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Venerdì, 5 Febbraio 2010

Dobar Dan Zagreb!

Un racconto semiserio su un dicembre croato.
Capodanno croato di tre amici siciliani.

ARTICOLO DI

Vagabondo0

30 dicembre 2008 - Volo Catania - Zagabria della Croatia Airlines - ore 23:00


Mentre il commesso del bar dell'aeroporto mi porge il resto, rifletto sul fatto che la mia attesa aeroportuale si è rivelata meno economicamente rapinosa delle altre volte, almeno dal punto di vista dell'avvelenamento culinario: un Mars e un Loacker Napolitaner alleviano i brontolii contorti del mio stomaco.

Insoddisfatto della mia performance spendereccia, butto altri 6,80 euro in un pacchetto di Marlboro Lights e nell'ultimo Dylan Dog.

Il volo della Croatia Airlines ci accoglie con due baldi steward ex pivot di pallacanestro e una hostess che ha tutta l'aria di essere una ex campionessa di pugilato; nessuno di loro sembra particolarmente entusiasta.

Nonostante il caldo fottuto non posso non constatare con gioia che la fusoliera dell'aereo è ben lontana dagli alveari della Windjet, permettendomi per una volta di stendere le gambe come si deve e di non dover essere costretto a compiere coatte analisi follicolari della capigliatura del passeggero davanti.

Se si pensa che il menu più ricco mai servitomi su un volo di linea è stato un biscottino all'arancia (sicula ma prodotta in Germania...) capirete con quanta gioia e soddisfazione ho accolto il panino di segale con formaggio e crauti innaffiato da succo di mela e il biscottino dall'inquietante sapore di carne che la ex pugilessa mi ha servito.

Un meno 5 gradi ci investe amorevolmente al nostro arrivo all'aeroporto di Zagabria. Che ne sarà di noi?

31 dicembre 2008 - Hotel Regent Esplanade - Camera 420 - Ore 18:01


La mattinata inizia in maniera gradevole, con una mostruosa levataccia alle otto del mattino per la visita guidata della città. Consumiamo la nostra prima colazione nella grande sala dell'albergo, alloggio per i passeggeri che agli inizi del 1900 viaggiavano sull'Orient Express e monumento al liberty mitteleuropeo. Gli enormi finestroni affacciati sulla Mihanoviceva, una delle strade principali di Zagreb, inondano la sala di luce, che amoreggia delicatamente con le mie pupille nel tentativo di svegliarmi dal coma mattutino.

L'odore del buffet della prima colazione si leva dai vassoi argentati, e come uno spiritello impertinente tenta di sollevare gli angoli marmorizzati della mia bocca, lasciandomi accennare un sorriso dubbioso: sfoglie al cioccolato, sfoglie alla marmellata, sfoglie al "nonhoancoracapitochecosafosseemailocapirò", yogurt bianco, noci, kiwi, arance, pompelmi e meloni finiscono per togliermi ogni perplessità sul buon andamento della giornata.


La nostra guida si chiama Jarko. Sosia imbarbito di John Lennon, trentenne con una montatura d'occhiali anch'essa dei tempi di Nixon, è una guida estremamente disponibile e cordiale. Jarko parla di Zagreb come si parlerebbe di un trip di acido: bella ma in due ore è tutto finito. E in effetti due ore durerà la nostra gitarella da turisti da strapazzo.


Il freddo spinge sempre più dentro le ossa, specialmente in quelle del sottoscritto, bardato come Umberto Nobile durante la trasvolata del polo nord. Ci dirigiamo al KOOLING, grazioso e appartato locale dove una cioccolata al brandy ci rimette al mondo. Superate con eleganza le minacce di morte di un gigante tormentato da tragiche emergenze urinarie mentre il bagno era occupato dal sottoscritto, decidiamo di andare a pranzare.


Nova Ves è un quartiere inquietante di Zagabria, percorso per tutta la sua lunghezza da orribili palazzoni anni 30 inframezzati qui e lì da sofferenti facciate di fine Ottocento.


