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Domenica, 10 Luglio 2005

Diario di un viaggio a cavallo in Alaska

Una ragazza americana e due francesi traversano l'Alaska a cavallo. Più di 1000 miglia da Valdez a Prudhoe Bay...

ARTICOLO DI

Vagabondo0


Prima tappa. Estate: da Valdez a Kennecott

Una ragazza di città nel Grande Nord Bianco

Parte con la ricerca dei cavalli. Un'impresa non facile, se si pensa che comincia a 8000 miglia di distanza a Parigi, essendo la mia conoscenza in proposito quella di un'infanzia piena di figurine di cavalli e libri su Furia. Comincio col chiamare una serie di negozi di articoli sportivi, ranch e stalle trovati sulle Pagine Gialle dell'Alaska che mi fissano dallo schermo del computer.

"Yello!" "Sì, hello. Sto cercando cavalli da affittare o da comprare quest'estate per un viaggio attraverso l'Alaska." La maggior parte delle mie chiamate viene accolta da incredulità "Cosa? Siete matti?" Altri sono più incoraggianti "Che bellezza! Potessi venire con voi!" Tuttavia sia gli uni che gli altri sono interessati a capire esattamente come faremo "Avete esperienza di questo genere di cose?" Non volendo lasciar capire la mia inesperienza e facendo il possibile per apparire un'intenditrice di cavalli, trovo che la cosa migliore è dire il meno possibile. Fortunatamente la cosa sembra funzionare e riesco a compilare una lista di venditori da incontrare quando Philippe ed io arriveremo ad Anchorage.


Il secondo compito è definire l'itinerario, e tutti noi abbiamo grandi sogni di attraversare montagne e ghiacciai dell'Alaska, attraverso fiumi spumeggianti e campi pieni di fiori. Ma i sogni sono sogni e Philippe ed io abbiamo un rude risveglio con una guida che incontriamo per chiedergli di indicarci percorsi possibili nell'entroterra. "Dove pensate di fare i rifornimenti di cibo?" ci chiede: Rifornimenti di cibo? Philippe ed io ci guardiamo, forse non siamo all'altezza. "Beh, allora, ragazzi, non vi posso aiutare. Quella che avete in mente è una spedizione importante, richiede un sacco di planning, molti cavalli:" "Sì, ma..." "La cosa migliore che potete fare è di trasportare i vostri cavalli in posti dove ci sono belle piste e farvi delle giornate a cavallo. L'Alaska non è un posto per principianti."

Siamo mortificati dalle sue parole, tuttavia non possiamo smettere di pensare ai primi pionieri, che affrontavano questa terra con grandi sogni e non avevano idea di cosa quel vasto territorio poteva riserbargli: ci considerammo come loro e, decisi a mantenere la nostra ingenuità, sperammo di avere un po' di fortuna.



Il problema della bellezza

Alcuni dicono che la bellezza sia la radice di tutti i mali, ma tuttavia siamo dominati da essa. Laurent ci raggiunge in Palmer, dove abbiamo trovato una selezione di cavalli da poter comprare, cosa non facilissima, in un territorio dove il viaggiare è dominato da fuori-strada, camper e pick-up. Decidiamo per Boogie, un Appaloosa di 11 anni, e Chevelle, un Paint di 5, molto carina e... piccola piccola. Proprio per la sua statura è a me che viene assegnato il compito di occuparmene dopo il nostro arrivo a Valdez, il punto di partenza del nostro viaggio e di quello dei pionieri prima di noi, quando cercavano una strada per superare il Ghiacciaio Valdez alla ricerca dell'oro.

Anche i pionieri usavano i cavalli per trasportare la loro attrezzatura da minatori lungo la pista Valdez – Fairbanks, ma dopo essere stati rimorchiati in questo modo qualche giorno, ho cominciato a chiedermi se sapevano qualcosa che io non so.

Lasciamo il porto sotto un chiaro cielo azzurro, con le montagne che si immergono nel mare, ma ben presto cominciamo ad essere flagellati dalla pioggia estiva dell'Alaska che ci inzuppa fino all'osso. Oltrepassando il Canyon Keystoke con la pista Goat, la seconda via individuata all'interno più di un secolo fa, Chevelle si ferisce su un ponte e necessita cure mediche. Lasciandola dal veterinario abbiamo la fortuna di sapere che la ferita non è grave, ma, dopo solo tre giorni di cammino, cominciamo tutti a chiederci perché non avevamo previsto questa possibilità, e a sentirci afflitti da sensi di colpa e responsabilità. Come ciliegina finale il veterinario ci comunica che stiamo per diventare genitori: Chevelle è incinta!



