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Martedì, 1 Febbraio 2005

Lettere dal Nicaragua

Ci scrive dal Nicaragua Luciana, una nostra carissima amica architetto, che è andata laggiù ad offrire il volontario contributo della sua competenza tecnica...

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Vagabondo0

Ci scrive dal Nicaragua Luciana, una nostra carissima amica architetto, che è andata laggiù ad offrire il volontario contributo della sua competenza tecnica...

Ci scrive dal Nicaragua Luciana, una nostra carissima amica architetto, che è andata laggiù ad offrire il volontario contributo della sua competenza tecnica, spinta, penso, dalla voglia di conoscere e di dare una mano a quel suo lontano "prossimo" che il Vangelo esorta ad "amare come sé stessi", il che è sicuramente una delle cose più difficili da mettere in pratica!

Cara Fiamma,

E cosi' sono a Juigalpa, non ridente città del cuore del Nicaragua,
decisamente un posto di frontiera, zona pianeggiante e brulla, disboscata
per ricavarne legno da esportare e pascoli per le più magre mucche che abbia mai visto, circondata da montagne di 800-1000 metri con vegetazione molto bassa la Cordigliera d'Amerique. Vi si arriva da Managua a dorso di mulo...no, scherzo, ma quasi...con una Toyota con la marce ridotte, dopo tre ore, attraverso una delle poche strade asfaltate del Nicaragua (non esiste ferrovia) ma piena di buche enormi, dissestata e non manutesa, con gli esiti ancora devastanti dell'uragano "mitch" che si è abbattuto sul paese due anni fa.

L'accoglienza è stata calorosa e il Vescovo Monsignor Bernardo Hombach,
che di tedesco ha solo il nome, è persona simpatica, disponibile, colta,
non giovane ma molto attivo. Mi ha illustrato tutti i progetti che ha in
mente dalle ristrutturazioni agli ampliamenti alle nuove costruzioni
(case, ambulatorio con sala operatoria e una piccola degenza, piccole
cappelle), su alcuni sto già lavorando. Mi ha poi presentato
ufficialmente ai venti parroci, di vari ordini e di vario mondo anche se
molti nicaraguesi, della Diocesi che si estende per un vasto territorio
comprendendo due regioni Chontales (Juigalpa ne è il capoluogo) e Rio San
Juan, che vanno dall'Atlantico fino a quasi al Pacifico passando dal negro
e enorme ( è il decimo del mondo) lago Nicaragua fino al Costa Rica.

Tutti i sacerdoti volevano un appuntamento per illustrarmi i loro
"problemi costruttivi"! Speriamo in bene! In queste regioni, sicuramente
fra le più povere, con piccole città e molta popolazione sparsa nel
campo, si vive come cento anni fa da noi, pur con i presidi della nuova
tecnologia che ogni momento sottolineano ancor più le differenze, in
alcuni posti qua intorno poi, come nel Medio Evo. Capanne che hanno come
pavimento la terra dove sono stipate sette, otto persone mischiate alla
sporcizia che ti guardano come se questa loro vita fosse un soggiorno al
quale sono destinati ma al quale sono totalmente indifferenti, quasi non
li riguardasse...devono solo far passare il tempo che gli spetta o al
quale, meglio, sono condannati! Altra cosa molto strana è che qui sono
tutti tanto poveri (tranne quelli di censo molto alto, in numero
ridottissimo, che incontri soprattutto a Managua su grandi belle alte
vetture a quattro ruote motrici) ma grassi, il cibo di base c'è e anche
ricco di salse. È un popolo molto affettuoso e le persone sono disposte a
offrirti e a dividere con te il poco che hanno.

