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Mercoledì, 29 Aprile 2009

Cuba pa'vivirla

Cos'è cha ha quest'isola di così tanto particolare da stregare ogni suo visitatore?
Concorso Storie Vagabonde

ARTICOLO DI

Vagabondo0


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Cos’è cha ha quest’isola di così tanto particolare da stregare ogni suo visitatore?

Incomprensibile. Una forza, un’energia, un battere e un levare, che si insedia dentro e non ti lascia più. E’ nel ricordare quella triste allegria, la nostalgia della purezza, la bellezza della semplicità, la veemenza dei colori, la brillantezza di quegli occhi scuri e profondi...

Cuba è una magia sottile. La brezza soffia leggera al mattino al cantare del gallo, il campesino nei campi, gli animali già vispi corrono liberi prima della calura soffocante, i tassisti si svegliano per un nuovo giorno in compagnia di qualche turista annoiato da scarrozzare per le strade accidentate, ogni giorno un nuovo volto per vie che non cambiano mai, ma così si inventa ogni giorno; poter viaggiare: l’automobile è il pass per un’altra realtà.


Era un sabato qualunque, libri sparsi sulla scrivania, noia per la routine, perpetua voglia giovanile di fare, cambiare, ma non il mondo, quello è troppo lontano, ma la propria vita sì, sembra già più accessibile...


Era un pomeriggio di maggio. "Ho detto che non parti. Non sono posti in cui andare. Tu e le tue fisse per il Terzo Mondo. Non sono paesi in cui viaggiare come fai te allo sbaraglio e alla ventura. NON PARTI". E con una nonchalance ovvia e pura, occhi sbarrati e una calma irreale rispondo: "Volevo solo sapere se lo prendo anche per mamma".

La solita ventenne ribelle e viziata che sbatacchia gli occhioni davanti alle ferme decisioni del capofamiglia, e no, mio caro, sei fuori strada, quella risposta – Ironica? Provocatoria? Istigante?- mi è costata un pomeriggio di urla, nervi, stress, risentimento, disappunto e bla bla bla.

Le solite cose, no? Fatto sta che alle 18.00 ero seduta dietro la Lauretta alla disperata ricerca di una, dico una, un’agenzia di viaggio che mi emettesse un biglietto. "E’ possibile che sono tutte chiuse?" ripeteva Laura "Scatta il ricorso a questi commercianti che non lavorano il sabato pomeriggio!"- unico libero per noi comuni lavoratrici precarie, ironizzavamo.

E poi eccola, irradiata di luce.

SSSsssììììì!!! RISA. URLA. Ce li abbiamo, Si PARTEEEEeeeee!


Il mio fedele compagno di viaggio è oramai pronto, le idee sono chiare, quella pulsione che mi esplodeva dentro si era spenta per lo stress metropolitano e una sorta di ansia, paura, un miscuglio che non so definire, in balia tra l’essere e il divenire, mi accompagna costantemente alla vigilia di ogni partenza significativa. Anche questa notte mi scorta, mi ripetevo Ci Siamo. Cuba, Cuba, cuba.




7.30, l’aeroporto di Fiumicino è preso d’assalto. Rimbalziamo da un terminal all’altro alla ricerca di una meta che non arriva mai, all’improvviso siamo avviluppate in una fila lenta ed esasperante in cui un miscuglio di entusiasmi pronti al decollo si tingono di noia, sonno, irritazione.

Sono le 9.15, tra soli quindici minuti dovrei sedermi sul pass-partout per la libertà e invece mi trovo ancora allo stesso posto, la solita fila, le stesse facce stanche, lamentele? Ragazzi non siamo mica nate ieri! Certo che ci siamo fatte sentire ma erano queste le normali pratiche in questi attimi di panico dell’Alitalia agli aeroporti di Roma.

Fine della dolce favola: imbarco prioritario senza carte per la coincidenza, il fedele compagno scaraventato sul rullo e corri corri corri, corri, più veloce, checkin già chiuso(?), corri, non respirare, no respira altrimenti non ci arrivi, ma dov è la gate? Sorrido, la contentezza non si trattiene, mammamia il fiato, ma che ci vado a fare in palestra se poi quando serve? Scale. Salgo, scendo. Le scale mobili no, troppo lente. Corri. Gira a destra. Ma dov’è? Ancora tutto dritto, ma quanto è grande ‘sto aeroporto?!