Armi, spray anti-orso e campanelli

Di tutte le domande che ci venivano poste prima di partire la più comune era: "Porterete un'arma?"

Ora, il mio unico rapporto con le armi è costituito da uno zio che caccia il cervo nel 48 inferiore, come il resto degli Stati Uniti è affettuosamente definito, ma essendo io cresciuta oltremare, il mio primo istinto era di rispondere on un sonoro "no". I Francesi non sono molto più ricettivi in proposito e Philippe e Laurent inorridivano alla prospettiva. Tuttavia, armati solo di uno spray anti-orso e di campanelli, cominciammo a chiederci se sarebbe stato sufficiente per tutto il tempo che dovevamo passare all'aperto.

Caldamente consigliati da un ex-Marine che ora viaggia nel nord, decidemmo di portare un fucile da caccia calibro 12, ma solo dopo una lunga sessione, inclusa la famiglia, di tiro alle lattine nel cortile dietro casa.

Proseguendo oltre il Ghiacciaio Worthington nelle fitte foreste di abeti lungo rive di fiumi, ci sentivamo preparati.

Continuiamo verso Chitina, originariamente un nodo ferroviario che connetteva Kennecott col mare, con davanti a noi vedute delle possenti Montagne Wrangell – terra di orsi.

Solo che io mi rendo conto che anche con il fucile in spalla a Philippe non mi sento affatto tranquilla della sicurezza che questo può darci, né della su prontezza di reazione.



Vivendo di quel che offre la terra

I francesi mangiano i cavalli. I coreani mangiano i cani. Così il sentire che in Alaska mangiano alce o orso non avrebbe dovuto sorprenderci. Norris, che vive da molto tempo in Alaska, cacciatore e proprietario di cavalli, lo spiega abbastanza candidamente: "Qui tutto è caro, così animali come l'alce o il caribu riempiono il freezer." Indubbiamente quello che dice è sensato e si rifà al vero spirito pioniere di autosufficienza, che sembra essere sparito in molti dei 48 inferiori e che certamente non esiste in Corea. Come arriviamo nell'ampia valle di Copper River, mulinelli da pesca punteggiano le rive del fiume da cui i pescatori locali tirano fuori il salmone per riempire i loro freezer per la lunga invernata. Continuiamo lungo la via McCarthy e la sua storia ci parla ad ogni passo: strutture ferroviarie, chiodi e bulloni. Dirigendoci alle colorate cittadine di Kennecott e Mc Carthy incontriamo i Pilgrims, una famiglia di diciassette persone che vive nel Parco Nazionale di Wrangell-St.Elias, il più grande degli Stati Uniti.

Condividono con noi il loro modo di vivere, "Abbiamo polli, agnelli, cani, pesce per la sussistenza, e anche cacciagione. Raccogliamo bacche per fare conserve..." Ognuno contribuisce alla vita familiare con le sue capacità e portano avanti la loro autosufficienza anche nel campo dell'intrattenimento: infatti ogni membro della famiglia suona uno strumento da musica bluegrass!1

Sono incantata da quella che sembra un'esistenza perfettamente soddisfacente, con la loro profonda fede nella famiglia e nella religione e nel vivere dei prodotti di questa terra. E sono incantata del fatto che forse lo spirito pionieristico può esser vivo anche presso di noi, quando dormiamo sotto le stelle, cuciniamo su fuochi e ci prendiamo cura dei nostri due cavalli mentre attraversiamo l'Alaska...





Seconda tappa: da Kennecot a Altigun Pass

Cheval o Chevelle, Francese o Inglese...

Francese la mattina, francese la sera. La fatica quotidiana di di far parte di questo microcosmo si sta rivelando più difficile che non percorrere 20-25 miglia al giorno. Tuttavia, circondati dalla tundra alpina che ci viene incontro ad ogni passo sull'autostrada di Denali, l'originaria via per il Parco Nazionale di Denali e il Monte McKinley, è facile dimenticare la propria "mancanza di cultura". Malgrado il nostro progredire nell'esperimento di relazioni franco-americane, la comunicazione è breve, con ben poca traduzione in inglese e io vengo lasciata a me stessa con la sola compagnia di Chevelle. Ci ha raggiunto dopo il suo riposo e sono preoccupata riguardo alla sua condizione fisica, per non parlare di quella mentale. Stare rinchiusa per più di due settimane non è bene per la psiche di nessuno e Chevelle è diventata ancora più stravagante, soprattutto per quello che riguarda il cibo... Si avvicina al suo sacco di cibo semmai solo per capovolgerlo e comincia a girare attorno, pronta a scalciare contro qualsiasi incosciente cerchi di avvicinarsi per aiutare.

