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Domenica, 13 Febbraio 2005

Cinque giorni nel Sahara Libico

Dal mio viaggio nel 2001 mi era rimasta una gran voglia di tornare in Libia e di fare un giro nel deserto libico...

ARTICOLO DI

Fiamma

Dal mio viaggio nel 2001 mi era rimasta una gran voglia di tornare in Libia e di fare un giro nel deserto libico...


Dal mio viaggio nel 2001 mi era rimasta una gran voglia di tornare in Libia e di fare un giro nel deserto libico. Ho colto al volo un'occasione che mi si è presentata, di due amici che ci andavano e mi sono aggregata. Ci ho passato cinque giorni, che qui sotto vi racconto, però la mia voglia non si affatto estinta: anzi, ho tutte le intenzioni di tornarci e di starci più a lungo. Ecco il mio racconto e alcune indicazioni per chi fosse tentato.

Nota del Webmaster: Fiamma, innamorata del deserto mi ha dato 59 immagini da pubblicare, un numero impossibile, io ho fatto quello che potevo, lei, comunque, se la contattate, è pronta con altri suggerimenti e immagini da mostrarvi!

Sahara Libico. Ore 9.00 a.m.

Campo Dar Auis nel parco naturale dell'Acacus.


Venticinque casette di legno, stuoie e stoffa disposte in un'ampia curva attorno a ... niente, cioè a una spianata di sabbia gialla. Alle spalle e intorno fantasmagoriche formazioni di roccia nera.

Cammino verso la mia casetta ed ho a sinistra a mezz'altezza il globo splendente del sole; a destra, alla stessa altezza e apparentemente delle stesse dimensioni, il globo argenteo della luna piena.

E allora mi vengono in mente tutte le antiche credenze su questi due magnifici sposi, Iside e Osiride, Elios e Selene, Sol e Luna, sposi che si incontrano in genere quando noi non li vediamo e per breve tempo, tra il tramonto del sole e il sorgere della luna, e che invece adesso eccezionalmente si guardano in faccia, illuminandosi lei dello splendore di lui.

La temperatura, dai due gradi di un'ora fa, si è già un po' alzata, verso le dieci ci saranno 25-26 gradi; ma l'aria è così asciutta che non si soffre un granché né il freddo né il caldo. Quando mi spazzolo i capelli crepitano, si elettrizzano e vanno dappertutto, per riuscire a ravviarli sono costretta a bagnare la spazzola....

Il nostro autista, Salem, ci aspetta insieme agli altri all'ingresso del campo, accanto al massiccio fuoristrada con le ineluttabili bottiglie d'acqua, una a persona. Alcuni autisti ingannano l'attesa pregando, con le rituali genuflessioni, verso la Mecca. Sono tutti tuareg, discendenti dell'antico mitico popolo dei Garamanti, il popolo dell'interno che costituiva una perenne minaccia per le opime colonie costiere. Le auto sono quasi tutte possenti Toyota, 5000 di cilindrata a benzina (tanto lì la benzina non costa niente).

Le auto degli occupanti del Campo, una decina, partono più o meno tutte insieme, prendendo la pista che ci porterà nell'esplorazione dell'Acacus e a vedere le incisioni e le pitture sulla roccia.

Il concetto di pista è molto più ampio di quello che saremmo portai a pensare. Infatti appena partiti le auto si sparpagliano a ventaglio e ogni conducente va per conto suo facendo ampie deviazioni, tanto che dopo pochi minuti le altre macchine non si vedono più, e all'inizio, il primo giorno, uno resta col dubbio che il suo autista abbia sbagliato strada. Poi magari si intravvede per qualche momento un'altra auto o due in lontananza, che sembrano o molto più avanti o molto più indietro della propria, e poi spariscono di nuovo: quello che è certo è che davvero non si ha la sensazione di essere in carovana. A volte il conducente parte accelerando come un matto e fa pensare che abbia deciso di fare una gara con un altro che si intravvede all'orizzonte, poi magari si ferma, guardandosi indietro, finché non compare un'altra auto, e quindi riparte di carriera.