La particolarità di Nova Ves sta nella sadica distribuzione dei numeri civici: la distanza che separa un civico dall'altro, infatti, è pari a quella che separa a Parigi il settimo arrondissement dal quindicesimo. Constatando con orrore la chiusura del locale prescelto (civico 174) decidiamo cristianamente di riaffrontare il percorso in senso contrario, per dirigerci al BALTAZAR, il cui civico era naturalmente il 4...


Al BALTAZAR cordiali e rumorosi camerieri in camicia e bretelle ci accolgono, riempiendo il nostro tavolo di carne, vino e contorni vari, deliziosi. Al termine del pranzo non possiamo esimerci dal provare il liquore locale: il Rakija. Simile al Raki cretese, si distingue per l'aroma di acqua distillata e per la potenza esplosiva della miscela, ottima anche come additivo per le bombe al napalm.


In albergo, tra un amaretto e un pastis, apprendiamo con sincera felicità di essere al tavolo del veglione con quattro perfetti sconosciuti concittadini, che si riveleranno, per fortuna, tra i rari commensali siculi non indigesti. Ma ne riparleremo...

01 gennaio 2009 - Hotel Regent Esplanade - Camera 420 - 0re 16:05


Penso che non escluderò di considerare in un futuro lontano di intraprendere la carriera di gigolo, considerato il terrificante seguito di donne ultra quarantenni che ha accompagnato Luca e me nel corso del veglione. Una vispa cinquantenne mi abborda avvinghiandosi al mio braccio con la bravura di un lottatore di catch, chiedendomi delucidazioni sul funzionamento di un telefonino marca Motorola (la più odiata dal sottoscritto dopo la Samsung) e riesco a mala pena a dirottarla con eleganza verso Simona, salvo poi riafferrare Luca e me per "scattarsi una foto con questi bei ragazzi", da spedire provocatoriamente ad un non meglio precisato signore...


Vestiti e sistemati, scendiamo nella hall dell'albergo. Come due ottantenni tabagisti di lungo corso, ci angosciamo per la nostra totale mancanza di tabacco, portandoci ad affrontare in abito da sera i meno 10 gradi dell'esterno.

Alla stazione dei treni, la versione in divisa dell'incredibile hulk ci dirotta gentilmente verso l'unico rivenditore di tabacchi aperto alle undici di sera: l'aroma di un pacchetto di Philip Morris Lights dall'inquietante cromatura metallizzata (mai visto in Italia) ci riaccompagna in sala.


La tavolata ironizza sul colore dei panini serviti: il berlusconiano bianco pane di frumento viene polemicamente rifiutato da tutti noi, preferendogli plebiscitariamente l'obamiano nero pane di segale.

Le pietanze servite erano naturalmente uno dei più classici e terrificanti esempi di menu da veglione:


1. Carpaccio di polipo in bianco. Le fettine, sottili quanto un foulard, erano digerite già dall'esofago.


2. Risotto con funghi e zucca. Gradevole se non fosse per la dimensione della porzione, offensiva anche per un asceta tibetano.


3. Agnello al forno, di cui non esprimo giudizi non essendo un agnellofago.


4. Una strana creme brulée chiusa nella pastafrolla.


Dopo il brindisi di rito, non avendo soddisfatto manco lontanamente il mio etilismo congenito, domando cortesemente al barman un godfather. Il barman, sconoscendo il cocktail in questione (semplice amaretto di Saronno e whisky), forse ingannato dal mio abbigliamento, equivocando tragicamente, sbarra tanto d'occhi ed erompendo in un plateale


Are you a godfather?!


equivoca pensando che io mi stessi proponendo come tale. Non contento di avermi deliziato ancora una volta sui classici luoghi comuni del siculo in vacanza, mi tocca pure spiegargli come preparare il mio bicchierino della staffa, ammazzandomelo a colpi di shaker!