Immaginate la sorpresa del povero Laurent quando, poco dopo il suo ritorno, riceve un gran morso sul braccio. Non posso vivere con lei, non posso vivere senza di lei.



Pista per fuori-strada=pista da cavalli?

"La pista del lago Seven-Mile è fantastica e in buone condizioni. Non avrete nessun tipo di problema". Le solite ultime parole famose da parte di un'operaia di uno dei posti di guardia sulla strada quando le chiedo informazioni sulle piste. Finora non abbiamo avuto molta fortuna con le piste, dato che abbiamo dovuto tornare indietro diverse volte a causa del fango, della palude o di tutt'e due le cose, ma tutti non vediamo l'ora di arrivare alle montagne. In genere chiedere informazioni ai locali funziona, ma in questo caso avrei dovuto chiederle quando c'era passata l'ultima volta, piuttosto che se c'era passata.

Proseguendo lungo la pista incontriamo una dopo l'altra chiazze di fango a volte profonde fino al ginocchio, in genere create dal passaggio di fuori-strada e poi approfondite dalla pioggia: ma non c'è più nessuno che ama camminare? Boogie rimane impantanato nel fango più volte, una volta cadendoci a faccia in giù, Chevelle per poco non perde la sua sella attraversando una pozza d'acqua e dobbiamo rapidamente risistemarla, si sta facendo tardi e ancora non siamo in vista del lago. Piove, fa freddo e tutti non abbiamo in mente che una cosa: un pasto caldo. Un sogno impossibile. Non abbiamo combustibile.



Stivale di gomma, Stivale rosso

Finalmente attraversiamo il fiume Susitna; mentre la sua massa scorre sotto di noi precipitando verso il nord ci accorgiamo che Chevelle cammina in un modo strano: ha perso un ferro. Decidiamo di aspettare fino al giorno dopo per vedere cosa si può fare e ci sistemiamo per la notte. Con nostra delizia veniamo intrattenuti dal turbinio dei danzanti colori di una stupefacente aurora boreale, un vero spettacolo da annullare tutte le difficoltà della giornata. Ma l'immagine svanisce rapidamente come attraversa il cielo, e ci ritroviamo col nostro problema.

Chevelle non è cooperativa e non ci dà la zampa abbastanza a lungo per permetterci di ferrarla, Philippe ed io siamo pieni di aspettativa nei confronti di Laurent, dato che è quello che ha più esperienza con i cavalli, ma lui pensa che ci voglia un maniscalco. Allora che fare? Senza ferro lo zoccolo si rovinerà.

Decidiamo di provare con un surrogato temporaneo e con l'aiuto di Larry, in un negozio che ripara scarpe di gomma, costruiamo per lei una specie di stivale di gomma. "Dovrebbe funzionare fin quando non arrivate da un maniscalco.... andate avanti e fatene un altro nel caso che questo si consumi", ci suggerisce il proprietario, che ha una poliennale esperienza di cavalli in spedizioni di caccia. Andiamo avanti, con Chevelle che si arrangia con la sua nuova calzatura, attraverso il fogliame della tundra, che sta diventando rosso con chiazze di arancio e di giallo. La cascata è sicuramente arrivata in un turbine di colori! Benchè la calzatura di Chevelle tenga, abbiamo dubbi sulla possibile durata. Poi incontriamo Gary Pinard, guida di caccia e proprietario di diversi cavalli Half Lingers vicino al Campo Brushkana. Dopo che con qualche difficoltà è riuscito ad ispezionare il piede di Chevelle, gli chiediamo che ne pensa. "Comprate un altro cavallo." Ridacchia simpaticamente, poi fruga nella sua stalla e tira fuori uno stivaletto, una versione di qualità migliore di quello che avevamo fatto noi.

Glielo calza agevolmente e, dopo averlo ringraziato profusamente, ce ne andiamo mentre lo stivaletto rosso di Chevelle brilla nel sole.



The Silver Tube

Lasciata la strada di Denali e il suo caleidoscopio di colori, ci dirigiamo a nord oltre Fairbanks e Livengood, troviamo un maniscalco per Chevelle e carichiamo provviste. Poiché ci hanno avvertito che la via di Dalton può essere pericolosa, cerchiamo un percorso alternativo e, con il permesso della Compagnia del Metanodotto Alyeska, ci consentono di usare il percorso che segue la tubazione. Però dopo due giorni di su e giù per erte colline, comincio ad avere dei seri dubbi. Siamo a corto d'acqua e le zanzare ingrassano col sangue di Boogie e Chevelle. Mi sento terribilmente colpevole a far soffrire quei due poveri cavalli per correre appresso ai nostri sogni. Chiaramente noi e loro abbiamo motivazioni differenti. A meno che non ci sia un bel prato erboso vicino all'Oceano Artico, Boogie e Chevelle semplicemente preferirebbero essere lasciati indietro, e io comincio a preoccuparmi di non fare in tempo a fare il nord prima che nevichi troppo forte per cavarcela.