Dopo un po' abbiamo saputo che esiste un Capo-carovana, nel nostro caso il bellissimo Ahmed, con neri occhi vellutati, lunghe ciglia e un delicato viso bruno scandito da un elegante piccolo naso imperioso, e abbiamo capito che ogni auto ha un posto preciso nell'ordine della carovana, e chi non lo rispetta scatena l'ira del bell'Ahmed, che lo investe con un flusso di quelli che sembrano coloriti insulti da cammelliere. Crediamo anche di aver capito che ogni conducente è in qualche modo responsabile di un altra auto e deve accertarsi che quella non abbia problemi. Circa ogni tre quarti d'ora le macchine, apparendo misteriosamente da tutte le direzioni, si ritrovano tutte insieme per una sosta, in cui i motori si raffreddano, noi beviamo acqua (con i sobbalzi in corsa è difficile), facciamo foto e gli autisti fumano o ... pregano. Se per caso ci si è fermati in prossimità di qualche grande duna alcuni degli autisti più giovani fanno a gara a chi, con la macchina arriva più in alto prima di ridiscendere, e per un po' il Capo-carovana chiude un occhio.

L'Acacus, parco nazionale della Libia, è costituito da un massiccio altopiano di arenaria, attraversato da fiumi fossili risalenti alla preistoria che hanno scavato profondi e spettacolari canyon, il paesaggio è fantastico: grandi blocchi di arenaria, scurita in superficie da ossidazioni di manganese, provocate, pare, dall'azione millenaria di certi microrganismi, lavorati dal vento e dalla sabbia in forme strane, che suggeriscono a volte figure di animali, o strani profili umani, o gruppi di persone in concistoro, c'è da sbizzarrirsi nelle interpretazioni. A volte il vento ha eroso la parte sottostante a grosse rocce, creando una sorta di alberi o di funghi, il cui fusto si va nei secoli assottigliando. Queste formazioni rocciose emergono talvolta da una pianura sassosa, talvolta, ed è il caso più bello, da dune di sabbia ocra finissima, che nella parte alte, verso la base dei roccioni diventa decisamente rosata.




Ad un tratto, percorrendo una distesa desertica, compaiono piccole sfere gialline che rotolano sulla sabbia: sono... zucche (il nome scientifico è citrullus colocinthis, non avevo mai saputo che l'epiteto toscano “citrullo” volesse dopo tutto dire “zucchino”), zucchette secche che si lasciano trasportare dal vento a spargere semi in giro per il deserto, poco dopo ne troveremo piante ancora verdi con foglie, frutti maturi ed anche fiori.

Infatti il deserto libico è qua e là percorso longitudinalmente dagli uadi, che sono una sorta di torrenti, dei corsi d'acqua che si formano nella stagione delle piogge per poi asciugarsi completamente. Lungo il loro percorso nasce e cresce una coraggiosa, rara vegetazione, che poi si secca nella stagione calda. Di alcune piante perenni si secca solo la parte aerea, e poi le radici rigermogliano appena il terreno è di nuovo umido. Altre, come le zucchette, muoiono e poi rinascono dai semi, altre ancora, come le bellissime asclepiadacee dai fiori viola e dai grandi frutti(colotropis procera) che vedete nella foto, sopravvivono per decine d'anni rimanendo verdi anche nella stagione secca.



Il clima nel deserto non è stato sempre così inclemente, e in tempi antichi, ma addirittura anche al tempo dei romani, lungo gli uadi c'era vita, abitazioni e perfino coltivazioni: città romane di frontiera, come Ghirza (di cui trovate delle foto nel mio primo pezzo sulla Libia), ora sono nel deserto, ma allora erano abitate e vissute. Ed è per questo che sulle pareti rocciose che delimitano gli uadi si trovano in abbondanza incisioni e pitture, a testimonianza di vita umana antica e antichissima.

Top of page!



Non è questo il luogo di fare una lezione di paleontologia, a proposito di questi graffiti e pitture trovate tutto su un bel sito dell'Università di Roma “La Sapienza”, che si chiama, appunto www.acacus.it.

Quello che voglio dirvi, però, è che si tratta di manufatti di epoche che vanno dai 12.000 ai 2.000 anni fa, con stili distinti per le varie epoche, che sono delicati e richiedono che ci si comporti con grande rispetto e circospezione.

Vanno dai più antichi, quelli dell'epoca cosiddetta della “Grande fauna selvaggia” a quelli più recenti, con scene di vita quotidiana pastorale, con diverse fasi intermedie. In genere sono piuttosto difficili da fotografare, soprattutto le incisioni, perché la luce è fortissima e i rilievi sono modesti, le pitture vengono meglio, ma alcune sono proprio quasi evanescenti, e danno la sensazione che non si vedranno ancora per molto tempo. Le rocce sono piene anche di scritte incise nella scrittura tuareg, che possono essere di ieri come di due-trecento anni fa.



