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Venerdì, 1 Maggio 2009

Passeggiata nel Banc D'Arguin

Da un lato l'oceano atlantico, dall'altro il deserto del Sahara, intorno a me uccelli meravigliosi arrivati qui da tutta l'Europa e l'Asia, fin dalla Siberia...
Concorso Storie Vagabonde

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Vagabondo0


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Da un lato l'oceano atlantico, dall'altro il deserto del Sahara, intorno a me uccelli meravigliosi arrivati qui da tutta l'Europa e l'Asia, fin dalla Siberia. Il vento sale un poco e basta questo a creare una tempesta di sabbia. Io, lo zaino in spalla, il turbante intorno alla testa e al viso, occhiali da sole e cappuccio, cerco di ripararmi e avanzo sulla sabbia umida. Un momento cieco, un momento conquistato dal silenzio, dalla bellezza, dal tempo. Il sole ritorna a splendere e io posso ricominciare ad aprire regolarmente la bocca per lo stupore. Ancora non lo so, ma sto facendo la più bella passeggiata della mia vita.


La Mauritania si identifica con il deserto. Come il Sahara è un paese eccessivo, violento ed eterno. I suoi altopiani sorgono circondati da precipizi, come le mura di una antica città, le piccole montagne sono scogli frantumati e aguzzi, le valli sono gole profonde, le dune sono infinite e cangianti, il silenzio dura da secoli e la bellezza è sempre accompagnata dalla paura, dal pericolo e dalla fortuna.


"Questo è un posto dimenticato" mi dice Savio. "è ancora un paradiso, l'unico mio rimpianto è che non sono diventato ricco."

Gli dico: "Ma Savio, i ricchi sono antipatici."

"Anche tu la pensi così?" e per sancire la nostra amicizia mi versa il terzo bicchiere di Red Label.

Savio ha 50 anni, viene da una piccola isola della Sardegna. Ha aperto una officina per auto a Nouakchott, la capitale. Ha girato mezzo mondo e poi nel 1986 è arrivato in Mauritania. Il primo posto dove è stato è proprio il Banc D'Arguin. Lì ha visto un modo di pescare che non credeva potesse ancora esistere.

"Una persona, sempre, notte e giorno sulla spiaggia. Quando arriva un banco di Muggini (le cui uova si usano per ottiene la bottarga) si vede da lontano. Qui ce ne erano così tanti che quando si avvicinavano non solo si vedevano ma si sentivano. Il mare iniziava a bollire. La corrente li spingeva verso la spiaggia. L'uomo di vedetta lanciava l'allarme e i pescatori a coppie di due entravano in acqua piano con le reti per sbarrargli la strada, quando le Muggini erano vicine altri pescatori entravano da dietro per bloccargli la fuga e iniziavano a battere sull'acqua con bastoni di legno e a fischiare, questo richiamava i delfini, nemici della Muggine così che anche l'ultima possibilità di ritirata veniva a mancare. I delfini saltavano tra le reti, e mangiavano, i pescatori li accarezzavano e intanto chiudevano la trappola, la pesca si concludeva in un'allegria di spruzzi".

Bene, andiamo a vedere.


Prendo un taxi collettivo per Nouadibou e mi faccio lasciare a metà strada, dopo 228 kilometri, ad un incrocio dove si abbandona la via principale per entrare nelle piste della riserva (il Banc D'arguin nel 1989 è diventato riserva naturale e patrimonio dell'umanità UNESCO). C'è un posto di blocco. Il primo villaggio è a 38 chilometri. Chiedo se passano delle macchine e mi dicono forse domani, ma posso dormire nella baracca con la guardia. Vedo una macchina ferma con dentro due turisti. Un ragazzo greco sta appunto tornando dal villaggio: "Non ci andare. È un posto terribile, non c'è niente. Solo quattro baracche. È un villaggio fantasma. Non ci sono pescatori, niente. Siamo stati tutto il giorno nella tenda perché c'è la tempesta, se fossi stato solo mi sarei depresso, non andare!" e così dicendo la macchina parte. Il poliziotto dalla baracca mi fa segno che ha preparato il tè, sorride, gli faccio un sorrido di rimando e resto immobile.

Sono ancora in tempo per fare l'autostop e tornare in città. Decido di non pensarci. Da questo momento tutto si aggiusta.

Verso le 5 del pomeriggio un gruppo di francesi mi da un passaggio fino a Ten Alloul. Il villaggio fantasma descritto dal greco.



Il sole sta calando. Il vento è quasi cessato a terra e l'aria ora è libera, si respira bene finalmente. Il villaggio è solo una decina di baracche brutte e fatiscenti, e non si vede nessuno. I francesi si accampano. Vedo una barca che torna a riva e mi avvicino. Dalle baracche escono i pochi abitanti, una decina in tutto.

La barca getta l'ancora e un uomo si butta in acqua con la rete piena di pesci sulle spalle. Il mare è piatto. Il sole è una macchia impressionista in un cielo rosso di sabbia. È tutto lento, tiepido. Gli altri pescatori a riva mi guardano appena. L'unico che parla francese è Mimi, amico di Sidet (il pescatore che sta rientrando). Gli chiedo un posto per dormire. La loro baracca è l'unica tutta in legno. Mangiamo il pesce appena pescato cotto al vapore. Quando gli domando del loro metodo di pesca, mi dicono che quelle robe sono sorpassate e che ora vanno al largo e calano delle grandi reti di profondità, con quelle prendono molto più pesce! E infatti è così che questa zona è diventata a rischio, e il muggine una specie protetta.