La serata continua al casino dell'albergo, tra gentili fanciulle e romani cinquantenni strafatti di alcool che intervallano le loro puntate al tavolo da black jack con esplicite allusioni di puttanaggine nei confronti di una loro amica di rosso vestita, seduta su un divano con pose da far apparire Sharon Stone in Basic Instinct un'assistente sociale. Stremati dall'alcool e dal caldo soffocante della sala finiamo per crollare alle 2:30. Il solito lancio di bottiglia (di vetro) di Luca addosso alla mia regale testa mi sveglia la mattina del primo giorno del 2009. Dove finiremo oggi?


Svegliarsi con una bottigliata in testa e un manto di neve alto quindici centimetri è sempre stato il mio sogno.


Zagreb oggi è interamente ricoperta di bianco. Pur non essendo un particolare amante di freddo, neve e affini, poggiare i piedi su questo piumone mi dà la gradevole l'illusione di stare percorrendo una strada mai calcata da altri. La neve ha questo pregio.


Il primo di gennaio sembra che tutti i negozi e gli esercizi zagabresi siano chiusi. Facciamo una breve sosta in piazza Jelacic, nell'affollatissimo bar dell'hotel Dubrovnik, il cui terrificante nome "Piccolo Mondo" è sufficiente per richiamare falangi della peggiore specie italica. Qui un canuto e deprimente cameriere del turno diurno (di notte suppongo rientri nella bara) ci appioppa al posto dei prosek due strane malvasie dal sapore di sciroppo all'acacia.





Sopravvissuti alla micidiale porta automatica del bar, ci arrovelliamo alla ricerca di un ristorante, un'osteria, un take away (che non fosse un Mc Donald o un Burger King) che fosse aperto di primo gennaio. Incappiamo infine nel Leonardo, un piccolo locale di cucina (a modo loro) italiana, grande quanto un garage a due posti, dove pranziamo con gnocchi (o polenta pressata in forma di gnocco, fate un po' voi...) e cotolette da happy meal.

Considerando che il mio fegato amoreggiava ancora con il whisky della sera prima, propendiamo per un sano avvelenamento da bevande gassate ad alto indice glicemico; si insomma, ci strafoghiamo a colpi di Sprite e Fanta.


Un pomeriggio in mezzo alle nevi zagabresi, a rischio congestionamento, in un frustrante tour di musei, parchi e locali minacciosamente sprangati, ci esorta a tornare rassegnati in albergo.


Decidere di provare la beauty farm di un grande albergo è di per sé un coraggioso salto nell'incognito, ma affrontare l'avventura con indosso solo un accappatoio è pura tracotanza. Così incoraggiato da Luca, ci dirigiamo, vestiti solamente di una bianca mise di spugna e un paio di ciabatte (un paio di scarpe da ginnastica per il sottoscritto, che non possedendo ciabatte e dovendo scegliere tra pantofole da pensionato e le suddette, aveva assunto l'aria di un maniaco sessuale) verso l'ascensore.


Pur non convinto della sicumera con la quale Luca mi assicurava che premendo il tasto -1 dal nostro piano saremmo scesi direttamente nella beauty farm, evitando imbarazzanti apparizioni in déshabillé nella hall dell'albergo, lo seguo nella sua impresa.

Un po' come se Batman spingendo il tasto della sua camera, anziché finire nella bat caverna finisse nella sala da pranzo piena di ospiti, così puntualmente io e Luca finimmo nella splendida e affollata hall dell'albergo, in tutto il nostro splendore di microfibra da bagno.


Impossibile non biasimare il signore che con fare sconcertato entra a farci compagnia in ascensore, premurandosi di nascondere la giovane figlia dietro le sue spalle!


La beauty farm era in realtà un seminterrato con una sala attrezzi dove un orrendo soggetto sui diciotto anni correva come un forsennato sul tapis roulant vestito come il principe William il giorno della prima comunione. Superato l'aberrante spettacolo, delusi dalla mancanza di una piscina coperta, Luca riesce a trovare l'ubicazione della sauna.