Anche il secondo giorno lo abbiamo passato nell'Acacus: una lunga traversata tra maestosi paesaggi e imponenti sculture naturali, fra cui il grande arco che vedete qui sotto e quella stranissima combinazione di archi e colonne che, a chi abbia visto il Parco Guell a Barcellona, ricorda immediatamente Gaudì. La cosa più curiosa è che Il mio amico Roberto ed io avevamo a lungo parlato di Gaudì pochi minuti prima di arrivarci!



Picnic a mezzogiorno in una zona, sempre la valle di un uadi, segnata da costoni di roccia maestosi, con molte incisioni, tra cui il bell'elefante qui sotto, di cui l'antico artista ha colto con acutezza le proporzioni e il movimento. Accanto, ma stupidamente non l'ho fotografato, ce n'era inciso un altro che era un evidente dimostrazione che non tutti gli antichi incisori erano altrettanto abili nel rappresentare un elefante....



Le serate al Campo, in quelle notti di luna piena, erano fantastiche, il deserto assumeva un aspetto ancora più fiabesco e misterioso e dava la sensazione che creature sovrannaturali, geni o folletti o divinità, potessero apparire da un momento all'altro, il canto monotono accompagnato dal suono di pignatte e latte da benzina usate come tamburi degli inservienti Tuareg, riuniti attorno al fuoco davanti alla loro tenda, contribuiva a quest'effetto di straniamento. Solo dopo un bel po' ci si rendeva conto che la temperatura si andava avvicinando allo zero.

Una sera i tuareg del campo ci hanno invitato a vedere fare il pane e a prendere il thè ... imbevibile: lo preparano con una sorta di lunghissimo rito, durante il quale viene passato infinite volte da un recipiente all'altro facendolo cadere dall'alto, finché non diventa quasi tutta schiuma, alla fine viene versato in minuscoli bicchieri, che risultano pieni per due terzi di una schiuma appiccicosa e dolcissima e per un terzo di un liquido scurissimo, denso, molto zuccherato e con un fondo di sapore amarissimo. Bevuto quello penso si possa tranquillamente sognare gli spiriti del deserto. Il pane, cotto nel frattempo sotto la brace, è una sorta di focaccia azzima alta tre o quattro centimetri con sopra e sotto una crosta un po' bruciacchiata.

Il terzo giorno è stato un lungo viaggio di trasferimento attraverso il deserto, prima su una pista sassosa, poi su un lungo nastro di strada asfaltata che scorre monotono attraverso ... il nulla.

Attraversando un uadi dove si è formata una sorta di oasi incontriamo i primi cammelli.



Picnic in un punto qualsiasi, con qualche cespuglio secco qua e là, e sempre quella meravigliosa aria asciutta e ventilata che ti fa sembrare il semplice respirare un atto ludico.
L'unica vera novità di quella monotona giornata è stata la comparsa dei primi mercatini Tuareg, che poi avremo spesso ritrovato in seguito.

In punti dove c'è abitualmente sosta di turisti tre o quattro tuareg abbigliati al solito modo (pantaloni ampi e sopra un lungo caffettano dello stesso colore, lo shesh, il caratteristico turbante fatto con una striscia di stoffa larga circa 80 cm. e lunga da 3 a 7 metri generalmente di colore contrastante coll'abito, che ognuno drappeggia artisticamente a suo modo, e sopra a tutto, se fa fresco, un giubbotto qualsiasi), accoccolati per terra ciascuno con davanti steso un pezzo di stoffa scura su cui sono sciorinati i loro articoli: portaprofumi in pelle di cammello, ciondoli in argento lavorati con bellissimi disegni, orecchini, collane di perle di vetro, ciondoli portafortuna in pietra nera, coltelli cesellati, e così via.

Il primo impatto è stato violento: dopo tre giorni di astinenza da qualunque tipo di acquisto ci siamo lanciati quasi tutti in estenuanti contrattazioni. La regola è farsi dire quanto vogliono, offrire meno della metà e, con lunghe trattative, a cui collabora anche l'autista e che comprendono l'andarsene mostrando assoluto disinteresse, l'associarsi con altri per un acquisto multiplo, il passare dai dinari agli euro fingendo di non accorgersi che il cambio è leggermente sfavorevole, arrivare a pagare poco più della metà di quello che avevano chiesto. Io mi ero casualmente messa in società con una simpaticissima signora di Trieste assolutamente spudorata che ha fatto un acquisto su larga scala ed abbiamo spuntato degli ottimi prezzi. Del resto, a quanto pare, loro se lo aspettano e un acquisto senza contrattazione li lascerebbe delusi.



