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Lunedì, 27 Aprile 2009

Bolivia. Dalle cime della Cordillera Real, agli immensi deserti salati

L'altipiano boliviano è proprio in mezzo a Sud America. Non solo dal punto di vista figurativo ma dal punto di vista geografico. Un altipiano, quello boliviano, che si trova tra i 3000 e i 4000 metri ed è uno di quei posti dove si va senza fretta.

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L'altipiano boliviano è proprio in mezzo a Sud America. Non solo dal punto di vista figurativo ma dal punto di vista geografico. Un altipiano, quello boliviano, che si trova tra i 3000 e i 4000 metri ed è uno di quei posti dove si va senza fretta. Così, anch'io, senza fretta da La Paz raggiungo Tupiza, l'ultima cittadina a sud della Bolivia, punto di partenza del tour che ha come obiettivo la visita dei deserti e dei salares.

Tupiza

Tupiza, situata a 2700 metri di altezza, è la classica cittadina dove non c'è nulla se non qualche viaggiatore che la prende come punto di partenza per andare verso l'Argentina o il Cile. Lo stesso Hotel Mitru che le guide danno come il migliore non è altro che un luogo dove c'è difficoltà a trovare un caffé. Fuori non è meglio. C'è solo il mercato che poi, dato che cercano di vendere le stesse mercanzie, va a finire che tutto diventa un baratto.

Tour dei Salares

1° giorno: Il programma odierno prevede un percorso di oltre 12 ore che mi porterà attraverso El Sillar a Nazarenito, Laguna Morejon, Riserva Avaroa ed infine a Quetena Chico. Si parte in jeep ed oltre agli autisti nel nome di Eddy e Javier c'è anche la cuoca Marcela. Qui si usa così. La cuoca, essendo i posti dove andiamo dei rifugi, ci farà da mangiare la sera.

Prima tappa sono le Quebrada de Palala, un grande deposito alluvionale disseminato di notevoli formazioni color rosso. Quindi, ecco El Sillar un crinale incassato tra due vette e due valli. In questa zona, sui fianchi delle montagne sono stati scavati frastagliati anfiteatri, erosi a forma di guglia.

Tra un paesaggio in cui si vedono molti lama si attraversa Nazarenito, un piccolo pueblo dedito all'estrazione dell'oro che oramai è pura fantasia dei pochissimi abitanti.

Superato il paese fantasma di San Antonio posto a 4680 metri, in passato assai florido per l'estrazione di minerali si sale ancora sino al passo di 4960 metri che si affaccia sulla Laguna Morejon. Tira un vento gelido e non ci fermiamo molto. Il sole cala ed è buio pesto quando entriamo nella Riserva Avaroa, una delle regioni più inospitali della terra ed arriviamo a Quetena Chico dove ci sistemiamo in grandi stanzoni.


2° giorno: Caricati i bagagli, e dopo aver attraversato Quetena Grande, proseguiamo per il Salar de Chalviri le cui acque piene di minerali ospitano un gran numero di fenicotteri e anatre.

Attraversiamo le bofedales, praterie alluvionali acquitrinose, dove pascolano molti lama, vigogne e nidificano diversi uccelli. Superato un valico di 5000 metri si incontrano le enormi Rocas de Dali, chiamate così perché sembrano essere state meticolosamente disposte dal maestro del surrealismo. Lungo le affascinanti distese incontriamo molti laghi ricchi di minerali il cui nome popolare richiama la strana colorazione: laguna Bianca, laguna Amarilla, laguna Guida e la bellissima Laguna Verde, dall'incredibile colorazione dovuta all'alta concentrazione di piombo, zolfo ed arsenico. Il vento gelido agita le acque dando origine ad una brillante spuma verde e bianca. Dietro si specchia il maestoso Volcan Lincancabur, 5960 metri, dove si dice un tempo esisteva un'antica pista inca.

Ma tempo per la fantasia è poco e allora via verso la Laguna Polque, dove, sfidando temperature glaciali e venti andini, ci tuffano nella calde acque termali. La cuoca, nel frattempo, prepara il pranzo all'interno del rifugio.

Ripartiamo alla volta dei geyser di fango Sol de la Mañana. Posti a 4850 m di altitudine, sono dei calderoni impressionanti di fango in ebollizione, con esalazioni nauseabonde di zolfo.

Superato un nuovo passo a 5200 metri, sarà il punto più alto del giro, arriviamo alla Laguna Colorada (4278 metri), un lago tutto rosso per le alghe e il plancton esistente nell'acqua. Ha un'estensione di 60 kmq ma con soli 80 cm d'acqua nel punto più profondo dando modo così a un elevato numero di fenicotteri di stazionare durante tutto il periodo dell'anno.

E oramai sera quando arriviamo al vicino Hostal Las Rocas dove ci sistemiamo in un rifugio molto spartano.



3° giorno: Assistere al sorgere dell'alba a Laguna Colorada è come contemplare il mondo il giorno dopo la sua creazione. Il silenzio è profondissimo ed il freddo sembra riuscire a far ammutolire persino il vento che per tutta la notte ha fischiato senza tregua.

Nel cielo, così vicino l'incredibile fulgore delle stelle, resiste a lungo prima di cedere alla luce rossastra che dilaga dalle cime dei circostanti vulcani.

