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Mercoledì, 26 Novembre 2014

Belgrado, la storia è presente

Entrare a Belgrado può far pensare all'entrare in una casa di un compound di Pechino, dove le pareti grigie e le strutture fatiscenti degli edifici nascondono i piccoli tesori che sono gli appartamenti cinesi. 

ARTICOLO DI

MatMar

 Il volo da Milano a Belgrado non lascia sicuramente il tempo di immaginare la città. In poco più di un'ora l'airbus dell'AirSerbia atterrava all'aeroporto Nikola Tesla. Un veloce timbro sul passaporto ed ero entrato nella Repubblica Serba.

Graffiti - Welcome

Uscito dall'aeroporto mi si presentano i classici tassisti avvoltoi per offrirmi un passaggio in città “non ci sono navette”, dice l'uomo sulla cinquantina, “per 2000 dinari di porto in centro”. Naturalmente i pullman ci sono, ma l'idea di aspettare un'ora non mi alletta moltissimo. Mi avvicino ad un'altra coppia di italiani impegnati in una contrattazione con un altro tassista. mi aggrego a loro e riesco a spuntare un prezzo leggermente maggiore della navetta.

La super strada che collega l'aeroporto alla città è semi-deserta, eppure riusciamo a rischiare il primo incidente mortale; il tassista si fa il segno della croce ed una mia risata chiude la spiacevole parentesi.

Ada bridge

Passiamo il fiume Sava ed in pochi minuti arrivo in albergo. Il tassista mi guarda e chiede “Slavija Hotel?” io annuisco, “good! It's cheap!”, mi fa.

Il quartiere sembra vivo, coppie passeggiano a braccetto ed un sacco di giovani si muovono in tutte le direzioni nonostante sia quasi mezzanotte, d'altronde è ferragosto.

L'hotel Slavija è un casermone di cemento di sedici piani costruito nel 1962 e a quanto pare mai più toccato da allora; la lobby da Grand Hotel ed il casinò si spartiscono il piano terra e quattro ascensori senza porte interne conducono ai piani superiori. Mi assegnano una stanza al quindicesimo piano, pulita ma senza pretese, neanche minime. La vista sulla città è magnifica. Poso le valige e mi fiondo fuori. Non c'è niente di meglio che iniziare il mio soggiorno a Belgrado con una birra al pub, posto perfetto per conoscere un po' di gente locale.

yugo 

Ci sono due cose che saltano all'occhio camminando per le vie di Belgrado, la quantità di parchi e il gran numero di giovani che arrivano qui da tutta la Serbia. Le strade sono stracolme di gente, ragazze in shorts e all-stars passeggiano percorrendo Kralja Milana, in direzione centro città.

Come mi ha spiegato un amico di Raška, una cittadina del sud, vivere a Belgrado è costosissimo. “Sono venuto qui per completare i miei studi”, mi racconta Marko, “ho trovato un lavoro come vigilante e condividevo la stanza con un'altro ragazzo. Era un periodo orribile, il mio coinquilino aveva tre serpenti e quando non c'ero se ne andavano in giro per la stanza. Pagavo diecimila dinari al mese e in più il disgusto di vedere topi finire nella bocca dei rettili una volta alla settimana. Appena ho potuto mi sono trasferito, pagavo un po' di più, ma almeno non avevo esseri striscianti per casa!

In quegli anni i miei studi sono andati a rilento e i trecento euro che guadagnavo mensilmente erano dimezzati dall'affitto. Che senso ha lavorare tutti i giorni e a fine mese chiamare mio padre per farmi dare altri soldi? Così dopo sei anni nella capitale sono tornato a casa”. La storia di Marko è una delle tante storie di ragazzi Serbi, portati nella capitale dalla monotonia che si respira in gran parte del paese.

Bambina Roma di fronte alla chiesa di San Marco

Se si lascia la via centrale che porta al Kalemegdan, il più grande parco cittadino, gli edifici perdono la loro magnificenza così come perdono l'intonaco. Gradini divelti e palazzi dalle facciate scolorite lasciano intendere un'ormai passata grandezza. C'è la sensazione di una città che tenta di risollevarsi, ma è chiusa nella morsa della corruzione. Dall'altra parte del fiume Sava c'è la città nuova, quella che si vede arrivando dall'aeroporto. Costruzioni in vetro, Shopping-Malls, uffici, ma anche zone popolari.

