di non aver parlato ancora della natura: per le colline e vallate a cui ho accennato sopra, dal punto di vista geologico non sono riuscita a trovare altre informazioni oltre a quelle, molto succinte, della guida Lonely Planet, tuttavia anche con la mia scarsa cultura in proposito mi è apparso chiaro che la composizione delle rocce variava moltissimo da vallata a vallata. Nella valle di Paro erano arenarie quarzifere, così ricche di quarzo che le pietre delle strade e degli edifici al sole brillavano come l'oro; nella valle di Trongsa sulle rive del fiume ciottoli grossi come uova di struzzo, che i lavoratori spaccavano per ricavarne ghiaia, erano di un bianchissimo granito; altrove cupe rocce di tipo basaltico, e, dovunque, anche argilla, che impastata con inerti vegetali e pressata, costituisce la materia prima per le costruzioni tradizionali.

A questa varietà geologica corrisponde naturalmente una notevole diversificazione della vegetazione, per cui in alcune vallate regna sovrano il pinus roxburghii , un tipo di pino con la chioma i cui ciuffi sono composti da aghi lunghi fino a quaranta centimetri, morbidissimi, che ondeggiano al vento come capigliature; in altre si trovano le belle tsughe, un'altra conifera che può diventare altissima, con le graziose minuscole pigne di un paio di centimetri (confesso, malgrado le proibizioni, di averne trafugata qualcuna); in alcune predomina il cupressus tristis, o cipresso piangente, di cui alcuni esemplari, piantati solitari nei pressi di templi o di dzong diventano veri e propri monumenti. Dovunque c'è un'enorme varietà di alberi: alcuni la mia amica Lidia, grande esperta, riusciva a ricondurli a varietà diverse di specie a noi note, di fronte ad altri anche lei si arrendeva, anche perché purtroppo non c'era molto tempo per investigare.

Dappertutto, grazie al clima, le alture fino ai 4000 m. sono coperte di foreste.

In certe zone quelli che sembrano prati di erba alta sono in realtà vere praterie di bambù nani, che mucche e yak mangiano con voluttà.

Le felci, grazie all'abbondanza d'acqua, sono dappertutto, rigogliose ed in moltissime varietà, le primule rosa-violaceo punteggiavano prati e pendii, insieme a piccolissime fragole. Qua e là abbiamo trovato una varietà di genziane azzurrissime e più piccole di una monetina da un centesimo. Quanto ai rododendri, ne esistono un gran numero di varietà, di vari colori e dimensioni, e fioriscono tra metà marzo e metà maggio, ma il periodo in cui ne fioriscono di più è la seconda metà di aprile. Anch'essi variano a seconda dei luoghi. Certe vallate sono letteralmente piene di quelli color avorio, col ciuffo di fiori molto grande, in altre zone predominano quelli rossi e rosa, sia a cespuglio che ad albero, altrove quelli bianchi a fiori grandi, in un tempio ne ho trovato un tipo che era anche molto profumato (l'ho odorato, cosa che non si dovrebbe mai fare con i fiori offerti al tempio... ma non mi sono fatta vedere), i locali ne colgono mazzi e li mettono nei templi, ma a volte anche ne adornano i camion.

Affascinante è anche il paesaggio agricolo, perché le pendici delle colline sono lavorate a terrazze, con colture diverse e quindi colori diversi che formano complessi disegni.










A questo punto penso, come dicevano i romanzieri dell'800, di aver abusato fin troppo della vostra pazienza, perciò vi darò solo più alcune indicazioni pratiche.





In Bhutan per qualsiasi scopo che non sia di un lavoro ufficialmente riconosciuto dallo Stato (missioni con fondi internazionali o simili) si può avere un permesso di soggiorno per soli tre mesi.

Si pagano comunque 200 U.S. $ al giorno a persona, che comprendono l'alloggio e la guida locale senza la quale non si può muoversi nel Paese. Anche il campeggio in tenda è permesso, il Bhutan è il paradiso del trekking, ma sempre accompagnati dalla guida e pagando i 200 dollari.

Questi soldi, infatti, vengono considerati una specie di "contributo" del turista al mantenimento delle bellezze naturali e culturali del paese.

Tutto va comunque sempre organizzato tramite una delle agenzie turistiche locali (nessun tour operator internazionale può operare da solo in Bhutan), che affittano sia auto normali che fuoristrada e pulmini, sempre con autista; alcune guide sono pure autisti e quindi è anche possibile prendere un auto in quattro più la guida. Noi abbiamo incontrato una plutocratica ragazza tedesca che girava da sola con una fuoristrada munita di autista e guida e ci rimaneva un mese. Sul quanto le costava quest'impresa ci ha dato solo vaghissime indicazioni.

Il livello degli alberghi non è generalmente proporzionato alla spesa, però sono puliti e accoglienti, il servizio è premuroso, dei bagni vi ho già detto.

Per trasferirsi in Bhutan si può solo sposare un/una bhutanese, e questo dopo un certo numero di anni dà diritto alla cittadinanza. Per impiantare un'attività bisogna avere un socio bhutanese al 51%.

I negozi sono tutti emporio-bar, ed hanno tutti le stesse cose, dal pesce secco al rossetto alle sciarpe di seta cruda ai gelati eccetera eccetera.



Il cibo è sanissimo, ma un po' monotono, al ristorante si trova sempre un tavolo-buffet su cui sono una serie di contenitori metallici riscaldati in cui vi sono, sempre: riso cotto a vapore, spezzatino di bovino cucinato con verdure varie e poco piccante, oppure pesce, o di fiume o secco, fritto o arrosto, verdure miste bollite, asparagi o germogli di felce lessi, patate lesse affettate condite con una salsa di formaggio e latte (buonissime) e/o patate a pezzi arrostite, infine un piatto molto piccante, che viene premurosamente segnalato ai clienti. Il tutto può, a richiesta, essere condito con una salsetta di chili molto forte. Come dessert, non sempre, le mini-banane. Niente pane, a volte delle focaccine azzime, a volte delle sfoglie di farina di lenticchie fritte, che sono una vera ghiottoneria. I dolci non sono proprio presi in considerazione: solo a Thimpu, la capitale, esiste un forno-pasticceria messo e gestito da uno svizzero. Una curiosità: i bhutanesi, secondo la loro religione, non possono né pescare né uccidere animali, però non sono vegetariani: semplicemente li fanno uccidere agli indiani o ai nepalesi.


Se decidete di andare vi conviene rivolgervi direttamente ad un'agenzia locale (per quanto detto qui sopra rivolgersi a qualcuno qui d noi siglifica solo aggiungere un intermediario), trovate l'elenco qui.

Quella di cui ci siamo serviti noi è la Etho-Metho, che vuol dire rododendro.


Se volete sapere altro scrivetemi pure, mi farà piacere.

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