Andando verso l'Atlantico, nulla è rigoglioso ma bensì brullo e secco
(in tutto il paese albergano 58 vulcani), se si escludono alcuni
suggestivi scorci di colline, un po' più verdi, che si avvicendano in
molteplici quinte confondendosi all'orizzonte con la leggera foschia
dell'umidità e ti si aprono davanti agli occhi quando sobbalzando sulla
Toyota cominci a salire di quota. In due ore puoi coprire al massimo 80-90
km passando attraverso immense piantagioni di caffè abbandonate. Sono,
come mi spiegava uno degli autisti della Diocesi mentre mi accompagnava in
quella zona per un sopralluogo, terre che i sandinisti confiscarono ai
proprietari terrieri durante la rivoluzione e ora terre di nessuno con
grave perdita per tutta la comunità. Lungo la strada alberi di mango,
banane e lunghe file di palme. A parte qualche altro veicolo incontri:
bambini, dai 6 ai 10 anni, che con mastodontiche pale più grandi di loro
fanno finta di "rattoppare" le profonde buche con un po' di pietrisco per
chiederti l'elemosina (i nostri lavavetri!), mucche al pascolo lungo la
carretera segnalate in modo artigianale con una lisa bandierina rossa
come si potrebbe fare per un incidente, e cow-boys a cavallo che insieme
alle strade sterrate semideserte pietrose, anche nell'abitato, danno il
soprannome di Far East a questa regione.

Di ciò che ho visitato fino ad ora sicuramente Granada (l'altra città
costruita dagli Spagnoli, mi dicono interessante, è Leon) è la più bella
e ben conservata, solenne la sua piazza principale con la Cattedrale e
alcuni edifici con il Museo di architettura coloniale. Non abbiamo trovato niente sull'architettura del Nicaragua perché' "niente c'è"!
Brutti pochi i nuovi edifici a Managua, nonostante
siano passati 32 anni dal terribile terremoto che quasi la rase al suolo.
Cattedrali nel deserto senza nessuna logica e pianificazione, svettano
alti e insignificanti su un tessuto di edifici quasi tutti ad un solo
piano. Di nessun interesse la Nuova Cattedrale, credo progetto di un
messicano, pensate! la chiamano "le tette di Cicciolina", più moschea che
Chiesa di Culto Cattolico. Molto più suggestiva la Vecchia Cattedrale
che si può visitare solo da fuori perché' diroccata. Della cultura india
non vi è traccia, a parte un po' di coloratissimo artigianato locale della
ceramica e del legno. Quello che non avevano distrutto i sanguinari
conquistatori spagnoli lo hanno fatto la lunga guerra civile, le calamita'
naturali dai terremoti alle eruzioni vulcaniche agli uragani e ora i
politici, ahimè anche qui corrotti, che hanno fino ad ora usato le
risorse che vengono da fuori per arricchirsi e non per ricostruire questo
dolente paese. La Chiesa, invece, e lo dice una che non è neanche
praticante, come forse in tutti i paesi bisognosi di tutto ha un ruolo
importante, sia di sostegno morale che per le molteplici iniziative
benefiche attivate da missionari illuminati (come il Monsignor Hombach),
che tra le altre cose ha creato una "Obra por los niños" di bambini dai 6
ai 13-14 anni, che si sono già macchiati di delitti e spaccio di droga,
togliendoli dalla strada e educandoli all'istruzione e al lavoro. Può
essere che vada lì a far fare loro un po' di ginnastica. L'unico sport
praticato, ma nelle zone un po' meno povere del paese è il baseball,
sport nazionale, per il resto non hanno i soldi neanche per qualche
pallone da calcio.

La mia sistemazione nella Casa Episcopale è accettabile. A parte un primo
momento di sconforto alla vista della tavoletta del mio WC, forse
banchetto di qualche topo, dopo una sana pulita al bagno e alla stanza con
i detersivi che mi ero portata da Roma già l'animo si era risollevato. La
cucina di Doña Nieve è buona sana povera non varia. Il piatto nazionale
è il gallo pinto cioè' arroz y frijoles (riso e fagioli neri) a colazione
poi ancora a pranzo e... frijoles y arroz la sera, il piatto forte è la
carne cucinata molto cotta con varie verdure, il venerdì il più
appetitoso pesce di lago. Professionalmente dispongo di un antidiluviano
tavolo da disegno che con un po' di fantasia, vari aggiustamenti
(particolare non irrilevante mancavano le righe al tecnigrafo, sostituite
da un prezioso collaboratore della Diocesi da altre in ferro pesantissime
acquistate su consiglio e alla presenza del Vescovo dal ferramenta e da
una riga che si sposta su due cordoni laterali comprata in un negozio di
articoli da disegno, sempre a Managua), è ora perfettamente funzionante, e
di un programma di Autocad2002 in spagnolo dalle mille difficoltà ma con
il quale disegno ormai da un po' di giorni, non è stato possibile montare
Autocad2000 in inglese che mi ero portata da Roma, obsoleto per il nuovo
computer comprato per l'occasione dal moderno e tecnologico Monsignore!
Benedetta società dei consumi!