Ma cos'è l'Alaska senza la neve?

Fortunatamente il corridoio si fa più pianeggiante e continuiamo verso nord oltre l'ampio, calmo letto del fiume Yukon, in mezzo al fogliame dorato delle betulle. Sono sbalordita nel rendermi conto che anche dopo tanto tempo che siamo in Alaska il paesaggio continua a cambiare e ad abbagliarci. Attraversando il Circolo Artico, l'isolamento di quella zona ci avvolge e ci fa sentire come fossimo soli al mondo. Fa anche un po' paura.

Una sera che sono rimasta sola a preparare la cena, senza né spray, né campanelli, né armi, sono un po' entrata in paranoia e ho cominciato a battere sulle pentole per confortare i miei nervi. Non fa niente se non avevo visto un singolo orso nell'intero viaggio.

Comincia a far freddo la notte, a volte scende sotto i – 10°. La neve è poco più avanti di dove siamo noi e, anche se la desideravamo, mi vengono in mente domande relative ai cavalli e alla nostra sicurezza? Ce la caveremo con condizioni di tempo così dure? Dobbiamo raggiungere la piattaforma di Chandalar, mentre la neve si intravede sui picchi del Brooks Range, non c'è altro da fare.





Terza tappa: dal Passo Atigun all'Oceano Artico

Sulla vulnerabilità e sul cibo

Il Passo Atigun è ripido, molto più ripido di quanto credessi. E coperto di neve. Ma non c'è tempo di lamentarsi e cominciamo l'ascesa, mentre la pioggia si trasforma in neve che sferza i nostri visi. Gli zoccoli dei cavalli sono rivestiti di ghiaccio, eppure loro si arrampicano senza sforzo apparente, cosa che mi stupisce, molto mentre mi affanno a cercare di non perdere la strada. Però hanno l'aria miserevole, completamente coperti di ghiaccio, e Boogie cerca di nascondersi dietro di me per ripararsi dalla neve. Questa continua a scendere e, malgrado l'euforia di superare il passo, speriamo di scendere presto incontro a condizioni più calde e più asciutte.

I cavalli tremano come noi: Chevelle è stata nervosa tutto il giorno e non mi sento tranquilla nel controllarla, ma nella strada in discesa il traffico è leggero e io comincio ad illudermi che sia sicuro. Non lo è: un camion sbuca dal nulla, ci vede troppo tardi e non fa in tempo a rallentare.

Chevelle si impenna, io tiro le redini per frenarla. E' troppo tardi, ha già cominciato a prendere velocità e non ho altra scelta se non di andare avanti con lei temendo per le nostre due vite mentre vedo con la coda dell'occhio il camion che rulla verso di noi.... E' troppo vicino e mi ci vuole un attimo per ritrovare la calma, quello che mi fa sentire veramente debole è il fatto, dopo tutto questo tempo, di non essere ancora in grado di controllare perfettamente la situazione.

E Chevelle? La sola sua preoccupazione è di capire cosa potrà mangiare sotto la neve.



Angeli della neve di notte

Passata l'eccitazione dobbiamo accamparci dove siamo, ammantato di bianco. E' la prima volta che ci accampiamo nella neve. Fortunatamente abbiamo un equipaggiamento che ci mantiene piuttosto asciutti, ma quando ci svegliamo le nostre scarpe sono duro ghiaccio e i lacci rigidi. Come mi spiega ridendo più tardi un anziano "Avreste dovuto metterle con voi dentro il sacco a pelo!"Mentre ci introduciamo tremando i piedi sperando che si scongelino, vediamo che Boogie si comporta in modo strano, producendo un curioso nitrito mentre carichiamo entrambe per sellarli.

Sentirà la presenza di orsi o, semplicemente, non è abituato a tuuta quella neve? La crosta ghiacciata comincia a fondere sotto il calore del sole e, mentre camminiamo un lavoratore locale dell'Alyeska sbuca fuori a darci un avvertimento: "State in guardia, non lontano da qui sono stati avvistati due orsi." Così poteva darsi che Boogie li avesse percepiti prima. Devo ammettere che sono stranamente eccitata. Fin dall'inizio del viaggio sono stata un po' ossessionata dagli orsi, leggendo ogni opuscolo che mi capitava sotto mano, anche sognandoli. Adesso potrei aver la chance di vederne uno.



