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Venerdì, 23 Maggio 2008

Botswana, Il delta dell'Okavango

L'Okavango è un fiume che invece di sfociare in mare si disperde in una palude che ha una superficie di circa 15.000 kmq e che termina nel deserto del Kalahari. In realtà è una cosa molto diversa dalle paludi che conosciamo...

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Fiamma

L'Okavango è un fiume che invece di sfociare in mare si disperde in una palude che ha una superficie di circa 15.000 kmq e che termina nel deserto del Kalahari. In realtà è una cosa molto diversa dalle paludi che conosciamo...





Sono profondamente grata al mio amico Roberto che, quando programmavamo il nostro viaggio, ha insistito con determinazione per concluderlo nel delta dell'Okavango, in Botswana.

(Leggi la prima parte, il viaggio in Namibia).

L'Okavango è un fiume che invece di sfociare in mare si disperde in una palude che ha una superficie di circa 15.000 kmq e che termina nel deserto del Kalahari. In realtà è una cosa molto diversa dalle paludi che conosciamo. Ha il fondo prevalentemente sabbioso, cosicché le acque sono sempre limpide o quasi, ci sono vaste zone asciutte, grandi isole, piene di vegetazione in cui vivono elefanti, antilopi, zebre, leoni e così via, e ci sono zone prevalentemente umide, dove vegetano canne e fioriscono ninfee, abitate da timidissimi ippopotami, pesci gatto giganti, ranocchiette lunghe un centimetro e mezzo..... Aironi, garzette, aquile, buceri, anatre selvatiche, pappagalli, martin pescatori, storni, e tanti altri trovano lì il loro habitat naturale.

Da Johannesburg in aereo siamo arrivati a Maun, cittadina del nord ovest del Paese, punto di passaggio obbligato per andare nel Delta, da lì con l'aereo che vedete nella foto siamo atterrati all'ora di pranzo su una pista sabbiosa in mezzo alla vegetazione, dove ci aspettava una guida con la camionetta. Un tragitto di circa un'ora su piste piuttosto approssimative ci ha portato al Mapula Lodge, dove abbiamo alloggiato, che è quello che più si avvicina all'idea che uno si fa di un lodge africano, tra l'altro ospita poche persone alla volta ed è situato al bordo dell'acqua, cosicché i timidi ippopotami, di cui di giorno si vede solo da lontano le narici che affiorano sull'acqua, di notte arrivano fino alle capanne dove si alloggia e se ne sente il passo pesante (le capanne non hanno infissi, ma solo una rete anti-zanzara).

Il paesaggio è bellissimo e completamente diverso da tutti quelli, pure assai variati, che abbiamo trovato in Namibia. C'è molta più vegetazione, soprattutto alta e delle zone sono proprio boscose. Qua e là dappertutto le tracce del rovinoso passaggio degli elefanti: cadaveri di alberi divelti e riversi al suolo, anche qui la concentrazione di questi bestioni è assai alta e crea dei problemi con cui il governo sta tentando di fare i conti.



Qui la democrazia è un po' più adulta di quella namibiana: il paese ha ottenuto l'indipendenza nel 1966, e gode di una politica molto avveduta che consente ai suoi cittadini di beneficiare delle imponenti risorse minerarie del paese (principalmente diamanti). Uno dei problemi più seri è quello della forte diffusione dell'AIDS, contro cui il governo si batte attivamente con ampie misure sia di cura che di prevenzione.

Ovviamente essendoci stati solo tre giorni e avendoli passati in mezzo alla natura, i nostri contatti con la popolazione sono stati del tutto insignificanti, limitati a quelli col personale del lodge, che peraltro era l'unico di quelli dove siamo stati gestito da un nativo, dove alcuni del personale in genere ai pasti sedevano democraticamente a tavola con noi. Il capo, con una moglie grassa e cordiale, era un tipo dall'aria molto sveglia che fisicamente faceva pensare a quei personaggi neri dei film americani che gestiscono locali un po' equivoci e fanno sempre il doppio gioco. In realtà era una persona molto gradevole, che però è stato monopolizzato da una coppia di fotografi che ha dovuto portare in giro tutto il tempo uscendo la mattina all'alba e rientrando tardi la sera. Dato che il lodge dispone di due gipponi come quello che vedete nella foto per andare in safari, all'inizio ci ha chiesto se preferivamo andare con i due fotografi o con una famiglia inglese con due bambini. Il mio ragionamento, approvato dagli amici, era stato che c'era una possibilità che i bambini fossero educati, mentre i fotografi erano sicuramente maleducati, perciò abbiamo scelto la famigliola, ed è andata benissimo: i bambini erano simpatici e per niente lagnosi.


