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Mercoledì, 14 Gennaio 2015

Radicata ovunque

La visita di mia madre durante il mio viaggio in un posto speciale: Santiago di Compostela.

ARTICOLO DI

Marzia D'Ascenzo

È il 27° giorno del mio pellegrinare per le strade del mondo. Il mio pensiero torna al parco di Madrid visitato pochi giorni prima ed alla bellezza
di un albero immerso nell'acqua. Rifletto sulla forza delle sue radici che devono domare anche la potenza dell'acqua. Eppure, dall'esterno,
quell'albero sembra non averne, essere leggero e galleggiare.

Domani mattina partirò a piedi per percorrere circa 250km e raggiungere, per la seconda volta, la Cattedrale di Santiago. Porto nel mio zaino lo
stretto necessario e tutto quello che sono. In questo "viaggio nel viaggio" tenderò, sempre con curiosità, i miei rami verso il cielo senza alcuna
paura. I miei piedi si muoveranno con una meta e le mie radici, oggi, mi fanno sentire ancorata al suolo per ricordarmi che non sono sola e non
"galleggio".

Ho appena ricevuto la telefonata di mia madre. Credevo il solito:"come stai? Torni? Perché sei partita?" ed invece mi ha comunicato che
raggiungerà Santiago in aereo quando le comunicherò il mio arrivo. Non ha mai viaggiato per diletto e non lo farà neanche questa volta. Credo
che pensi di riuscire a portarmi a casa, io spero di riuscire a "pellegrinare" con lei per farle capire il valore della mia scelta e per indebolire le sue
paure verso l'ignoto. Terminata la telefonata ho comunicato alle mie sorelle che sono felice che venga e che voglio farla viaggiare un po'. Mia
sorella maggiore mi dice che è serena e che vuole venire a salutarmi prima che io vada "troppo lontano". Le ha detto che se non avesse avuto
due figli avrebbe girato il mondo anche lei e mia madre ha risposto: lo avrei fatto anche io con lo spirito che ho. Quindi...rullo di tamburi...stiamo
dicendo che sto coronando un sogno di famiglia?

Emblematico il luogo in cui mia madre ha deciso di raggiungermi.

Ho camminato per giorni, affrontando le intemperie stagionali, e sono giunta a Santiago con il sole. Ho avuto due giorni per riprendermi dalle
fatiche e rendermi "presentabile" ai suoi occhi, ma non mi è bastato il tempo che ho avuto a disposizione prima del suo arrivo, per comprendere
il suo gesto. 

Ho temuto l'incontro e lo scontro, ho ipotizzato che venisse per portarmi a casa, ho studiato tutte le possibili risposte alle sue costanti domande,
ho alimentato la felicità che provavo per la sua decisione ed ho atteso con ansia gioiosa il momento in cui, dopo 5 mesi di distanza e 43 giorni di
viaggio, lei ha raggiunto l'aeroporto di Santiago.

Le porte scorrevoli si sono aperte davanti ai miei occhi e lei è apparsa dopo una trentina di persone. Ho sorriso perché era la prima volta che i
ruoli fossero invertiti. Si è avvicinata e mi ha abbracciata. Avrebbe voluto piangere, ma non lo ha fatto. Sull'autobus che ci porta in città mi chiede
del cammino e di come stanno le mie gambe ed i miei piedi. Mi aggiorna sulle vicende familiari e mi consegna la letterina scritta da mio nipote.
E' la prima volta che sento forte la mancanza di casa. Ceniamo insieme e mi sorprende quando decide di non andare in albergo, ma di stare nella
casa in cui mi stanno ospitando. Penso sia un modo per farle capire come vivo questo viaggio e un'opportunità per condividere la quotidianità che
un freddo albergo non ci permetterebbe di avere. Possiamo fare colazione secondo le nostre abitudini, pranzare e cenare a casa, svegliarci quando
vogliamo e ritagliarci i nostri momenti. Dormiamo nello stesso letto (non ricordo se sia successo in precedenza) e mi abbraccia prima di addormentarsi.
Mi sento tranquilla e protetta, ma percepisco il suo dolore.  Non seguono parole, forse è troppo stanca, ed io mi sento a casa perché ha portato con
sé l'odore di casa nostra.

Il giorno seguente le faccio visitare la città e andiamo alla cattedrale. I discorsi sono effimeri. Vorrei trovare il tempo di spiegare a mia madre le mie
ragioni, ma il timore mi fa rimanere in silenzio. Lei forse attende di potermi spiegare le sue, ma sceglie di rimanere in silenzio anche lei. Forse
sappiamo entrambi che le nostre diversità ci allontanerebbero e, forse, i nostri timori ci permettono di non rovinare le poche ore che abbiamo a
disposizione. Così facendo...vince il silenzio del nostro amore. Forse un giorno io capirò quel che prova e lei sarà fiera della mia scelta e della mia
felicità, come quando sono tornata dopo aver vissuto 18 mesi in toscana.

È presto tempo di riportarla in aeroporto e mi dice che vorrebbe stare ancora con me. Mentre facciamo la fila per i controlli trovo il coraggio di dirle
che sto bene, che sono in salute, che sono felice e che viaggiare è ciò che desidero fare in questo momento della mia vita. Chissà quante cose avrebbe
voluto dirmi lei, ma non lo ha fatto. Stava per commuoversi ed io le ho detto che deve mandarmi pensieri positivi. Ci siamo abbracciare, non ha pianto
(sicuramente lo avrà fatto sull'aereo), non mi ha lasciato il peso di averla ferita ancora una volta. Questa è la mia vittoria: anche il saluto con mia madre
non è avvenuto in modo triste.

Nel viaggio di ritorno in autobus comprendo, finalmente, il motivo del suo gesto. Mi viene alla mente il momento in cui il figlio di Siddharta scappa dalla
capanna per raggiungere la città. Siddharta soffre le pene di un padre che vuole proteggere il proprio figlio e così facendo lo lega in catene con il suo amore.
Il suo amico gli ricorda le scelte fatte nella sua vita quando nessuno lo ha potuto proteggere dalla sua necessità di vivere la sua vita. A quel punto, seppur
con dolore, Siddharta smette di rincorrere e cercare suo figlio. Lo lasciò libero di andare...e così, forse, ha fatto anche mia madre. Pur essendo lei in partenza,
mi ha lasciato libera di continuare il mio viaggio. Non mi ha mai chiesto di tornare e mi ha detto che farà il passaporto per raggiungermi anche fuori dall'Europa.
Nei nostri silenzi, forse, ci siamo dette tutto, rispettando le nostre diversità.

 

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