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Martedì, 12 Maggio 2009

Una bicicleta vagabonda

Agosto 2006, su un aereo sorvolando l'Oceano Atlantico, da qualche parte tra il Brasile e l'Europa. Esattamente 10 anni fa stavo prendendo un pulman per il Cile , dove sarebbe iniziato il mio primo grande viaggio in bicicletta.
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Agosto 2006, su un aereo sorvolando l'Oceano Atlantico, da qualche parte tra il Brasile e l'Europa. Esattamente 10 anni fa stavo prendendo un pulman per il Cile , dove sarebbe iniziato il mio primo grande viaggio in bicicletta. Lei è ancora la stessa. Ogni vite, ogni raggio, ogni riparazione sono una storia da raccontare. In quel momento la mia compagna era in una scatola, ansiosa per correrere di nuovo e per rinnovare le sue e le mie storie. Ecco perché sono giunto alla conclusione che io sono un narratore di storie. Quando mi chiedono il perché di tutto questo non ho una risposta definitiva, fortunatamente. Per la soddisfazione generale ho un nuovo pretesto, di quelli buoni, di quelli che giustificano qualsiasi domanda, un progetto simile al progetto RACA (Rota Austral Chile Argentina), il viaggio in Sud America. Questa volta si chiama Eurovias, un viaggio in bicicletta in Europa di oltre 20.000 km pedalati e 22 paesi percorsi. L'obiettivo? Verificare come si pone il vecchio continente nei confronti del veicolo più ecologico e amichevole di tutti i tempi, considerandolo come un reale mezzo di locomozione, principalmente nelle grandi città inquinate. Il tutto con l'appoggio del governo brasiliano che ha facilitato vari incontri con le autorità europee che si occupano di politica di uso ed incintivo della bicicletta. La mia visione empirica di ciclista va a confrontarsi con quella dei tecnici europei, ottenendo uno scambio di idee, soprattutto in paesi dalla grande radizione ciclistica come Olanda, Danimarca e Germania. L'obiettivo è di poter mettere in pratica un giorno alcune di queste idee, adattandole quindi al contesto brasiliano. Tuttavia durante un viaggio in bicicletta, gli incontri, specialmente quelli inaspettati, gli amici fatti in poco tempo a cui però resti legato per sempre, sono senza dubbio l'aspetto più importante, arricchente e che ti segna. E tra tutti questi incontri, uno è stato senza dubbio molto speciale. Il destino ha fatto sì che il mio cammino s'incrociasse con quello di Francesca, italiana, nata e cresciuta a Milano, attrice di professione, mia compagnia di viaggio e di vita. Le ho mostrato la possibilità di viaggiare in bicicletta in modo alternativo, con pochi soldi, e lei in cambio mi ha insegnato attraverso l'amore come condividere quest'incredibile esperienza insieme e per tanto tempo. E quando dico insieme intendo 24 ore al giorno, tutti i giorni, con tutta l'intensità che ne consegue, sia nei momenti di allegria che di tristezza. Dopo un inizio solitario in Portogallo, Spagna e Francia Francesca ha cominciato a far parte del viaggio. E il viaggio ha acquisito un senso speciale, cambiando quasi rotta nella Turchia che tanto mi manca. Mi ricordo di un giorno d'inverno, alle cinque del mattino, in un piccolo villaggio sperduto in mezzo alle montagne. Come in trance, mi sono svegliato con la voce profonda del muezin. Le parole del Corano più che un canto sono un lamento. Brividi, emozioni e il pensiero che corre lontano. Silenzio assoluto. Mi sono alzato dal tappeto su cui abbiamo dormito e mi sono affacciato alla finestra vicino al camino ancora caldo. In quel momento dell'anno lavorava il doppio perché scaldava la semplice casa del contadino. Ho visto un pastore uscire con il suo gregge di pecore dirigendosi verso i campi, accompagnato da due cani. Sono rimasto alla finestra e ho visto arrivare un pulmino della scuola. I bambini, sorridenti, giocavano tra loro. Erano bambini per davvero, non bambini adulti come siamo abituati a vedere in occidente. Che allegria! Che soffio di speranza per l'umanità. La famiglia vive unita, lavora unita, in una pace invidiabile, che va molto più lontano di qualsiasi religione o credo. E questa semplice e profonda bucolicità era diventata per noi quotidiana durante i due mesi in cui abbiamo viaggiato per la Turchia.