Secondo la tipologia costruttiva nicaraguese la Casa Episcopale ha pareti
forate non solo verso il patio interno ma anche verso l'esterno e non ha
finestre ma strani infissi, protetti da grate in ferro se si affacciano
sulla strada, realizzati con strisce di vetro orizzontali che possono
ruotare su se stesse, e che quindi rimangono sempre inevitabilmente
aperte, difficili da veder pulite per la copiosa polvere sollevata dal
continuo vento e per l'indolenza dei suoi pur sempre sorridenti abitanti.
Insomma la strada è in casa, una vera partecipazione corale a tutto ciò
che succede, il pubblico che si impone sul privato e viceversa. Intorno
alle cinque, ancora è buio, cominciano a sentirsi in lontananza strane
grida che si rincorrono nell'aria già calda trascinate qua e là in una
danza sregolata al ritmo del persistente vento. Sono i galli ma cantano in
nicaraguese, non il nostro chiaro e sano "chichirichi'" di allegro e
spensierato buongiorno ma un lamento straziante quasi un ululato, anzi
più ululati che si chiamano e si rispondono nella vasta campagna di
questo orizzontale mondo nico dove tutto si svolge vicino alla terra e
alla polvere. Nel loro canto la disperazione con la consapevolezza
dell'ineluttabile sembrano annunciare a tutti una giornata di stenti e
difficoltà. Segue a ruota, fin dalle prime ore della mattina
accompagnandoti per il resto del giorno, il penetrante odore della carne
cucinata su antidiluviani barbecue a legna (non esiste il gas), e poi il
traffico strombazzante per l'esagerato uso dei clacson, dei primi veicoli
di gente che va a lavorare, in genere camion rumorosi, vecchi, che
emanano gas neri e puzzolenti, quasi sempre dismessi da paesi come gli
Stati Uniti, Germania, Giappone e spediti qui, come ad esempio tutti gli
autobus di linea. Appena si sveglia tutta la città comincia la musica:
gli "strilloni" che pubblicizzano ad altissimo volume i vari esercizi
commerciali accompagnati da motivi anche italiani (Eros Ramazzotti e Laura
Pausini vanno per la maggiore) si fondono allo sciogliersi delle campane e
ai canti liturgici della vicina Cattedrale, o ancora ai ritmi allegri e
semplici della musica del pueblo che accompagna quotidiane processioni in
onore di vari Santi. Comincio a farci l'abitudine, non è sgradevole, è
la colonna sonora del film della vita quotidiana in Juigalpa. La Casa è
molto frequentata, durante il giorno è un andirivieni e vociare di gente,
ma io lavoro tranquilla defilata davanti al tavolo da disegno montato
nell'ampio corridoio delle stanze del Vescovo al piano superiore o meglio
nello studio dal quale ora scrivo dove c'è il computer e la mia
scrivania. Poi, ad un tratto, come per incanto... la Casa si riempie di
mistici canti, voci maschili in una atmosfera rarefatta di insolita magia, i seminaristi in riunione con il Vescovo elevano al Signore il loro
ringraziamento. La prima volta, per fortuna ero sola, ma giuro, ho riso
fino alle lacrime, dicendo a me stessa...chi me l'avrebbe mai detto!

Un caldo e affettuoso abbraccio tropicale

Luciana.

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Alla festa di compleanno con il Vescovo