Panorama dal Kalemegdan

Per chi arriva in città da ovest, il primo edificio che si fa notare è la Genex Tower. Con i suoi 115 metri d'altezza e la sua forma a cancello è considerata da molti uno dei peggiori esempi di architettura brutalista mai realizzati. Personalmente l'adoro! L'area che circonda il grattacielo, è una zona popolare, la torre più alta è ancora abitata, ma è conciata decisamente male. La pavimentazione del cortile è distrutta, vetri rotti e graffiti di dubbio gusto disegnano il piano rialzato. Incontro una ragazza che sta portando a spasso il cane, è del luogo. “Quando ero piccola”, mi racconta in un inglese impeccabile, “venivo a giocare qui con un'amica, scherzavamo immaginando che prima o dopo il nostro presidente l'avrebbe rasa al suolo!”.

 Genex Tower vista da sotto

La prima notte passata a Belgrado avevo conosciuto due ragazzi di ventun anni che avevano messo firma nell'esercito per quattro anni. “Ci insegnano a utilizzare le ultime tecnologie, a guidare ogni tipo di mezzo”, mi racconta Vladimir. Parliamo di Serbia, di Kosovo, di Macedonia. “Lascia che ti dica una cosa sulla Macedonia,” fa lui, “è una nazione controllata da noi”, dice, “sono tutti serbi lì”. Difficile da credere dal momento che dalle ultime statistiche la percentuale di etnia serba non arrivava al 2% della popolazione.

Chi è nato negli anni ottanta, ha visto cambiare nome al proprio paese quattro volte. Nel 1991 la Slovenia e la Croazia dichiaravano la propria indipendenza, poi la Macedonia, un'anno dopo la Bosnia e nel 2006 era il momento del Montenegro, mentre il Kosovo è ancora sul tavolo del dibattito internazionale, ago della bilancia per l'entrata della Serbia in Europa.

Una cosa va detta, dopo tutti questi cambiamenti i serbi rimangono un popolo unito. Più di qualcuno mi ha detto “sembra che tutti ci odino, sembra che qualsiasi cosa facciamo, crei un terremoto internazionale”. Avevo sentito parlare del “senso di autocommiserazione” che pervadeva la nazione, ora né ho la conferma. D'altronde una storia così travagliata non può che generare domande a cui nessuno sembra poter dare una risposta plausibile.

When you are good no one remembers you

La faccenda Kosovara, i segni lasciati dai bombardamenti e le ripercussioni sulla salute delle persone portate dall'uranio impoverito, non riescono a far voltare pagina a questo paese. Il 24 marzo del 1999 la NATO dava il via all'operazione Allied Force soprannominata dai serbi “Angelo misericordioso”, Belgrado venne bombardata per 78 giorni. I bombardamenti colpirono obbiettivi considerati strategici, non vennero risparmiati ponti, aeroporti e televisioni.Le operazioni chirurgiche fecero più di cinquecento vittime tra la popolazione civile in tutta la Serbia, inclusi tre giornalisti cinesi che morirono nella loro ambasciata colpita erroneamente da cinque missili teleguidati.

Esco dall'albergo e percorro ulica Nemanjina, la strada che conduce alla stazione centrale, davanti a me si apre uno scenario post apocalittico. Due grossi palazzoni completamente distrutti mi si presentano ai due lati della strada e mi fanno capire ciò che è stata la portata dei bombardamenti. Quelli che nelle ricerche online vengono confusi con il Ministero della Difesa Jugoslavo erano in realtà le sedi del comando militare e del servizio segreto militare, naturalmente obbiettivi primari dei bombardamenti. I due edifici simbolo dell'architettura post-bellica e progettati per ricordare i canyon sul fiume Sutjeska vennero completamente sventrati. Sono ancora lì, con le loro pareti pericolanti, come lì rimane la sede della televisione, sventrata anche lei, a poco più di un chilometro di distanza, racchiusa tra i due nuovissimi edifici che ne hanno rimpiazzato il ruolo. Nel cercarla chiedo informazioni ad un uomo sulla quarantina, “dovrebbe essere qui dietro,” mi dice, “perché ricordo che il prete della piccola chiesa russa all'angolo aveva recuperato i cadaveri sotto le macerie”. Giro l'angolo e mi trovo davanti una lapide in pietra con scolpita una parola “zašto?", "perchè?", già... perchè?

sede del comando militare

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