E' stato inevitabile rivalutare il viaggio, ripensare a pedalare in Europa, alla continuazione del progetto. L'Europa ( e il mondo!) in un ritmo di vita frenetico, quasi unanime, case riscaldate, gente fredda. La competizione come ordine del giorno, impostata precocemente sin dall'infanzia. Sempre più persone sole, che vivono nei loro piccoli cosmi, nelle loro bolle, correndo, per arrivare dove? Ma arrivo alla conclusione che per quanto sia difficile viaggiare in un mondo simile, il nostro modo di viaggiare, esposti su una bicicletta, può essere un esempio per la vita quotidiana delle persone. Il punto non è tanto viaggiare, ma vivere con poco, spendendo meno energia. Abbiamo viaggiato con un mezzo ecologicamente corretto, pulito e sano, con poche risorse economiche e nel modo più alternativo possibile. Sono giunto alla conclusione che l'idea è interessante, ha un fondamento e in qualche modo può essere realizzata. Perché più persone non usano la bicicletta, non vanno a lavorare in bicicletta, non viaggiano in bicicletta? Perché non diminuire il ritmo delle nostre vite e di conseguenza del pianeta? Al momento gli amici e altre persone seguono il viaggio. Ostacoli per il progetto? No. Forse è proprio lì che sta il suo successo. Piccole cellule attive, pensanti che divulgano il progetto, una sorta di reazione a catena. Anche nei paesi più abituati alla bici come la Germania, l'Olanda e la Danimarca, venivamo abbordati sempre in modo positivo. E allora perché no? Perché non continuare a divulgare quest'idea? La verde Germania è stata un incentivo a continuare. Apro la tenda e la pista ciclabile è prorpio lì, davanti a noi. Nessuna macchina, moto o altri veicoli che facessero rumore, soltanto persone camminando e pedalando. Più importante della pista era la segnaletica, precisa a tal punto che era impossibile perdersi anche nei tragitti più lunghi. Ma dopo un inizio d'inverno in Svezia e in Finlandia, il mio campanello che aveva strappato molti sorrisi durante il viaggio è rimasto in silenzio.

Eravamo arrivati in Russia. Visi tristi, chiusi, abbruttiti dal clima, dal prezzo del sistema. Una pesantezza caricata sulle loro spalle e che arrivava a noi, sempre aperti a tutto, più esposti che mai in quel contesto. Giunti in Estonia un sollievo, un conforto umano, almeno in parte. A partire dai paesi baltici abbiamo cominciato a confrontarci con la "triade maledetta" dei ciclisti, vento, pioggia e freddo, che aumentavano quanto più ci spingevamo ad ovest. Valeva la pena soffrire così tanto? Non mi sarei sorpreso se dopo la curva successiva ci fosse stato qualcuno pronto a tirarci pietre. Ahimè! Le pietre sono arrivate sotto forma di grandine. Guardavo Francesca che soffriva, lottando quanto me. Non trovavo parole per confortarla perché mi sentivo completamente esausto Tre indimenticabile giorni pedalando, o meglio lottando contro le forze della natura. La stessa natura che tante volte ci aveva accolti nei suoi boschi, rinfrescato con la sua acqua, dandoci un senso per continuare, molte volte perso nelle migliaia di pedalate. Ma continuavamo a credere che c'era un motivo per tutto quello. E' curioso come in quei momenti il pensiero si direzioni sul "perché?" "Perché stiamo facendo tutto questo?" E' come se per un istante potessimo osservarci dall'esterno: vestiti completamente inzuppati (anche se a prova d'acqua!), mani e piedi congelati, 10 km/h in piano, ma con una spinta che senza vento ci porterebbe ai 20 km/h. Inevitabilmente il secondo pensiero è "Che cosa stiamo facendo qui?" Poco dopo appare una sensazione di sconforto, di fastidio.

Il pensiero vola rapidamente attraverso mille cose che ci riguardano, le nostre preoccupazioni, i nostri sentimenti, affetti, desideri e angoscie. Così succede nel quotidiano. Quando qualcosa non va bene, di qualsiasi natura essa sia, facciamo una tempesta in un bicchier d'acqua. Tutto ci sembra inutile, senza senso. In questi momenti è difficile essere obiettivi. Quello che accade sulle nostre biciclette, in queste condizioni, può essere una metafora di ciò che accade quotidianamente. Ma c'e' un momento in cui le cose cambiano, come le onde del mare, in un sali scendi continuo. Ogni pedalata ha un inizio e una fine. E quando l'incubo finisce, percepiamo che non era nulla di così tragico. Ci rendiamo conto che quando la tempesta è passata siamo ancora vivi, sempre più forti, pronti, chissà, per cominciare qualcosa di nuovo.

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