Ore sei del mattino, alla guida il Vescovo, Monsignor Bernardo Hombach
missionario tedesco, calzato ben in capo il suo bianco berretto con
visiera "tipo Arena" sponsorizzato dalla Conferencia Episcopal, a bordo
del carro altri tre passeggeri ed io, ci dirigiamo sobbalzando sulla
dissestata strada, in parte non asfaltata, che va verso l'Oceano
Atlantico, ad Est, passando per Santo Tomas, Muhan, La Gateada, piccoli
centri abitati in mezzo al vasto campo. All'orizzonte la corona della
Cordillera d'Amerique. Negre nuvole si addensano sopra i dolci pendii
portate dal forte vento (fenomeno del niño) lasciando filtrare mattutini
ma già caldi umidi raggi di sole che disegnano prati di luce sulle
deserte aride brune montagne. Lungo il percorso i soliti bambini, anche
molto piccoli (la prima volta la loro vista mi lasciò senza parole)
tentano di colmare con un po' di pietrisco, aiutati da enormi pale , che
potrebbero apparire così grandi solo nella distorta ottica di un incubo
notturno, le profonde buche della carretera. Ad essi vengono gettati al
volo, direttamente sul malandato asfalto, alcuni cordobas come ricompensa.
Sorpassiamo spediti altri veicoli colmi di gente e un autobus, salutando
calorosamente a suon di clacson e festosi cenni della mano i nostri futuri
compagni di "bagordi". Incontriamo solo qualche cowboy a cavallo e alcuni
gringos (soldati nord americani) che si spostano su basse rettangolari
vere e proprie mimetizzate macchine da guerra dall'aria torva e cattiva,
che incutono anche un certo timore. Raggiungiamo poi il loro Campo Base
nato qui per aiutare a costruire strade e scuole, dove il Monsignore si
ferma a salutare il Cappellano suo amico. Ogni tanto un posto di blocco
del Governo nicaraguense, segnalato da dissuasori, composto da un
casottino in legno come rifugio dal sole tropicale e due indolenti
trasandati gendarmi che fermano i pochi mezzi per i controlli.

Il Vescovo, accostandosi sulla sinistra rallenta ma non si ferma, alza solenne verso l'alto la mano in segno di saluto, sorride cordialmente a tutti,
impartisce la Benedizione e ... continuiamo indisturbati il nostro scomodo
viaggio.

Arriviamo al piccolo centro di El Coral con la sua bassa
chiesetta e da qui con una deviazione sulla sinistra attraverso una strada
sterrata ci addentriamo nel vero e proprio campo. Circa quarantacinque
minuti di su e giù, fiduciosi nella sicura e perfetta andatura del
Monsignore, passando di finca (proprietà) in finca, aprendo e chiudendo
cancelli di separazione fra un confine e un altro, guadando tre suggestivi
fiumiciattoli sulle cui rive lussureggianti di verde vegetazione sostano
coraggiosi bagnanti (i corsi d'acqua in queste zone sono facilmente
inquinati), mentre ci accompagnano lungo il percorso stanche pigre magre
mucche al pascolo che tentano di nutrirsi della rada secca erba sotto i
rari non fronzuti nè rigogliosi alberi.

Ed eccoci finalmente, dopo solo quattro ore di viaggio, immersi nel
caratteristico esempio del corazon nico, è la vasta proprietà del
festeggiato il Señor Efrain. Il Monsignore scende dall'auto non prima di
aver sostituito il suo copricapo. Ora indossa il classico sombrero, molto
più adatto alla circostanza. Viene accolto con calore misto a reverenza
mentre lui abbraccia tutti con affetto. Nel vasto campo, poca la
vegetazione, sostano posteggiati qua e là alcuni cavalli sellati e pronti
all'uso. A destra una piccola oscura spartana costruzione dove già si
affaccendano, davanti a grandi, fuori misura, piatte pentole nere
fumanti su fuochi di legna appoggiati in terra (ricordano quelle dei
fumetti di Maga Mago' dove sobbollono pozioni magiche), le donne che
preparano la comida (il pasto) per le oltre duecento persone. A sinistra,
alle dieci del mattino, sono al riparo di un fresco pergolato con le gambe
sotto il tavolo i numerosi invitati, qualcuno già occupato ad esercitare
le sue mandibole. Ma all'arrivo del Vescovo come per incanto spariscono i
tavoli, le sedie vengono disposte ordinatamente in fila davanti ad un
improvvisato altare e, in men che non si dica, la ombrosa e profana
pergola si trasforma in luogo di culto.