Al crepuscolo siamo giunti a Germa ( che si può scrivere anche Jharma, Djerma, o in altri due o tre modi, o si può anche non scrivere affatto, come sulla carta della Libia comprata dalla mia compagna di viaggio, dove l'abbiamo cercata inutilmente....) per pernottare in un piccolo ma gradevole albergo.

Il giorno dopo siamo andati, con circa tre ore di jeep su un percorso abbastanza accidentato, allo uadi Mathendusc nel Messak Settafet. Lungo le pareti rocciose che delimitano questo uadi c'è un grandissimo numero di incisioni, soprattutto del periodo più antico, della Grande Fauna Selvaggia: elefanti, grandi bovidi dalle corna ricurve, di fronte a cui l'uomo è piccolo piccolo, rinoceronti, e perfino un coccodrillo, lungo ben due metri e venti, col suo piccolo. Vi sono però anche incisioni di un po' tutte le epoche: bellissime giraffe, della fase pastorale antica, struzzi, uomini-lupi, o licantropi, uomini con la testa di lupo che vengono rappresentati come cacciatori, strani esseri detti “gatti mammoni” o “diavolini”, del cui significato sicuramente simbolico non c'è ancora nessuna certezza. Compaiono anche le prime rappresentazioni di oggetti: una sorta di grande ruota, che si è invece potuto capire che era una trappola per cacciare grandi animali, poi carri rappresentati con le quattro ruote ribaltate: nel corso dei millenni gli abitanti dell'uadi hanno lasciato i loro messaggi e le loro tracce che ora sono lì, come un grande libro cifrato da leggere e interpretare. Per chi, come me, ci si accosta da profano, c'è soprattutto da ammirare la capacità di rappresentare con sintesi ed immediatezza i tratti caratteristici e il movimento degli animali, da cercare di immaginare il coraggio e la paura di questi piccoli uomini dotati di armi così rudimentali alle prese con i grandi animali selvaggi, il loro sforzo per costruirsi delle opportunità di sopravvivenza e, soprattutto, quella che i tedeschi chiamerebbero la loro kunstwollen, la volontà d'arte, che li ha portati a rappresentarsi ed a tramandare ai posteri momenti della loro vita.



Durante il lungo percorso di ritorno a Germa, è successa una delle cose più belle del viaggio.

La nostra jeep era, come al solito, isolata e stavamo chiacchierando per passare il tempo, quando io con la coda dell'occhio ho visto....”il fenec!”, ho gridato selvaggiamente. Con molta presenza di spirito Salem, invece di frenare ha rallentato in un'ampia curva, avvicinandosi alla piccola volpe. Lei è rimasta immobile e ci guardava, fortunatamente Roberto era nella posizione giusta e con un discreto obbiettivo ed è riuscito a scattare le foto che vedete. L'animaletto ci guardava e poi abbassava il muso, Salem le faceva “tst tst tst” e lei rialzava il muso a guardarci. Dopo una manciata di secondi (non so, il tempo si era un po' fermato) si è pian piano avvicinata alla tana e, improvvisamente, ci si è tuffata dentro ed è sparita.

Se non l'avessimo fotografata stenterei a credere di averla vista. Sono molto rare. Michele Biga, la giovane guida di cui trovate notizie qui sotto, mi ha detto che lui in sei stagioni nel deserto l'ha vista si e no cinque volte!

A Tripoli, l'ultimo giorno, nella Medina su un banco ne ho visto un paio di pelliccette, e mi ha fatto un gran rabbia e tanta compassione, per questo piccolo essere solitario che vive in un mondo così difficile, cibandosi di qualche lucertola e insetti, che, con le sue grandi orecchie sente muovere a distanza, ma che, stranamente, non aveva paura di noi.


La mattina dopo siamo partiti per i laghi salati. Si penetra nell'erg Ubari, l'erg è il deserto di sola sabbia, quello a dune che si vede solitamente nei film. Il paesaggio, nella sua sabbiosa omogeneità, è continuamente mutevole e i disegni delle dune, creati dal capriccio del vento sono bellissimi. Qua e là alcuni piccoli cespugli, la cui sopravvivenza appare incredibile, trattengono la sabbia a formare piccoli rilievi, ma sono sempre più rari. D'un tratto però, all'improvviso, superata un' ennesima duna, si apre un ampia vallata al cui fondo si intravedono delle piante (palme, tamerici, casuarine ed eucalipti, per lo più), ed è il primo dei laghi, che però è asciutto. Proseguiamo senza fermarsi verso i laghi veri, l'Umm al Maa e il Gabraun, circondati da una folata vegetazione e con un'acqua azzurro verde salatissima, ma di un salto amaro (io ovviamente l'ho assaggiata), del tutto diverso da quello dell'acqua di mare.