Savio mi racconta: "quando hanno scoperto che potevano pescare con le reti di profondità hanno fatto strage di muggini. Erano troppe per venderle, le aprivano, prendevano le uova per la bottarga e poi li buttavano."

Sidet ha una enorme scucchia, 38 anni, ma sembra giovanissimo. Scorbutico, penso sia infastidito da me, ma capisco che è solo timido, impacciato. Quando gli faccio vedere la foto che ho fatto mentre scende dalla barca diventa un bambino, distoglie lo sguardo e dice "no, non sono io", Mimi lo incoraggia, gli piace la foto e ne vuole una anche di lui.

Mimi lavora per Sidet, ha 23 anni, è più ambizioso, parla meglio il francese. Gli chiedo dove posso spedirgli la foto ma lì non arriva la posta, niente, non c'è un modo. Sidet manda ancora più avanti la scucchia e dice che non importa. Dopo mangiato esco a fare una passeggiata. Avevo quasi dimenticato il posto dove mi trovavo.

È notte, ed è tutto fermo. Il vento si è calmato e il cielo si è aperto mostrando Orione proprio sulla mia testa. Il villaggio è desolato e illuminato da una luna piena. Mi sento bene, mi sento fortunato, mi sento al caldo e sono senza fiato.

Mentre cammino mi accorgo che neanche il mare fa rumore.

Vado sulla riva e ancora non sento niente, come è possibile? Avanzo, metto il piede in acqua e l'acqua non c'è. Si è ritirata. Ha lasciato un colore scuro sulla sabbia ed è indietreggiata di 30 metri. Marea bassa. Avanzo ancora e continuo a non sentire niente, fin quando metto il piede in acqua. Il mare è completamente immobile, come fosse un piccolo stagno. La luna non trova increspature sulla sua superficie per rifrangersi e quindi lo lascia scuro. E le onde imponenti dell'Atlantico? Neanche una traccia, sembra un lago di montagna, sia per l'acqua gelata, sia per l'assenza di moto.

In questo punto il Sahara si butta direttamente in mare. Il vento persistente che sgretola la terra e ricopre le città di sabbia, arriva sull'atlantico e in un certo senso continua il deserto sott'acqua. Immergendosi si può continuare a camminare sulla sabbia per chilometri. A 25 chilometri dalla costa il mare è profondo ancora pochi metri. Qui a riva non arrivano neanche gli echi delle onde che si sono infrante in alto mare contro i banchi di sabbia. Questa meraviglia ne crea altre: la bassa profondità consente la vita di un rigoglioso tappeto vegetale: mulloschi, crostacei, vermi, giovani pesci. E fa divenire questo luogo il paradiso degli uccelli di mare che vengono a svernare da tutto il mondo.

Mi infilo nel sacco a pelo nel silenzio più totale, con Sidet che ride e mi

indica a Mimi. Un uomo in un sacco è sempre ridicolo.

La mattina mi aspettano 11 chilometri lungo il mare per arrivare al prossimo villaggio. Uscito dalla baracca vedo in acqua a pochi metri dalla riva due pellicani bianchi con il becco gigantesco. Il sole è velato da una alta nuvola di sabbia, ma è abbastanza limpido. Mi copro bene, prendo lo zaino, la poca acqua che mi è rimasta e parto.



Cammino sulla sabbia soffice, a tratti troppo umida. Pesto i disegni lasciati dalle maree sulla spiaggia: centinaia di metri di piccoli solchi regolari, un mare di microscopiche onde di sabbia. L'oceano è sempre immobile e chiaro. A diversi metri dalla riva affiorano banchi di sabbia, come piccole isole. Gli uccelli ci si affollano sopra. Una quantità di uccelli impressionante. Alcuni stormi mi aspettano. Li vedo sulla riva davanti a me, attendono che mi faccia più vicino, poi tutti insieme si alzano in volo, fanno una dolce curva nel cielo e si depositano cento metri più in avanti.

Vorrei saperli riconoscere, so distinguere solo dei Pellicani, delle Cicogne, grandi stormi di fenicotteri bianchi, un gruppo di fenicotteri azzurri e gabbiani. So che qui arriva anche l'airone cenerino e la pittima minore che d'estate nidifica a nord della Siberia centrale, dall'altra parte del pianeta.


Il silenzio, il sole soffice e i passi creano uno stato di benessere, dove camminare non è più faticoso e la bellezza del luogo, che si accumula con il tempo, usa lo spazio a suo favore. La meraviglia mi conquista con calma, lenta entra in me, come l'acqua delle maree nei letti secchi dei fiumi preistorici. E agisce.

Il vento sale ricoprendomi di sabbia un paio di volte, e lasciandomi a camminare con i miei pensieri senza immagini di cui nutrirmi. Ma ogni volta si calma. Dopo cinque ore di cammino arrivo a Iuik, in tutto uguale all'altro villaggio, forse con qualche baracca in più. Il cielo si è aperto. Attorno alle barche ormeggiate ci sono dei pescatori che come d'abitudine non fanno caso a un turista ricoperto di sabbia che arriva a piedi dal nulla. Butto lo zaino in terra, mi stendo con la faccia al sole e mi addormento.


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