Carismatico, fa il suo ingresso il Vescovo nel suo viola paramento sacro,
privo ovviamente del sombrero. Un gruppetto di cinque adolescenti,
chitarre alla mano, intonano il primo canto liturgico a dimostrazione che
ogni luogo può diventare magico quando si parla d'amore, si fa l'amore o
come in questo caso lo si celebra. Fra applausi al Vescovo, al
festeggiato, al Parroco di El Coral, come colonna sonora canti semplici ai
quali si uniscono tutti in coro e le parole dell'omelia del Monsignore che
invita a "compartir" con gli altri il poco o il tanto che si ha portando
ad esempio la generosità del nostro ospite, si consuma il genuino sentido
rito religioso che ha il suo culmine nel momento in cui il celebrante
invita i fedeli a "scambiarsi un segno di pace". Il piccolo consesso, fino
ad allora ordinato e attento, si scompone per qualche lungo minuto. Ognuno
cerca l'altro, il vicino, l'amico, il parente, il Vescovo, il festeggiato,
il Parroco, la straniera (non passo inosservata per essere l'unica dai
colori chiari e il viso pallido) e con il coinvolgimento discreto di tutto
il corpo affettuosamente proteso, avvolge la sua mano intorno
all'avambraccio dell'altro in un contatto più saldo e caloroso della
normale distaccata stretta di mano. Seguendo l'indicazione appena
suggerita dal Monsignore, e quindi con la sua Santa Benedizione, si passa
dalla "Misa" alla "Mesa".

Con lo stesso sincero slancio con il quale si era compiuto il Sacro Rito
ora si andava a celebrare, non con minor entusiasmo, quello profano. Su
una parte di prato, lungo il pergolato, una solida graticola di circa tre
metri quadrati di estensione, montata sull'erba sopra sassi e legna ormai
carbonizzata, accoglieva in più ripetizioni intere porzioni di vitello,
se ne riconoscevano le parti smembrate, precedentemente messe a macerare
in un intingolo di olio e numerosi odori in bidoni di plastica azzurri di
non chiara provenienza fuori apparentemente sporchi di cemento, e
direttamente sempre e solo con l'aiuto delle nude mani ancora gocciolanti
del ricco liquido, venivano prima girati più volte sul fuoco per una
completa cottura, poi adagiati su un tavolaccio di legno dove, tagliati in
grossolani pezzi, erano posti su piatti di plastica, ricoperti di strani
vegetali e, finalmente, distribuiti agli astanti in attesa disposti già
da tempo su una lunga fila. Dalla plastica alla bocca il trasferimento del
succulento composto avveniva con il solo ausilio delle dita. La musica del
solito complessino, che aveva sostituito alle chitarre strumenti a fiato e
tamburi ora si era fatta forte incalzante. I ritmi della "musica del pueblo" si spandevano gioiosi e riecheggiavano sospinti dal persistente
vento per tutta l'estesa campagna. Anche il Vescovo, tornato sulla scena
con il suo sombrero, nella destra un forchettone nella sinistra un
coltello, esortato da un capannello di persone che gli si era fatto
intorno, allegro e sorridente affettava carne più prelibata e scelta,
gentile particolare omaggio del Señor Efrain, e seguiva personalmente la
cottura del suo "asado" per poi offrirlo e dividerlo con tutti gli altri
con naturale innata generosità. Il sacrificio degli armenti, le graticole
e le pentole, il totale coinvolgimento anche fisico dei convenuti, gli
elementari motivi musicali dove il tamburo faceva da padrone, l'odore acre
e penetrante della carne bruciacchiata, il fumo che aleggiava sorretto
dal vento, tutto rievocava riti primitivi e tribali.

La manifestazione del loro istinto più profondo, a dispetto delle
distruzioni provocate a questo popolo e alla sua terra dai conquistatori,
dalla guerra, dalla matrigna natura, resisteva ancora forte e intatta
nella loro indole, ne erano testimonianza i loro volti che, dopo secoli di
commistione con altre popolazioni, mantenevano lineamenti marcatamente
indios. Prima era stata la spontanea fame d'amore, la ricerca del
nutrimento dell'anima che aveva elevato i loro cuori sinceri dandosi nella
preghiera e nel canto, ora era il nutrimento del corpo al quale
partecipavano con tutti i sensi che li spingeva istintivamente anche a
gettare il cibo avanzato per terra, non per atto vandalico, si' forse per
incultura, ma quasi per un desiderio inconscio di unirsi ancora una volta
alla Madre Terra.

Seduta in mezzo al prato su una liscia calda pietra osservavo distante,
non era la mia Storia, non mi apparteneva. Ma mentre all'inizio mi aveva
incuriosito ora quel mondo lontano, li' cosi' presente, mi rapiva.
Sorpresa da me stessa a "guardare dal buco della chiave", imbarazzata,
sono quasi contenta quando odo la voce del Vescovo che mi dice : Si
torna a casa!

Luciana

Luciana ci ha poi scritto una seconda lettera dal Nicaragua


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