"Devo salire su questo volo e ci sono altre tre persone e...e...e sto per svenire"

Pressione bassa, caldo torrido, un esercizio troppo intenso e il terrore di ritrovarmi l’imbarco già sbarrato, insomma, diciamo che non capisco un gran che e l’amabile signorina in totale calma mi guarda e pronuncia le fatidiche parole "L’imbarco è .....- fa che non lo dica, fa che non lo dica; non lo voglio sentire, non lo voglio sentire – L’imbarco è ancora chiuso".

Clementina rischia l’infarto e l’imbarco è ancora chiuso?!!!

Settant’ anni di battaglia, risoluta, longobarda doc, capellino verde militare, lei non può perdere Cuba, ma neanche morire prima di arrivare!



Aeroporto San José Martì de Ciudad de La Habana. Ho ritrovato il mio zaino, è lui il fedele della situazione, povero compagno disperso in qualche angolo dimenticato della sala. Laura intanto accede in fretta la sua droga diaria "Certo che posso fumare, non rompere." Tono irriverente e risoluto non poteva restare in un angolo assopito quando, dopo 10 ore di volo, era finalmente il momento di una Winston rossa, impossibile aspettare; che fortuna che qui si fuma ovunque, che popoli questi, e li chiamano incivili!

Ed ora via, alla scoperta dei tre piani di quello stabile rosso, tessera telefonica, soldi, toilet, testa, cuore, c’è tutto, siamo a Cuba, mentre quelle due, sballottate come pacchetti postali e col diritto negato di proferir parola al grande capo, il boss non ha bisogno di presentazioni, ho dato l’ordine di aspettare in un angolo: sedetevi se volete e non fate quelle facce, non sarete stanche, sembrate distrutte. Dai! Su, su. Siamo a Cuba!

"Tutto fatto: vamos chicas, pa’lante"

"Fatto? Fatto cosa?"- è Patricia, la secca, è un po’ rinco, forse scazzata, affatto in forma, e poi vai a dargli la possibilità di viaggiare, conoscere, vai a parlargli di esperienze, e poi dicono di noi figli adolescenti...

"Stanze prenotate, soldi a la main, ora cigarette please!".

Sono a tremila. Le angosce, le ansie, i dubbi, tutto sparito, un vento caldo mi investe, è un vento di vita nuova, di rigenerazione, è il vento di Cuba.

E con la faccia migliore già contratto ad una guardia il prezzo del taxi fino a La Habana Centro, da italiana ho tirato bene, ma da brava non ho esagerato: potevo fare di più!

Un uragano in piena, parole che sgorgano a fiotti, straripa il mio spagnolo eccitato carico di aspettative e il tassista sta al mio gioco, risponde a tutto, anche alle cretinate più ovvie, e mi alimenta. Abbiam già percorso tutta l’isola: da La Habana a Santiago, da Baracoa a Playa Maria La Gorda. "Eeeehhhh Tata, me parece tan largo!".

Musica, colore, spiagge, ideologia politica, già parliamo di tutto, le macchine! Le vecchie Chevrolet dai colori fiammanti ci sfrecciano accanto, guardo fuori incantata, è un museo a cielo aperto. E Plaza de La Revolucciòn svetta alta tra il verde, la statua di José Martì campeggia, il Ministero degli Interni e la celebre faccia del Che, allora è tutto vero, ora ho le prove, l’ultimo paese socialista, l’ultimo paese che resiste all’imperialismo Yanquee, l’entusiasmo nei discorsi del popolo, l’orgoglio della sua gente, l’intensa emozione al parlar della Rivoluzione, rispetto per Lui, e intanto ecco il prossimo edificio, il prossimo cartello, scritta o murales inneggiante al Programa de las Ideas. Ahi Fidel!



Centro Habana. Non sapevo come immaginarla, meglio così.

Una serie di stradine buie strette e fatiscenti, case dai cornicioni ciondolanti e la pittura già sbiadita; Guarda in alto, potrebbe venir giù qualcosa, crepe, calcinacci, gruppi di ragazzini dalla pelle nerissima guardano curiosi, risentiti, quegli occhi tanto penetranti a volte ti trapassano, nudi, magri, calzoncini e spalle già ben messe promettono bene, mi sento a disagio, chissà se per paura di essere vista una facile preda da saccheggiare - parametro europeo - o per la paura di schiaffargli in faccia la possibilità di viaggiare; sono loro o sono io che mi guardo male? Spero solo di spogliarmi di questi panni ed entrare nella loro realtà, non voglio essere tacciata come l’ennesima europea, l’occidentale dai soldi facili, sono solo un viaggiatore, una backpacker dai pochi soldi in tasca, ansiosa di conoscere ed innamorata del vagabonding, curiosa e piena di aspettative e decisa a viverla fino in fondo questa Cuba, pa’ compartirla, pa’vivirla.


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