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Sabato, 19 Aprile 2008

Australia: un anno in 8 ore

Uccelli senza nome occupavano le cime degli alberi, molti dei quali Paper Bark Trees, ovvero alberi la cui corteccia viene usata per scrivere...

ARTICOLO DI

Vagabondo0

16 giugno 2004, Sydney

Sydney

Sono atterrato a Sydney.

Il cielo è blu.

Qui comincia l'avventura

Hi everybody!

Mi sembra proprio di essere a Sydney. Almeno così dicono le cose.

Il viaggio è stato meno noioso del previsto: tecnologie, sonno arretrato e tre posti a mia disposizione hanno reso il volo semplice e rilassante.

L'impatto con Sydney?... beh, l'ho vista dal finestrino dell'autobus su cui mi sono accasciato e mi sembrava di essere sul 42 a Milano. Sono troppo sfasato e solo le macchine lunghe e numerosi fuoristrada mi hanno dato prova che sono da qualche altra parte.

La cosa più strana è che sanno tutti l'inglese. Ho chiesto informazioni a un anziano signore e mi ha risposto senza troppo esitare con un inglese perfetto.

Qui sono davvero avanti

Vado a dormire.

Sono le 7.30pm e non so a che ora sono partito

Sono 8 ore avanti rispetto all'Italia.

È meglio che interrompa la connessione ad internet anche perché mi sento molto globale. Sul mio monitor troneggia la stessa


09 luglio 2004, Sydney

Capitolo lavoro

Se lo chiamassi lavoro potrei anche sentirmi male. Se inavvertitamente mi vedo riflesso nello specchio di un negozio di occhiali, non mi riconosco.

E posso garantire che non riconosco nemmeno la mia voce.

È un inglese sempre più evoluto.

Ma non è ancora il linguaggio strettamente dialettale delle imprecazioni.

Se invece mi esce Shit anziché "porca vacca", mi sento davvero

osservatore di me stesso.

E mi faccio ridere. Forse sorridere.

Ma sono comunque un venditore ambulante. Un porta a porta.

Con un cartellino plastificato appeso al collo.

Un borsone sulla spalla.

Figuratevi questa scena. Se vi viene meglio coloratemi di nero

la pelle del viso.

Datemi un accento straniero. Un linguaggio che non vi appartiene.

E venite ad aprirmi la porta.

Sono lì.

Vi chiedo di comprare uno dei miei prodotti. Quelli che si

rompono dopo un paio di utilizzi.

Quelli che valgono meno del poco che costano, ma che non

posso vendere a meno, perché altrimenti ci rimetto io.

Sono lì.

Lungo la spiaggia con i piedi che scottano. La spalla distrutta

e la voglia costretta.

Ostento un sorriso che è pitturato di falso.

Su un volto italiano che non ha gli occhi socchiusi.

Invece intorno a me sono tutti vietnamiti.

Tutti.

Qualcuno non parla nemmeno inglese.

Quaranta minuti di treno da Sydney. E come se a Bergamo fossero tutti tedeschi. Bevessero tutti solo birra e mangiassero tutti crauti.

Beh, riconosco che il quadro è un po' lattiginoso, ma sarebbe difficile definirne i contorni senza raccontare minuto per minuto, volto per volto, sorriso per smorfia. Indifferenza per interesse, simpatia per rudezza. Sospetto per curiosità. Migliaia di volti vietnamiti più o meno interessati a comprare quella macchinina che salta, quella radiolina da appendere al collo, o quel portachiavi con la lucina rossa che tutti vorrebbero fosse blu. E non ho capito per quale motivo.

La macchinina spesso basta soltanto che la faccia roteare un po'. Poi si vende da sola.

E se il capo la compra la prendono pure commesse e clienti.

Altre volte il boss è una bellissima scusa servita su un piatto d'argento.

Allora cerco il boss.

Ma il boss non è quasi mai più caritatevole delle commesse.

Busso alla porta accanto…

Diamo a tutto questo un nome diverso.

