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Venerdì, 5 Dicembre 2014

Beata l'anima del contadino

Come fare per perdersi per ore in una sterminata risaia cinese? 
Ecco un breve e semplicissimo manuale di istruzioni. Se pensate che la Cina sia troppo hardcore potete esercitarvi a Vercelli.

ARTICOLO DI

Abbattetela

Se qualcuno tra voi, per caso, si stesse chiedendo come fare per perdersi per ore in un’immensa risaia cinese, qui troverà le risposte ai propri interrogativi.

1)      Per prima cosa bisogna trovarsi in una campagna cinese, se non altro perché in città le risaie non ci sono.

2)      Poi bisogna procurarsi una bicicletta.

Poi fatemi pensare… basta così. Campagna e bicicletta, il gioco è fatto. Io e il fido G. ci troviamo a Yangshuo, una cittadina carinissima non lontana da Guilin. Yangshuo è circondata da montagne e colline gorgoglianti di vegetazione, ma la cosa bella per i pigri come me, è che le strade e i sentieri che si dipanano nella campagna, tra le risaie e i campi, sono meravigliosamente piatti – un po’ come le mie tette –  ideali per essere attraversati in lungo e in largo senza stancarsi troppo. L’unica differenza è che le mie tette sono sì piatte, ma meno sterminate, ecco.

Io e il fido G. siamo molto entusiasti all’idea di esplorare i dintorni, perché siamo convinti che finalmente riusciremo a scorgere quel pezzetto di Cina che sogniamo da tanto tempo, e che a Shanghai ci è negato. Ci sentiamo così bucolici che sprezzanti dei 40 gradi all’ombra inforchiamo le nostre bici equipaggiati di: 1 bottiglietta d’acqua da mezzo litro a testa e 1 zaino pieno di cose inutili, che il fido, da bravo cavalier servente, porterà per tutto il tragitto, e che gli lascerà sulle spalle un delizioso marchio a fuoco per le settimane successive. Ora, io non ho alcun senso dell’orientamento, e quando dico nessuno vorrei che mi si prendesse sul serio almeno per una volta: più volte ho pianto disperata al centro di molteplici incroci, pure a uno che sta a cento metri da casa mia, giuro. Il fido G. invece si orienta con le stelle, fiuta il vento e intuisce i punti cardinali come se fosse stato allevato dai lupi nella tundra. Quindi, quando noi due si va in giro insieme, io mi affido in maniera totale e incondizionata a lui, tiè.

E’ evidente che stavolta qualcosa dev’essere andato storto. Ma ce ne accorgeremo quando sarà già troppo tardi.

Le prime ore infatti, trascorrono in una sorta di ipnosi estatica che ci fa esclamare a ogni piè sospinto: “Toh, un contadino; toh, un bufalo; toh, una merda di vacca sotto la suola, non è fantastico tutto ciò?” e a gioire come ebeti all’eventualità di pisciare in mezzo alla strada, tanto chi ti vede? Queste prime ore le vogliamo ricordare così: incoscienti e sbarazzine. Di queste prime ore ricorderemo i seguenti dialoghi realmente avvenuti:

1)      Io: “Fido, ma cos’è questa puzza di merda?” Fido G: “Puzza di merda”.

Concretezza francese. Irreprensibile.

2)      Fido G.: “Agata, chiedi al contadino come si chiama la sua mucca!”

Agata: “Salve signor contadino, come si chiama la sua mucca?”

Contadino: “Mucca”.

Pragmatismo Contadino. Ineccepibile.

Dopodichè è il buio. Dove siamo? Quanto abbiamo pedalato? Siamo arrivati in Vietnam? Impossibile accertarlo. Stiamo vagando in mezzo ai campi da ormai sei ore, le magre scorte d’acqua sono finite, il paesino che dovevamo raggiungere non c’è. Da nessuna parte. Non esiste. Siamo sudati. Io sono scottata dal sole, il fido è carbonizzato. E non c’è nessuno a cui chiedere indicazioni. Persino il fido G. perde per un attimo la sua solita compostezza: “putain, che risaia del cazzo”. E’ la fine.

Poi la scorgiamo, in lontananza: una casa spersa in mezzo al niente, dobbiamo raggiungerla. Dentro ci sono degli esseri umani, siamo salvi! Do fondo a tutto il mio cinese e chiedo a una signora seduta sulla soglia: “Signora, dobbiamo andare a Ligong, tu lo sai dov’è?” Mentre apre la bocca per rispondermi, da dietro sbucano venti persone, puff! marito, figlie, figli, nuore, generi, nipoti, cugini vicini e lontani,  serpenti, galline, cani e gatti. Tutti, contemporaneamente, rispondono: ognuno una cosa diversa. Nel corso della conversazione oserò fare altre tre domande, e verrò investita da una scarica di millemila risposte a 25 milioni di decibel che mi lasceranno a terra stordita, più morta che viva. Finalmente prende la parola lui, il contadino più sorridente del mondo, nonostante non abbia quasi più denti: ci offre di accompagnarci alla riva del fiume, che “è a due passi”. E’ lì che realizzerò quanto i due passi contadini siano profondamente discordi rispetto ai due passi cittadini. Ci lanceremo infatti in un percorso di guerra tra i campi della durata di un’ora, su sentieri così stretti che una persona e una bici insieme non ci passano, ortiche, rami che accecano, in bilico sul bordo del fiume che dobbiamo ancora attraversare (come?!), sassi, polvere, caldo e sudore. Poi il contadino sorridente ci dice che siamo arrivati (dove?!), ci indica qualcosa al centro del fiume, mi chiede se ho capito e io dico di sì anche se non ho capito una mazza ferrata di niente, e poi se ne va. Non saprà mai che comunque vadano le cose, ogni sera pregherò ancora per la sua anima. E’ a quel punto che capisco che quella cosa al centro del fiume è una barchetta di bambù: “Pescatore salvaciiiiiiiiiii” urlo dalla riva in cinque lingue mentre mi si perfora un polmone. Dopo cinque lunghi minuti il pescatore ci nota, e con lentezza si avvicina per caricare noi -  esseri miserabili, subumani, sudati e paonazzi – e le nostre bici, e finalmente siamo dall’altra parte del fiume. Arrivata lì, stanca, coi muscoli doloranti e puzzolente come una grossa cacca di bufalo, per un attimo ho pensato di poter fare un bagno nel fiume. Ma forse, volendo, anche no.

 

 

 

 

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