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Lunedì, 4 Maggio 2009

A cavallo verso Canterbury, inseguendo l'ombra di un sogno

Il 4 giugno 2007, Borbera, il mio cavallo, a me sembrava più bello del solito. Era sellato alla maniera dei lunghi viaggi, con l'equipaggiamento tipico di chi parte per giorni...
Concorso Storie Vagabonde

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Il 4 giugno 2007, Borbera, il mio cavallo, a me sembrava più bello del solito. Era sellato alla maniera dei lunghi viaggi, con l'equipaggiamento tipico di chi parte per giorni.


Ho sognato per anni il giorno il cui sarei partita a cavallo per raggiungere una meta lontana, immagine che ha sempre alimentato la mia concezione di libertà.

Finalmente in marcia, partiamo da Susa (TO) con destinazione Canterbury, seguendo la Via Francigena, antica via di pellegrinaggio che collega la cittadina inglese a Roma.

Il rettore della Sacra di San Michele, antica abbazia che in passato accoglieva pellegrini in Val di Susa, mi aveva consegnato una lettera da portare all'Arcivescovo della cittadina: mi sentivo ancor più in una dimensione di altri tempi.

Un paio di mesi prima di partire ho saputo che non lontano da lì quell'anno si sarebbe tenuto il Jamboree, incontro tra scouts provenienti da tutto il mondo. Mi dicevo che se avessi avuto la fortuna di arrivare in tempo sarebbe stato bello respirare dopo un paio di mesi di viaggio lo spirito scout comune a giovani di tutto il mondo.

Avere una meta è importante, anche se il raggiungimento della stessa non è il motivo del viaggio.

Avere una meta aiuta a non farsi prendere dalla pigrizia, dalla stanchezza o dallo sconforto.


Ci siamo diretti verso la Svizzera attraverso le Alpi francesi occidentali. Ogni giorno c'era un colle da scavalcare, una valle da accarezzare, puntando sempre a nord.

Pioveva costantemente, e a causa di fango e neve non c'era mai la certezza di riuscire a proseguire. Ma sentivo che non mi mancava nulla per essere felice, eravamo in condizioni di accamparci ovunque, in montagna si trovano pascoli e ruscelli d'acqua limpida. Bello è avere con se solo l'indispensabile e sentire che cio' che si riceve dal contatto con le persone e dalla bellezza del mondo naturale è cio' di cui si ha realmente bisogno per sentirsi ricchi.



Raggiunta Chamonix, attraversiamo il confine svizzero al col de Balme, dal quale arriviamo quindi a Martigny. Da qui a Calais, siamo sulla via Francigena.


Ricordo con piacere l'ospitalità svizzera. A Vevey, sulla sponda del lago di Ginevra, una donna ci ha detto che era un bel contrasto vedere un viandante a cavallo attraversare la frenesia della città. Mi sentivo molto fortunata.


Tornati in Francia sono iniziati gli immensi spazi pianeggianti. Sempre avanti, bella quella sensazione, sempre avanti.



Anche se è bello condividere l'andare quotidiano con qualcuno, non mi sentivo sola, forse perché "da sola" è più facile cogliere mille sfumature che in due, a volte, sfuggono. Sul terreno l'attenzione aumenta. Tutto, compresi se stessi, è visto da un'altra prospettiva.

A volte sembrava di vedere con gli occhi di Bor, e del mondo vedevo solo la semplicità, la purezza, la serenità.

Nell'incontrare la gente mi rendevo conto di quante persone abbiano voglia di dare, siano attente e d'animo sensibile. Una famiglia con cui ho cenato una sera mi ha prestato 400 euro: il mio bancomat si era inceppato, avevo 15 euro in tasca e il giorno dopo, che era domenica, dovevo imbarcarmi per l'Inghilterra. Non hanno esitato a fidarsi di me, e questo mi ha fatto effetto. Quanto stupore, nel vedere di quanta umanità è pieno il cuore della gente, il calore umano ha permesso di trovare fieno dove sembrava non esistere, ci ha riscaldato e asciugato nelle giornate di freddo e pioggia.



Ora la via Francigena, alle mie spalle, è una strada variopinta, ogni colore una persona, ogni sfumatura un'emozione.


Arrivati a Calais, ecco il mare.

Mi sentivo leggera, e per un attimo ho sperato che il mio amico potesse fare un balzo fino all'altra sponda....

A mezzanotte del 29 luglio ci siamo imbarcati per attraversare la Manica.