Chiamiamolo opera di bene nei miei e altrui confronti. Ho speso due giorni a informarmi sulle strette leggi australiane per garantire l'effettiva beneficenza. Quindi mi vedo più come un osservatore (mal) pagato che va a raccogliere sguardi che non avrebbe mai nemmeno immaginato:

non abituati né al mio sorriso né al mio modo di fare di Dario e di italiano, neppure a vedere un tipo a dir poco

europeo che vende i prodotti dei cugini cinesi.

Già. Il mondo gira proprio al contrario qui.

Io vendo ai cinesi quello che i cinesi vendono in Centrale a Milano.

E capisco molti retroscena, apro sipari non molto vellutati.

Assaggio colori e stili di vita importati.

Vedo pietanze servite dentro a coppe di ceramica.

Nessuna forchetta e molti legnetti che raccolgono abilmente il riso dai piatti.

Assaporo quello che di Asia riesco a penetrare. Accarezzo un bimbo a cui chiedo il nome.

È davvero impossibile riportarne lo spelling.

Ma la pronuncia, forse, è davvero un sussurro che vola lontano. A portare qualcosa a tutti i bambini che magari, davvero, un po' ho aiutato.

16 marzo 2005, Port Augusta.

Ore 10.45am

km 325417

Outback

Un cartello a bordo della strada avverte: Alice Springs 1222km.

Credo sia la più grande cifra chilometrica che abbia mai visto e, probabilmente, sarà difficile vederne di maggiori.

Equipaggiati per un lungo viaggio non abbiamo due delle cose più importanti. Frigo e fornello.

La strada è un lunghissimo interminabile rettilineo circondato da bassa vegetazione non ancora troppo rada.

A destra si vedono gli ultimi lembi dei Flinders Rangers. Le montagne senza vetta che ieri hanno nascosto l'ultimo sole vibrando con le nubi in giochi d'arancione.

Velocità di crociera 90 km/h.

Un'aquila enorme e altri uccelli sorvolano una carogna di canguro.

«Gio, fermati!».

Mi sono avvicinato.

I volatili si librano in volo.

Resta a farsi osservare soltanto quello che rimane di un canguro. Morto, slabbrato, scuoiato.

Alcune gocce di sangue rappreso colorano di macabro l'asfalto rovente.

So che quando mi allontanerò i rapaci continueranno il loro pasto.

Laghi salati.

Distese di bianco inguardabile. Un treno di non meno di un chilometro costeggia la strada.

Corre lento, superabile.

In quest'enormità tutto prende dimensioni sconfinate.

Anche il silenzio.

Non c'è nessuno.

Assolutamente nessuno.

06 aprile 2005, Kakadu National Park – Cooinda

Coccodrillo

Nel pallore del sole di un fresco mattino addentavo una banana gialla.

Me ne stavo seduto sul lato destro di un battello carico di turisti di varie nazionalità, tutti armati di macchine fotografiche, binocoli, oppure solo dello sguardo, per catturare istanti ottici nella memoria di una foto o di una curva di cervello.

Il battello solcava lentamente le placide acque della Yellow Water Billabong, percorrendo poi quelle di un fiume senza corrente.

Una scura, impenetrabile distesa d'acqua contornata di altissimi e verdi fili d'erba.

Uccelli senza nome occupavano le cime degli alberi, molti dei quali Paper Bark Trees, ovvero alberi la cui corteccia viene usata per scrivere.

La tagliente acqua della palude rifletteva un'alba ormai sorella

del giorno.

Cerchi perfetti.

Al centro un insetto.

Centravano il bersaglio di piccole onde intorno alle pause del volo, incuranti della presenza del principe.

Principe coccodrillo.

Scrutava la lama.

Movimenti lenti al confine tra acqua e aria, emergevano soltanto le sue creste di rettile e gli occhi gialli.

Domina sott'acqua, vietandone incaute intrusioni.

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http://www.dariosorgato.it/unannoinottoore.htm


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