Si sono comportati benissimo anche quando una elefantessa capobranco che la guida non aveva notato è sbucata fra gli alberi e ci ha puntato contro con le orecchie spalancate e l'aria feroce perché secondo lei ci eravamo avvicinati troppo. Per fortuna poi si è calmata, perché con la sua mole rovesciare la nostra camionetta sarebbe stato uno scherzo. Io sono riuscita a farle una foto, ma, come potete vedere è leggermente mossa...

La guide, quando si va a fare questi safari sono sempre due, sono molto professionali, gentili e preparate, e anche molto entusiaste del loro lavoro, per cui non badano affatto all'orario: dicono "stasera torniamo presto" poi in realtà si torna sempre che fa buio e irrigiditi dal freddo, stringendosi l'uno all'altro sotto certi provvidenziali mantelli cerati in dotazione alla jeep.



Il gestore con i suoi fotografi andava in avanscoperta e se c'era qualcosa di particolarmente interessante chiamava il nostro autista con la radio; è stato così che abbiamo potuto vedere una famiglia di licaoni, animali riservati e diffidenti, che noi abbiamo guardato con discrezione, mentre i due fotografi gli hanno rotto le scatole per un sacco di tempo.... indubbiamente avranno delle foto migliori delle nostre...



Un'altra sera eravamo convinti di tornare presto, ma verso il tramonto, dopo aver confabulato col radiotelefono, la nostra guida, visibilmente emozionata ci ha detto che gli altri avevano trovato un pangolino, animale rarissimo, che lui non aveva mai visto e che se noi eravamo d'accordo nel fare una corsa attraverso la boscaglia saremmo andati a vederlo. Come deluderlo? Abbiamo acconsentito. Allora scrutando nel buio i nostri due sono partiti in una corsa pazza zigzagando tra cespugli, alberi e carcasse di alberi distrutti dagli elefanti, sbagliando ogni tanto strada e dovendo tornare indietro, mentre noi ci aggrappavamo a certo tubo di ferro per non essere sbalzati fuori dalla camionetta e l'aria diventava sempre più gelata. Alla fine siamo sbucati in una piccola radura dove i soliti due fotografi con attrezzatura superfetata e torce, assediavano da tempo il povero pangolino, il quale non aveva trovato di meglio che tirare la testa sotto la corazza in attesa che passasse quella che, immagino, deve essere stata la peggior serata della sua vita.

Devo dire che arrivavamo sempre a cena piuttosto affamati e che il cibo era ottimo, ben cucinato e fantasioso, il pane fatto proprio da loro era una delizia. L'ultima sera tutto il personale, guide incluse, si è scatenato in una danza molto folkloristica, ma il bello anche qui era che non avevano affatto l'aria di farlo a nostro uso e consumo, né hanno cercato turisticamente di coinvolgerci, ma aveva proprio l'aria di una cosa che facevano per loro proprio divertimento.



Una mattinata l'abbiamo passata solo noi quattro, senza inglesi (tra l'altro il padre era di origine italiana, un tecnico informatico di alto livello, e si erano trasferiti da qualche mese in Liguria), in un safari a piedi con le due guide, una delle due col fucile a scanso di incontri pericolosi, vedendo da vicino piante, orme, termitai, un giovane baobab, in un aria limpida e con un clima gradevolissimo senza ombra di zanzare o altri insetti molesti.



L'ultima mattina prima di partire abbiamo fatto nella palude un giro in mokoro, una canoa a fondo piatto dove si va in tre, due passeggeri e un rematore. La canoa si muove silenziosamente tra le canne e le ninfee, qua e là delle fasce di vegetazione malconcia raccontano il passaggio degli ingombranti ippopotami di cui, dove l'acqua è più profonda e forma una sorta di lago, si vedono le narici a fior d'acqua. Sono molto pacifici, ma non è il caso di avvicinarli, non amano essere disturbati. A un certo momento la guida dell'altra canoe ci ha chiamate per vedere una ranocchia, io ci ho messo un bel po', perché non immaginavo si trattasse di un essere così piccino, poi ne abbiamo viste diverse altre.






Infine siamo sbarcati su un pezzo di terraferma dove crescevano, molto alti, gli alberi delle salsicce, ovvero la Kigelia africana, una bignoniacea dai grandi fiori rosso-violaceo che produce dei frutti, non commestibili, lunghi 30-40cm che sembrano proprio dei salami.



Al ritorno, dopo una delle solite squisite colazioni a mezza mattina, del tutto a malincuore abbiamo ripreso l'aereo per Maun. Unica consolazione il fatto che l'aereo, un pochino più grande di quello dell'andata e con finestrini più ampi, doveva passare a lasciare due persone ad un altro lodge, e quindi ha fatto un ampio e panoramico giro sul delta...

Altre foto del delta dell'Okavango, in Botswana.

Il racconto del Viaggio in Namibia

Le foto del Viaggio in Namibia

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