Docciati e avvolti in un telo di spugna a mo' di senatore romano condividiamo la sauna con due meravigliosi elementi: un palermitano sulla sessantina, una specie di De Michelis ma con più panza e più peli, e il diciottenne del tapis roulant, magro in maniera sconcertante. E' chiaro che entrambi non amano le mezze misure... La quiete saunistica è interrotta ogni tanto dalle rimostranze del palermitano, che deprecando l'antigienica tenuta del diciottenne, entrato in mutande nella sauna, allieta il nostro udito con il gradevole suono del raschiamento della sua più intima parte...


Sentitamente provati dallo spettacolo più che dal calore devastante della sauna, abbandoniamo il luogo e, dopo l'inevitabile show di ritorno nella hall dell'albergo, riusciamo a tornare in camera.


Terrorizzati già dalla prospettiva di una ricerca in notturna di un luogo di rifocillamento ristorantizio, apprendiamo con sincero godimento che le cene erano comprese nel prezzo. Ci dirigiamo così per la seconda volta al ristorante Piccolo Mondo dove abbiamo il piacere di fare conoscenza con una tra le peggiori razze partorite dai libri di sociologia: il porco ripulito.


Come al tavolo di Trimalcione, quattro orrendi esempi di yuppie siculi fuori tempo massimo davano il meglio di sé per dimostrare come non basti il titolo di avvocato (sbandierato da uno dei soggetti come la Libertà nel quadro di Delacroix, salvo poi non degnarsi nemmeno di dichiarare le sue generalità) a conferire educazione e nobiltà ad un uomo. Come un maiale grufola nel trogolo del pasto, così il sedicente avvocato si esibiva in un concertone di risucchi, sbrodolamenti, piantamenti di gomito e lamentele a volume da ambulante sordo sulla cattiva qualità dei servizi dei nostri tour operator (gentilissimi e fin troppo educati ragazzi...).


Il terrore che l'avvocato venga a tormentare i miei sogni mi tiene sveglio al bar dell'albergo, ma una mitragliata di tre godfather riesce a mandarmi amorevolmente tra le braccia di Morfeo intorno alle due del mattino. Pregustando l'ennesimo volo di oggetti contundenti, formulo pensieri sulla nostra prossima avventura, che ci porterà a Liubljana, capitale della Slovenia.

3 gennaio 2009 - Hotel Regent Esplanade - Stanza 420 - Ore 10:40


La mattina del 2 inizia con l'ennesima amorevole bottigliata e l'ennesima levataccia (e poi uno dice che va in vacanza per riposarsi...). Il nostro pullman per Liubljana parte alle 9 del mattino.

Dopo una robusta e abbondante colazione fatta di ardite fusioni tra yogurt, salmone, frutta secca, prosciutto, formaggio e sfoglie multigusto, Luca ed io saliamo sul pullman.

La nostra accompagnatrice è Valentina, una bella ragazza istriana che per fare un favore ad un'amica si è offerta, con divina pazienza, di affrontare il feroce branco catanese nelle vesti di guida turistica e tour assistant.


La Croazia, pur candidata ad entrare in entrambe le associazioni a delinquere a breve, non fa parte né dell'Unione Europea né della NATO. Accade così che una simpatica poliziotta di frontiera dall'aria tutt'altro che bonaria salga sul pullman per controllare i nostri documenti. Valentina, con indubbio campanilismo ma senza disonestà, racconta come la Slovenia rallenti particolarmente il processo di inserimento croato nell'UE per dispute riguardanti il possesso di alcune "zone cuscinetto".

In un Europa che ha da tempo abbandonato le fascinose barre a strisce bianche e rosse, dove il passaporto ha ormai perso il fascino mistico del salvacondotto, quel quarto d'ora di controllo mi ha regalato un attimo di suggestione nostalgica.


Superati indenni i controlli, fregandomene altamente della guida slovena, simpatica quanto un riccio nelle mutande, lascio che Valentina mi racconti la sua storia. Valentina è istriana. Studia etnologia all'università di Zagreb e parla l'italiano meglio di molti soggetti di mia conoscenza. L'orgoglio e la dignità degli slavi sono chiarissimi in lei, che parla con serenità di ogni lavoro che le è toccato svolgere per mantenersi: dall'aiuto croupier (i casino in Croazia sono innumerevoli) all'agente di viaggi, fino alla lavavetri in una stazione di servizio, sottolinea come ogni lavoro sia stato per lei una importante esperienza formativa di cui non ha motivo di vergognarsi.