State attenti a quello che desiderate...

Mentre risaliamo il fiume Atigun siamo, assorti nella bellezza del paesaggio che ci circonda, con il Brooks Range che si staglia nel cielo turchino "ORSI" urla Laurent. Allungo il collo per vedere meglio. Uh oh! La gobba bruna di un grizzly. Mi fermo di colpo, ma Laurent e Philippe hanno già arretrato dietro Chevelle e me, preparando il fucile. Cercando di ricordare tutto quello che ho letto sugli orsi, agito le mani al di sopra della testa, parlando forte all'orso "vattene orso! Siamo umani!

L'orso sta dritto in piedi dondolando di qua e di là per avere una visione migliore. Non funziona. Il passo successivo è il corno, ed emetto vari suoni nella sua direzione. Niente da fare. L'orso non si muove neppure. Ci guardiamo l'un l'altro chiedendoci cosa fare mentre i cavalli, che consideravamo la nostra prima linea di difesa mangiano tranquillamente l'erba. Li facciamo girare e cominciamo ad arretrare lentamente tenendoli d'occhio. Il timore che domina la mia mente è la tendenza di Chevelle a rimanere indietro. Se succede che rimaniamo staccate magari l'orso ci vede come la renna o il caribu solitari e ci attacca. Devo continuamente ricordare agli altri due di aspettarci, ma loro sembrano pensare solo ad allontanarsi più possibile. Alla faccia della cavalleria...

Dobbiamo oltrepassare gli orsi per poter continuare, ma loro sono troppo vicini alla strada. Prendiamo in considerazione la possibilità di muoverci nella tundra, finché non incontriamo un pick-up con a bordo due rudi cacciatori. Li salutiamo e gentilmente chiediamo se ci farebbero da scudo con gli orsi, mentre preoccupazione e panico filtrano dalle nostre voci.

Il più giovane ci canzona "Probabilmente è una buona idea, quei cavalli sarebbero un'ottima esca per gli orsi."



Cavall Morto o Cavallomorto?

L'oleodotto è in vista quando superiamo il Distributore n. 4, che raggiunge quasi la qualità di un vero distributore, in questa terra artica. L'oleodotto rappresenta il nuovo oro: il petrolio. I pionieri sono i lavoratori di questa regione, che sopportano condizioni di tempo impossibili, lontananza e probabilmente anche noia, per consentire la distribuzione del petrolio nella loro terra. Forse non sono affascinanti come gli antichi pionieri, ma è certo che se non fosse stata tracciata questa pista non saremmo davvero arrivati così lontano. Ormai essere bagnati e avere freddo fa per noi parte della routine quotidiana e, anche se stiamo arrivando più vicini, i cavalli stanno perdendo forza. Certo loro non sanno che siamo abbastanza vicini all'ultima città all'orizzonte, inappropriatamente chiamata, proprio a causa loro, Deadhorse (Cavallomorto). E' un po' come se questo nome portasse sfortuna: certamente mette in evidenza il nostro interrogativo attuale: ce la faremo a raggiungere l'Oceano?


L'Oceano Artico


"NO, NO, e NO" era stata la risposta della BP (British Petroleum) con cui mi ero messa in contatto diverse settimane prima per cercare di poter avere accesso, e io avevo ormai quasi abbandonato l'idea pensando che fosse impossibile ottenere il permesso. Ma ascoltando una coppia di Argentini che avevamo incontrato qualche giorno prima, avevo aguzzato le orecchie nel sentire che avevano ottenuto il permesso proprio il giorno prima. Recupero speranza. "Insisti," mi dicono, "com'è possibile che l'Oceano Artico sia controllato da una compagnia? Semplicemente, insisti!" Torno dai ragazzi piena di voglia di riprovare, ma incontro qualche resistenza - non se la sentono un gran che.

Rifiutando di arrendermi, rifiutando di concludere la nostra avventura, di tutti i posti possibili, proprio a Cavallomorto, ricomincio a contattare la BP perorando perché ci consentano l'accesso. Aspettando con impazienza, col va e vieni di numerose telefonate, avviene il miracolo... otteniamo il permesso.

Ed ecco dunque come una ragazza di città come me ha raggiunto l'Oceano Artico dopo 1000 miglia di traversata del "Grande Nord".

Avendo sperimentato una quantità di cose per la prima volta, essendo stata aiutata e supportata dalla gente del posto e avendo superato qualche sfida, posso dire di credere che forse lo spirito dei pionieri non è del tutto morto. E forse lo potremmo possedere tutti semplicemente seguendo i nostri sogni.


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