RACCONTO
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Martedì, 5 Maggio 2009

Due addii

Dopo cinque mesi di viaggio passati prevalentemente in territorio colombiano, io e il mio compagno di viaggio decidiamo di addentrarci nel cuore dell'Amazzonia brasiliana...

Concorso Storie Vagabonde

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Vagabondo0


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Dopo cinque mesi di viaggio passati prevalentemente in territorio colombiano, io e il mio compagno di viaggio decidiamo di addentrarci nel cuore dell'Amazzonia brasiliana.

Le immagini di una foresta che brucia e perde sempre più velocemente parti importanti del suo ecosistema sono evidenti, e mi turbano molto. Il mito che avevo fin da quando ero un bambino dell'invincibile polmone verde della Terra viene travolto dalla triste e nuda verità. Per questo io e il mio fedele amico d'avventura decidiamo di entrare per un lungo periodo all'interno della selva ferita, con il timore di perdere una volta per sempre l'opportunità di vivere un'esperienza unica all'interno di uno degli ultimi luoghi ancora inesplorati del Mondo.

Così per tre lunghissime settimane abbiamo vissuto dentro l'immenso "bosco di palme" (come viene definito dagli indigeni Guaranì), in compagnia di Renato e Rosangela, veri e propri custodi di quella parte di paradiso terreno.

Una volta usciti dalla selva ci dirigiamo verso Nord, con l'intenzione di entrare in Venezuela via terra.

Giunti alla frontiera di Santa Elena de Uairèn partiamo con un altro gruppo variegato di viaggiatori per una spedizione sulla montagna-tepuii di Roraima.

Riporto qui di seguito le sensazioni provate nel momento in cui abbandono, forse per sempre, i due luoghi - Amazzonia e Monte Roraima - che mi hanno ospitato per l'intero mese di Febbraio 2008, regalandomi emozioni indescrivibili.

16 Febbraio 2008  Selva vergine del Basso RioNegro, P. Figueredo, Brasile (Amazonas)

12 chilometri per uscire dalla mataii.

12.000 passi per lasciarmi alle spalle un'avventura lunga e intensa, senza precedenti.

4 ore di cammino senza sosta, sotto una pioggia  scrosciante per allontanarsi con mille rimorsi dalla casetta in legno di Renato e Rosangela.

Perché quando ho salutato il coraggioso e folle custode di questi luoghi minacciati mi sono venuti i lacrimoni agli occhi, e li ho trattenuti a stento.

Perché ho paura di non rivederli mai più.

Perché ho anche paura di non poter rivedere più la selva dove ho vissuto potentemente questi ultimi venti giorni della mia breve vita.

Ho paura che finisca TUTTO troppo presto, troppo ingiustamente, minacciato dalla Babilonia di Figueredo incombente, che avanza a passi pesanti nella mata (foresta) circostante, ogni giorno di più.

Solo Renato e Zangiaiii difenderanno Curupiraiv.

Spero che vinceranno la battaglia, così potrò tornare , e respirare di nuovo , e rivivere le belle sensazioni provate, e conoscere ancora di più questo mondo intricato che tutto avvolge.

Passi pesanti per uscire da questo lungo tunnel di alberi centenari. Era lontano il giorno in cui io e il mio compagno avevamo varcato questa soglia misteriosa. Non avremmo mai pensato di doverla oltrepassare in senso opposto di malavoglia dopo tre settimane.

Paura per il mondo che ci aspetta lì fuori...

Tupàv piange per noi, copioso.

Paura di non trovare più un guscio verde come questo che tutto protegge; paura della "civilizaçao"vi che tutto distrugge.

Lo zaino si fa sempre più pesante sotto il poderoso scrosciare della pioggia equatoriale.

E io tremo dentro di me. Non voglio uscire là fuori.

Voglio rimanere un altro po' qua dentro, essere coccolato dai suoni diurni degli araravii gialloblu e dal notturno gracidare del philomedusaviii brontolone.

Voglio ancora ridere e scherzare con il geologo carioca e l'amareggiata artigiana di Manaus, voglio ancora apprendere molte cose da loro.

Passi pesanti per allontanarmi dalla mia ultima casa.

Chiudo gli occhi per un istante.

Malinconia sempre più forte per quello che è stato e non sarà più, paura di dimenticare una volta di nuovo "civilizzato".



Il sentiero si fa sempre più grande, la mata intorno a noi d'improvviso si veste di cemento. Sono le ville dei ricchi porci fuori dal guscio che c'ha protetto per tutto questo tempo.

