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Mercoledì, 16 Marzo 2011

Siria. Soft Cover ... impressioni di strada!

Spio la città da dietro la finestra sporca, al quinto piano, di una squallida camera in affitto. 800 libbre siriane e affare fatto ... ribadisce corteggiandomi con un brutto sorriso il vecchio libanese al comando della sua baracca.

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Vagabondo0


Aleppo ... c’è vita anche sui tetti

foto di viaggio
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Spio la città da dietro la finestra sporca, al quinto piano, di una squallida camera in affitto. 800 libbre siriane e affare fatto ... ribadisce corteggiandomi con un brutto sorriso il vecchio libanese al comando della sua baracca. Fiero delle sue origini (e delle sue abitudini), prima di acciuffarmi il passaporto, va raccomandandomi una visita a Beirut. Lo sfoglia con aria circospetta, verifica il visto e prende nota. Provenienza: Antakia, Turchia. Destinazione: ... non dichiarata. 800 libbre e ti prendi tutto ... quattro letti, scarafaggi, lenzuola sudate e la saponetta di chi ti ha preceduto. La formula è sempre quella: minimalismo middle east! Un cubo in cartongesso, infissi fradici, vernici metallizzate e dettagli da manicomio.

Una pala volteggia minacciosa a troppi centimetri di distanza dal soffitto ... e a troppo pochi dalla mia testa. C’è aria di clandestinità e di attesa. Temporeggio imprigionato dentro una bolla di aria calda e guardo fuori. Il cielo, rosso, pare voglia incendiarsi da un momento all’altro. Cade sui tetti dei palazzi come una brutta benedizione. Ne esalta il profilo irregolare, l’affascinante casualità di un’urbanizzazione senza regole...illumina la bellezza e il mistero dei minareti confusi nella foschia. Con essi le antenne, i comignoli e il volo solitario di qualche uccello dentro l’orizzonte. Fumi bianchi e densi, simili a una nebbia improvvisa, si sollevano dalle strade come dal cratere di un vulcano. Seguo i passi di uomini e bambini annidati sopra i tetti. Insieme a loro gatti, piccioni e randagi equilibristi. Si fanno strada fra bandoni presi dalla ruggine, bancali di legno e pneumatici di gomma. Si rincorrono fischiando da un condominio all’altro e non capisco perché. Altri avvitano bulloni concentrati intorno a una parabola. Un giovane, dall’aria un po’ europea, si svuota secchi d’acqua addosso contraendo i muscoli del viso. La voce acida del libanese si diffonde in corridoio. Ciabatta come una vecchia suocera difendendo l’indifendibile. Ordina l’evacuazione di un cesso ( ... si è allagato!), fuma tabacco cattivo e comanda un manipolo di giovani uomini armati di stracci e spazzoloni. Affogo l’ultima sigaretta, mi decido e scendo in strada. Sprofondo nel cratere del vulcano, in una realtà in cui non c’è più niente in cui mi possa riconoscere. Logiche, odori, parole, toni di voce, sguardi e gesti. Tutto agisce sul corpo inebriandoti e c’è poco da fare: o ti lasci irrigidire o ti abbandoni. Preferisco la curiosità.