Liubljana, a differenza di Zagreb, non sembra nemmeno una città slava. Simile ad una piccola Vienna, non trovo popolo meno balcanico degli sloveni, erediti diretti del potentissimo impero austro - ungarico. Il lungo fiume Drava taglia in due la cittadina, collegata da tedeschissimi ponti innevati.


La Slovenia è entrata dal 2007 nel sistema di monetazione euro e i risultati dell'abbandono del debole tallero sloveno si vedono: lunghe file di bancarelle ambulanti cercano di affibbiare agli ingenui turisti paccottiglia di ogni ordine e grado a prezzi indecenti anche per un marajà.


Scopriamo con orrore che il 2 gennaio per gli sloveni è immotivatamente festa, così come ci conferma la gentile proprietaria di uno dei pochissimi locali aperti. Una bambinesca scusa per riposare un giorno in più, racconta sorridendo.


Nonostante il locale aperto, i rifornimenti alimentari sono quelli che sono, così dobbiamo accontentarci di due Caesar Salad (una con pollo e una con salmone) accettabili. La mole del cuoco (un Chuck Liddell alla slovena) e la sua abilità nel maneggiare i coltelli da cucina ci fa desistere dall'importunare ancora la gentile consorte nella speranza di raccattare qualche altra sostanza solida commestibile che non fosse il terzo cestino di pane.


Il ritorno a Zagreb si consuma nell'ennesima cena al ristorante Piccolo Mondo dove Josepa, una delle tour assistant, mi accoglie con uno zelo e un'allegria perlomeno sospette. Il mistero della sua debordante cerimoniosità nei miei riguardi si sfittisce qualche minuto dopo, spiegando di avermi per un momento confuso con un famosissimo cantante croato, tale Peter Graso (da leggere Grasho) e condannandomi così ad una lunga sequela di prese per il culo, non ultima il mio ribattezzamento da parte di Luca in "Peter Sgrascio".


Seduti al tavolo una sensazione di vuoto mi afferra le viscere e il cuore: l'avvocato maiale e la sua allegra combriccola di porci in maglioncino Lacoste non c'era. Fortunatamente lo reincontriamo la mattina dopo a colazione, impegnato in ardite smorfie erotiche e tipici apprezzamenti catanesi nei riguardi di una graziosa donzella straniera, che con mal celato disgusto si appella con lo sguardo all'imponente consorte, che col solo stridere della sedia sul pavimento zittisce il porco forense.


Tra giri al centro commerciale, imbucamenti di cartoline (di cui una senza francobollo e ugualmente arrivata per pietà dell'addetto dell'ufficio postale) arriviamo alla mattina del 3, allietata dalle sincere bestemmie di Valentina che nella hall dell'albergo, ispirata dal passaggio del porco del foro, mi confessa con sincerità disarmante che mai più accoglierà un gruppo proveniente da sicula terra, che a parte ovvie eccezioni (il nostro terzetto of course, e qualche altra perla sparsa) ha dimostrato ancora una volta di saper tenere alta la bandiera del pregiudizio italo meridionale.


Involtini di verza e salsiccia, un tanto disumano quanto inquietante spezzatino di pollo e lardo, dell'insalata e una porzione di strudel segnano il nostro ultimo pranzo zagabrese. Dopo un giro veloce in una meringheria del centro, i dibattiti dei miei concittadini sul destino degli istriani italiani durante la Seconda Guerra Mondiale accompagnano la nostra attesa per il pullman per l'aeroporto.


Sulle note solenni di un cantante croato (forse il mio conclamato fascinoso sosia) si chiude questa prima esperienza zagabrese, tra freddo, neve, padrini in soluzione alcolica, parvenu siculi, Jeffrey Vella, Pasolini, chiacchiere serali e tante tantissime risate.


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