Siamo usciti dal mondo verde.

A noi due Babilonia... Mostrami di nuovo i tuoi orrori per un tempo dimenticati.

Saudadeix color dell'Amazzonia che scompare....

23 Febbraio 2008 Fiume Tok, ai piedi del Monte/Tepui Roraima, Venezuela

Il cuore rallenta, la testa cammina...

E le gambe la seguono.

Anche questa notte secchiate d'acqua come solo Iddio sa. Anche oggi ci si sveglia tristi e infreddoliti.

Questa montagna è fantastica, ma tutti qua sanno che manca qualcosa: sole, calore, corpo secco e asciutto. Svegliarsi con un sorriso e saltare fuori dalla tenda in due secondi, felici di avere un altro giorno di conoscenza unico ed irripetibile.

E così anche stamattina ci aspetta fuori dall'accampamento solo acqua e nebbia, la rinomata coppia guastafeste. Oggi si scende dalla montagna magica.

Il dolore per non averla potuto conoscere a fondo è grande. Si infilano nuovamente i freddi piedi nei calzini di ghiaccio, e poi nelle scarpe di fango, ormai esauste per il tanto camminare in questo pazzo mese amazzonico-venezuelano. Tanta acqua e tanti chilometri macinati come mai in vita mia.

E poi si parte, si comincia a scendere il magnifico tepui con il sorriso amaro e i vestiti fradici da giorni appiccicati al corpo stanco.

Voglio il caldo sole sudamericano, basta pioggia.

Ma dopo un'ora di cammino, giunti ai bordi del dirupo, qualcosa nel cielo comincia a cambiare. Uno squarcio azzurro nel cielo e la speranza, quella vera, , quella liberatoria, mi gonfia il petto.



Apriti cielo.

I nuvoloni battono in ritirata.

Siiii.... urli e goduria in cima di una cascata che mi indica il cammino in discesa.

L'azzurro prende forza sopra di me, e una scala psichedelica mi illumina gli occhi ciechi da giorni... AR-CO-BA-LE-NO. Si, alla carica colori forti e accesi.

Sbaaaaaam... si vede

Sopra la mia testa la imponente parete multicolore del tepui, sotto di me una immensa e verde vallata mi sussurra: "guarda bene dove sei, guarda cosa hai scalato. Vivi. Ora"

E allora ringrazio la cascata e l'arcobaleno, bacio il sole e il mio amuleto, e corro giù per il pendio. Giù, giù, franando su pietre rosate e muschi preistorici.

Con la splendida sensazione di essere un cieco che vede il mondo per la prima volta, ammiro estasiato il paesaggio tropical-lunare che mi circonda. Gli occhi mangiano i mille colori, le gambe volano, il cuore rallenta...

E la testa cammina.




Con le spalle protette dal Roraima e dal Kukenan, i mistici gemelli tepui di questa Gran Sabana, mi sento caldo e forte, pronto per qualsiasi prova. Scorrono veloci le pietre sotto i miei scarponi rotti, mi allontano rapido dalle montagne violabiancherosarancioni che tutto sanno da milioni di anni. Ma la loro potente energia immobilizza con sempre più frequenza il mio corpo rinvigorito dal sole. E ogni volta mi obbliga a girare la testa verso di loro. Ipnotizzato, occhi a pesce e bocca aperta ogni volta che le guardo, come sotto effetto di una droga.

Per tutta la discesa mi fermo a contemplare l'immensità delle due rocce, ormai ogni venti passi.

Ora il sole dei duemila metri picchia forte sulla testa. Ma io realmente non lo sento . L'unica cosa che faccio ormai da ore è marciare rapido verso la valle, per poi fermarmi di colpo, girarmi e contemplare.

Non sono incantato dai due tepui: sono letteralmente incatenato a loro. Una forza invisibile mi obbliga a voltare il viso di continuo. Gli occhi infatuati ne vogliono ancora, e poi ancora, e ancora. Scatto centinaia di foto identiche come un cretino. Ma so bene che non potranno mai descrivere la verità delle due montagne.

Per la seconda volta nello stesso mese il mio corpo, la mia mente, il mio istinto non vogliono fuggire dall'incantesimo degli ultimi giorni. La loro volontà è manovrata al di fuori di me.

No, anche questa volta non voglio andarmene via.

Odio lasciare un posto così. Lacrime invisibili salutano la montagna sacra.

Addio Roraima.


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