Aleppo, 17 giugno 2010, ... è talmente caldo che hanno tolto la corrente per un po’. Troppi frigoriferi, troppi condizionatori accesi ... si rischia il collasso energetico. Tuttavia le strade sono piene e i taxi continuano a sciamarci facendosi largo a energici colpi di clacson. Se ne fregano dei pedoni che sembrano voler tentare il suicidio da un momento all’altro. E i vigili li incoraggiano suggerendo sempre il momento migliore per farlo. La polvere galleggia nell’aria, in bocca e negli alveoli. Tento di aprirmi un varco sudando senza accorgermene. Venditori di tamarindo, con brocche d’argento caricate sulle spalle, presidiano ogni angolo della città a caccia di assetati. Quaranta gradi circa, tuttavia nessuno si barrica in casa continuando ad affollare i marciapiedi, i mercati, le moschee e i vicoli della città. Uomini di una certa età passeggiano mano nella mano mentre donne intabarrate di nero acquistano abiti succinti. Giovani ragazze, sedute nei caffè, fumano narghilè intrappolando la loro bellezza in nuvole di fumo profumate. Alla TV trasmettono i mondiali e tutti tifano per il Brasile. Mi immergo nei mercati dove fra i fasci di luce che cadono dall’alto come sciabole di atomi e pulviscolo, non c’è più niente che non si possa acquistare, annusare, toccare o assaggiare. Ogni strada ha la sua merce cosicché sia sempre possibile trovare l’offerta migliore al prezzo più conveniente. Spezie, tessuti, gioielli, incensi, saponi, tappeti, cosmetici e spugne. Ogni sguardo di troppo è un invito o un abbandono. E sono talmente orgogliosi della loro mercanzia che venderla non è la preoccupazione maggiore. L’importante è esporre, farlo con metodo e cura, e saper mercanteggiare. Ambulanti con strani cappelli in testa spingono carretti nei vicoli dei suq. Si annunciano urlando. Trasportano fragole, ciliege, meloni, gelati ... pane, pistacchi e sigarette di contrabbando. La giornata di questi uomini sembra ruotare intorno al cibo: confezionarlo è un arte ... mangiarlo una festa. Cammino, continuo a farlo senza dare importanza ai miei passi. Giro l’angolo e ritrovo la luce. Mi investe improvvisa e riemergo come da un sogno di strane cose e piccole magie. Davanti a me la Cittadella, l’inganno di Tamerlano e dall’alto della sua collina ancora la città.

Aleppo ... c’è vita anche sui tetti, il cielo si è infuocato e tutti aspettano il tramonto e il vento fresco della sera.

Damasco ... canestri di pane e spremute di more

foto di viaggio
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h. 03:00, Damasco ... l'aria profuma di zafferano, menta e nocciole tostate.. Madhat Basha, a due passi dal suq la strada è deserta e si va tutti a dormire.

Vista dall'alto delle sue aride colline rosse Damasco sembra un grande castello di carta, una città di fango con colombe e parabole sporche di ruggine che ne decorano i tetti.

Non è difficile innamorarsi di questa città, dei suoi sentieri di pietra e delle sue piccole piazze svelate da un arco o un corridoio di mattoni. Non è difficile innamorarsi dei suoi caffè dove l'ultimo dei cantastorie, immune al fascino di radio e TV, ogni sera al tramonto, seduto su un trono, recita l’epica di un glorioso passato. Ho provato anch’io ad ascoltare per un po’, sedotto dal fascino discreto di quell’uomo, limitandomi ad interpretarne, come fossero sottotitoli, le espressioni del volto, i gesti o la semplice intonazione della voce.

Ogni angolo della città ha la sua storia, le sue reliquie, ... le sue rovine e gli artigiani, abili nell'arte del mestiere, ne occupano le botteghe come nella scena di un presepe. Il valore del denaro non è certo nella quantità ma nella facilità con cui questo riesce a transitare di mano in mano. Sporco e puzzolente lo sfiorano e lo accarezzano liberandolo subito dopo nel gesto istintivo e concitato di un nuovo affare.

Se ci si perde a Damasco ... è così difficile volersi ritrovare! Il caffè, amaro, profuma di cardamomo ... il tabacco, dolce, di fragole e ciliege. Pellegrini iraniani di fede sciita, affollano come ombre scure, le strade intorno alla moschea Ruquayya, seducente e ingannevole come un castello degli specchi. Pochi metri più in là gli armeni, gli ebrei e il quartiere cristiano dove la domenica viene sempre di domenica, gli studenti bevono birra e il seno non teme sguardi interdetti.

Il Mediterraneo è qualcosa di più di un semplice arco bagnato dal mare. E' un bene comune. E' l'impronta di tutti quei popoli che da secoli lo hanno abitato, conteso e combattuto. La somma di tutte le loro illusioni, la grandezza dei loro imperi e le disfatte.