Luna piena, sul ponte della nave l'emozione è forte.

Ancora un giorno e siamo a Canterbury. Di fronte all'imponente cattedrale, non credendo di riuscire a incontrare l'Arcivescovo, chiedo a chi lasciare la missiva. Avvisato della mia presenza, esce invece dalla sua abitazione e mi viene incontro. L'incontro è semplice e informale. Ero incredula, ma di cose incredibili ne erano già successe molte.


Dopo qualche giorno giungiamo a Chelmsford, all'enorme accampamento dove si teneva l'incontro scout.

Siamo alla meta, e un po' mi dispiace.

Lì mi hanno detto che ovviamente Bor non poteva entrare.

Ma, a mia insaputa, alcuni scout italiani si sono fatti in 4 per procurare a lui e a me un pass e, incredibilmente, siamo stati entrambi invitati ad entrare. Borbera è stato proclamato il primo cavallo scout della storia.



Inizia la via del ritorno.

Una volta tornati in Francia abbiamo seguito la costa fino in Normandia. Sulla spiaggia Bor sembrava nutrito di nuova energia, sembrava bersi il vento e voler correre con lui. A Dieppe ci siamo voltati per l'ultima volta verso l'immenso mare. Musica di gabbiani, mista a silenzio e vastità.


Continuiamo tra boschi, prati, campi coltivati fino a intravedere le care vette alpine. Eravamo ormai in Savoia, l'arrivo era questione di una decina di giorni. Non capivo il mio stato d'animo, era come intravedere il porto, e sapere di doversi lasciare alle spalle l'ondeggiare del mare, con le sue burrasche e la sua splendida quiete.




Qualcuno mi ha chiesto il perché di questo viaggio, terminato il 10 ottobre. Non so ben spiegarlo, è un qualcosa che ha a che fare con la poesia: nella vita di tutti i giorni è facile lasciarla scorrere accanto senza poterla assaporare appieno, con un cavallo a fianco, sulla strada, è invece costante la sensazione di essere circondati dal bello. Grazie alla sua forza mi sento per un attimo ad un palmo dalle mie miserie, e avvolta dalla magia.


La sera spesso venivo invitata a dormire in casa di qualcuno. Ma per me il momento di mettermi a dormire era in linea con la magia dell'andare diurno solo se potevo tendere il telo, vedere il mio cavallo vicino che serenamente mangiava e sentire profumi, brezze, vedere i colori dell'alba, ascoltare il ticchettio della pioggia. Avvertivo una traboccante sensazione di vita tutt'attorno a noi.

Mi piace l'avventura, per me è un momento dove, anche se coscienti delle proprie debolezze, è più facile cercare di tirare fuori il proprio meglio. Sul terreno il prezzo delle proprie insicurezze si paga subito, e questo insegna ad aver fiducia e andare avanti.

Avventura è soprattutto una condizione dove l'ignoto non spaventa, bensì affascina. Non sapere dove ci si fermerà o con che tipo di persone si avrà a che fare comporta il sentirsi alleggeriti da quelle certezze che creano di conseguenza il timore di perderle.

Mi rendo conto che la stanchezza è più un'idea che una reale difficoltà, se ci si pensa viene più facile dare un calcio alle dopotutto banali difficoltà, i colori splendono più di prima, un po' come in un paesaggio dopo il temporale.

Ed è bello poi cantare, tra vette alpine o distese coltivate, sotto la pioggia o con la gola arsa dal caldo o dalla sete, cantare a voce alta, o a voce bassa, dentro di se.


Ogni metro di questi 3000 km percorsi mi ha donato qualcosa, all'arrivo avevo il cuore che scoppiava, colmo di tante meraviglie che questo viaggio, a passo lento, in compagnia di un cavallo, mi ha regalato.


E poi, chiamala fede, destino o fatalità, il fatto è che nei momenti meno sereni era come se qualcuno sopra di me sorridesse scherzosamente del mio viso preoccupato, e avvertivo così una forza che mi faceva andare avanti. E appena mi mettevo tranquilla e sorridevo, la situazione più intricata si scioglieva a breve lasciandomi incredula, lasciandomi avvolta da un'inspiegabile felicità.

Ho avuto molto più di quanto mi aspettassi, ma la fortuna più grande è stata avere voglia di partire, di mettere sul dorso del mio amico le sole cose indispensabili e partire, che bella quella sete di andare, di essere liberati dalla razionalità, di inseguire l'ombra di un sogno.


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