La laguna, che avevo visto di sfuggita il pomeriggio prima, fa onore al suo nome e comincia, giocando con la luce, il suo fantastico variare di colori. Il paesaggio, nella luce prepotente di queste altitudini, offre dopo i delicati ori dell'alba, trasparenze eccezionali fino alle più incalcolabili lontananze. La laguna è costeggiata da spiagge candide che paiono coperte di neve e nel mezzo, in vivido contrasto con il grigio rossastro delle montagne e con il rosa dei fenicotteri, sembrano flottare scintillanti isole bianche come lastre di ghiaccio.

Per ore cammino con circospezione su una fragile crosta delle lagune Ramaditas, Honda, Charcota, Herionda, Canapa a riprendere e a fotografare i fenicotteri che, mi dicono, sono di tre specie: Andini, Cileni e James.

Puntiamo, quindi, verso nord. Attraversiamo l'affascinante Pampa del Siloli con sosta all'Arbol de Piedra, una strana roccia scolpita dal vento.

Attorno la catena delle Ande rende ancor più fantastici questi luoghi mentre il vento, insistente e gelido, anche oggi è il nostro compagno di viaggio. Una sosta per il pranzo e quindi via lungo le disseminate piste di questo luogo rimasto per certi versi ancora intatto offrendo al visitatore il pensiero dell'avventura. Attraversiamo il Salar de Chiquana dominato dal vulcano Ollaque (5865 metri) che essendo ancora attiva da la possibilità di vedere le fumarole.

Proseguendo si incontra San Jaun, un villaggio di poche centinaia di abitanti e quindi arriviamo all'Hotel del Sal, ad Atullcha. Tutto costruito con mattoni di sale da un aspetto magico all'ambiente che ci circonda. Le camere da letto, i comodini, le tavole le sedie tutte fatte di sale.



Il Salar di Uyuni

4° giorno: La giornata si preannuncia indimenticabile. Il vento è cessato improvvisamente ed il sole risplende oggi più di sempre. Siamo pronti molto presto, tutti in attesa per quella che viene considerata, forse, la giornata più bella del viaggio. In circa mezz'ora siamo all'entrata del salares. Dopo alcuni chilometri, tutto intorno, si presenta nella sua unicità il bianco accecante di una distesa di 12.000 kmq, la più vasta al mondo, che ci avvolge come un mantello di neve.

La pista è una breve traccia e vi si corre con piacere. Ma via via che si accumulano i chilometri, dieci, venti, cinquanta, un'inquietudine si fa strada nell'animo. Si prende coscienza del gelido nulla bianco che ci circonda. Di tanto in tanto qualche mucchietto di pietre marca il percorso della labile pista. Servono a orientarsi soprattutto nel periodo delle piogge che va da novembre a ad aprile. Dunque, mentre lo stiamo attraversando. Ed è questo il periodo in cui il Salar si ricopre di uno strato d'acqua che va da pochi centimetri a mezzo metro. Ma è anche il momento in cui il Salar si trasforma in uno specchio perfetto nel quale ogni cosa esattamente si riflette e raddoppia. Allucinante ma questo è il Salar de Uyuni.

E siamo a Colchani, un altro luogo senza dubbio fantastico. Dominato dal Vulcano Tunupa (5.400 metri), il villaggio è stimato in 20 famiglie anche se, quando arrivo, è deserto. A parte qualche gruppo di lama e di fenicotteri davanti a noi c'è il bianco più assoluto del salares mentre in lontananza quasi irreali spuntano le Ande.

Preso alloggio nell'Hostal si parte verso il mirador del Tunupa. Una leggenda narra che sulle sue pendici Atahualpa sfregiò il seno di una donna di nome Tumula e che il latte che ne sprizzò diede origine al salar. La salita in ogni caso è facile e il panorama splendido.



5° giorno: Fatta colazione si parte per il Salar de Coipasa, molto più piccolo ma altrettanto bello, ove assistiamo all'estrazione del sale, fatta totalmente a mano.

Tutte le mattine, ma non troppo presto, perché il freddo non lo permetterebbe, i salinari di Coipasa vanno a prendersi un po' di sale da quello strepitoso deposito. Vanno a piedi o in bicicletta. Con pala e piccone raschiano la parte superiore della crosta, più fragile e la accumulano in tanti mucchietti. Poi la caricano sui camion. E' quella che chiamano "flor de sal", praticamente cloruro di sodio puro: basta macinarlo ed è pronto al consumo.

Visti da vicino, i poveri salinari sembrano terroristi con quegli occhiali neri e il passamontagna. Da lontano assomigliano piuttosto a nere formichine perdute in una iperbolica distesa della quale scalfiscono appena l'immensità. E così tutta la vita, un colpo d'ascia dietro l'altro. Poi arrivano i camion e si portano via il "pan". Una volta non erano i camion a trasportare il sale, ma i campesinos con i lama. Si formava la carovana e si andava verso le valli, da giugno ad agosto, a scambiare il sale con il mais, i prodotti che la terra avara dell'altopiano non produce.


Fatta una sosta pranzo raggiungiamo il confine, località Colchane, dove salutiamo gli autisti e cuoca. Quindi dopo una tappa a Oruro siamo di nuovo a La Paz.


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