Sui laghi non c'è molto da dire, se non che sembrano impossibili, preferisco lasciar parlare le immagini.




Nel primo pomeriggio siamo ripartiti per quella che era la fase conclusiva delle nostre giornate nel deserto: più di tre ore di traversata dell'erg, una duna dopo l'altra, senza diversivi di sorta.

Da piccola non mi hanno mai permesso di andare sulle montagne russe, ma in quelle ore me ne sono veramente tolta la voglia: le dune in pratica hanno un dorso, che il vento forma portando su la sabbia finché si forma un colmo da cui la sabbia precipita abbasso, con una pendenza molto maggiore di quella del dorso. L'auto affronta il dorso a velocità sostenuta per non insabbiarsi, obliquando se la pendenza è troppo forte (infatti a volte si arena e si deve tornare indietro e prenderla più alla larga), arriva fino al sommo e poi... precipita a valle! La discesa è più che a quarantacinque gradi (si pensi che le scale di casa sono a trenta).

Ad un certo momento due delle jeep si erano arenate sulla cresta di una duna, e noi che eravamo arrivati giù prima, tutti lì come avvoltoi con le macchine fotografiche.... una vergogna! Peraltro ho il sospetto, dato che uno degli incagliati era proprio il capo carovana, che l'avessero fatto un po' apposta per dare un piccolo brivido. Un paio di persone si sono comunque sentite male.

Per una strada asfaltata fiancheggiata da scarichi di demolizioni edilli e immondizie varie, in un tramonto spettacolare siamo giunti a Seba, una cittadina nel deserto, da dove abbiamo preso l'aereo per tornare a Tripoli, a vedere Leptis Magna e il bel museo, di cui non vi parlo perché ve ne ho già parlato nel 2001.



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Alcune informazioni pratiche.

  • In Libia non si può andare come viaggiatori indipendenti.
    E' indispensabile fare capo ad un agenzia libica, o direttamente o tramite un'agenzia italiana, comunicare il proprio percorso e attenervisi.
  • Si possono fare viaggi in poche persone, anche con auto propria (dall'Italia via Palermo - Tunisi e poi via terra in Libia) ma si deve comunque avere un accompagnatore, una sorta di poliziotto borghese, che viene ovunque (al lago di Gabraun c'erano due tedeschi con macchina propria e tenda sul tetto dell'auto, col loro bravo accompagnatore).
  • L'agenzia che gestisce il campo Dar Auis nell'Acacus, dove sono stata io, è l'italo-libica Dar Sahara, che ha una sede a Milano, il telefono è 02 58312 468.
  • Il campo Dar Auis è il più grande e organizzato, ma nell'Acacus ve ne sono altri tre (si sussurra che nel campo Magic le docce abbiano l'acqua calda).
  • Uno degli accompagnatori locali della Dar Sahara, che ho conosciuto perché accompagnava una comitiva che pernottava nello stesso campo e negli stessi alberghi, è Michele Biga, un giovane brianzolo, che da sei anni fa la stagione, da ottobre a maggio, nel deserto.
    E' simpatico, molto preparato e gentilmente mi ha dato la sua disponibilità a dare informazione ai Vagabondi che glie ne chiedano '); document.write('via email' + '.'); // -->

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  • La ditta che ha provveduto le nostre fuoristrada è la Alaway Tours, contattabile al suo sito: www.alawaytours.com.
  • Alcuni degli autisti della ditta sono anche accompagnatori autorizzati (il nostro autista era uno di questi), cosicché, volendo, si può andare in quattro noleggiando la fuoristrada con uno di loro, sul costo c'era un certo riserbo, ma ho capito che deve aggirarsi sui 150 euro al giorno.
  • Il nostro autista è stato Salem Zidan, che nella ditta suddetta ha il box 18890, e lo raccomando con tranquillità perché è stato veramente bravo e gradevole.

Le foto siglate FD e quelle non siglate sono di Fiamma; le foto siglate RS e le due del fenec sono di Roberto Sanmarchi.
Se su un argomento volete saperne di più o se avete qualcosa da proporre scrivetemi, io rispondo sempre!


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