Damasco sopravvive nell'integrità del suo fascino e della sua bellezza. Ha tutta l'aria di una città immortale con il tempo che le scivola addosso come una pioggia di buoni e di cattivi ricordi.

Mark Twain lo scrisse: "... per Damasco i secoli sono soltanto momenti. Misura il tempo non con i giorni, i mesi o gli anni ma attraverso gli imperi che ha visto sorgere, prosperare e soccombere."

Damasco, h. 03:00, ... e si va tutti a dormire sognando canestri di pane e spremute di more.

La strada per Beirut

foto di viaggio
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Ad Ovest Damasco si spegne senza preavviso. Finisce tutto lassù, le case, i palazzi, le baracche, il traffico e i giardini, e la strada, come un serpente d'asfalto infuocato, si arrampica su quelle che dapprima sembrano colline e poi montagne dove l'inverno cade anche la neve. L'Anti-Libano, come una dorsale appenninica, divide i due Paesi. Il confine è un passo di montagna dove se ti va bene, con meno di un' ora di formalità burocratiche e distinti saluti, sei dall'altra parte, altrimenti ... si torna tutti indietro. Tanto vale provare!

Ognuno attraversa la frontiera come può: chi a piedi, chi a bordo di vecchi pulmini divorati dalla ruggine, chi con taxi collettivi o autobus di linea. Sull'altro lato della carreggiata i camionisti, con l'anima in pace, fanno la fila incolonnati per qualche chilometro. Il tempo e la merce che trasportano sembrano non avere importanza e molto spesso, nell'attesa, c'è chi allestisce un fornello e si prepara un caffè.

Se ci arrivi da Damasco, Beirut la scopri dall'alto. La intravedi, corteggiata dal mare, fra le case degli ultimi villaggi di montagna e boscaglie di sporadici cedri. La vedi allungarsi sulla costa e poi tornare indietro.

Avenue de Paris, lungomare ... la cornice perché in fondo l'impressione è proprio quella di una macchia di acquerello stesa troppo in fretta. Le luci calde di Byblos e di Jounieh tremano nella notte, in lontananza, fino a scomparire dietro un piccolo promontorio oltre il quale si nasconde Tripoli.

Beirut è un po' quello che ti aspetti e tutto ciò che non ti immagini. La ricostruzione si è mangiata almeno una quindicina di strade e deve averlo fatto molto in fretta, come un' improvvisa amnesia di belle favole e mattoni.

Avenue de Paris ... è tutto un carosello di Suv, Porsche, Ferrari, Mercedes e BMW. La passeggiata è un salotto con gli spazzini che ti rincorrono anche per raccogliere una sola briciola di pane. I fusti delle grandi palme sono ingioiellati di lucciole al neon, e dall'altra parte della strada, dove la parata degli hotel a 10 stelle forma come una barriera, le terrazze dei nightclub guardano il mare.

Ci sono quartieri e quadrati di cemento alla moda dove tutti sembrano aver dimenticato tutto. Ras, Hamra (con il college americano e i suoi caffè), il Central District e la rappresentanza del lusso dove sembra di vivere in un outlet. Place de l'Etoile e pochi passi più in là la solitudine dei martiri di bronzo che guardano il mare levando le braccia al cielo. Qui finisce l'Ovest e comincia l'Est con l'infame linea verde che per anni, come un muro di Berlino, ha diviso la città. Beirut va vista anche da dietro. L'esercito non la molla mai un istante. Ne presidia le strade in modo discreto ma come se dovesse accadere qualcosa da un momento all'altro. Gemmayez, le decadenti residenze francesi, le voragini colme di macerie, i palazzi abbandonati e le facciate senza intonaco con i fori di proiettile dove anche Rambo e Lilli Gruber non sapranno mai cos'è successo. E più lontano degli ultimi sobborghi, molto più lontano, i campi profughi dei 100.000.

Beirut ... una cartolina in bianco e nero trafitta da un arcobaleno.


Scritto da Matteo (mondoinsolito)
Blog: www.mondoinsolito.blogspot.com

Sito: www.tedleeperez.com


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