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Mercoledì, 25 Marzo 2009

Laos: Gateway to Indocina

Finalmente il Mekong, l'immenso fiume color caffèlatte che segna gran parte del confine tra Thailandia e Laos.
Concorso Storie Vagabonde

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Vagabondo0


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Vieng Phoukha, 29 Dicembre 2008

Finalmente il Mekong, l'immenso fiume color caffèlatte che segna gran parte del confine tra Thailandia e Laos. E' sempre emozionante passare i confini via terra, ci si avvicina gradualmente all'altro paese, se ne assapora l'odore e più ci si avvicina più le differenze si mescolano, si parlano 2 lingue, si usano 2 monete e 2 cucine diverse.

Huay Xay è una città tranquilla, definita fiorente e relativamente ricca, dove abbiamo passato la notte prima del viaggio verso il Nord ed i suoi Parchi Naturali. Non tante differenze rispetto all'altro lato del Mekong, ma chissà cosa ci aspetta andando avanti.

Stamattina, col nostro nuovo visto di 30 giorni e tanta voglia di scoprire questo paese nuovo di cui tanto abbiamo sentito parlare negli ultimi anni, siamo partiti alla volta di Vieng Phoukha, in realtà senza sapere bene dove stessimo andando per la carenza di informazioni. Sapevamo che viene usata da pochi turisti occasionali come base per alcuni tra i più bei trekking del paese. I bus e le strade ci hanno subito fatto notare l'enorme differenza tra Thailandia e Laos. Probabilmente l'India ci ha abituato al peggio tant'è che abbiamo pure dormito, incastrati tra sedili minuscoli e circondati da monaci col cellulare e anziane del villaggio che vomitavano di continuo dentro sacchetti di plastica che poi lanciavano dal finestrino.

Mentre il minubus arrancava ai 10 all'ora per strade tortuose e non sempre asfaltate, ci scorreva sotto gli occhi un paesaggio spettacolare di dolci colline ricoperte di foresta pluviale intervallata da piane geometricamente suddivise da risaie. Lungo i 130 km nemmeno una casa di cemento, solo pittoreschi villaggi di palafitte senza l'ombra di alcuna linea elettrica.

L'arrivo alla meta è stato un po' traumatico soprattutto perché ci siamo resi subito conto che mangiare qua sarebbe stato un problema. Abbiamo adocchiato una tavola imbandita con zuppe dall'aspetto prelibato ma, poveri noi, erano destinate ad un gruppo di Laotiani. Abbiamo provato lo pseudo ristorante-stazione dei bus al lato, una zuppa orrenda che è rimasta nel piatto quindi, infastiditi, abbiamo lasciato perdere e ci siamo diretti verso la guesthouse indicata da un bel cartello giallo. Il villaggio è veramente primordiale e ci fa strano che ci sia un ufficio turistico che organizza trekking di elevato livello ecoturistico. La guesthouse in compenso è carina e lungo la strada sentiamo musica a tutto volume e tanta gente a sedere sotto un tendone improvvisato.

Che bello un matrimonio tipico, per di più Laotiano, chissà quante foto e che ridere se ci invitano a partecipare!! Si che ci invitano, ma sono già tutti ubriachi fradici e le dubbie pietanze sul tavolo non ci attirano per niente. Brodini marroni e fluidi dall'igiene incerta lasciati a metà e casse di birra ai lati del tavolo. Ogni volta che passiamo lì davanti nella nostra ricerca di qualcosa di commestibile ci invitano immancabilmente a sederci con loro.

Fatto sta che il trekking salta perché a pancia vuota non si fa niente.

In realtà qualcosa al mercato c'era: tre bei topolini essiccati...gnam!

Non rimangono che le banane!


Ora siamo a Luang Nam Tha, città carina e molto più civilizzata, a livello quasi thailandese, altra base per i trekking nell'area protetta del Parco NamTha.

Ma stamattina abbiamo avuto l'ultimo "colpo di coda" di Vieng Phoukha. Siamo a colazione e sentiamo rumori dal soffitto: rantoli di animale, passi d'uomo ed uno scambio di soldi. Sul momento non ci facciamo tanto caso ma quando appare il sacco di liuta realizziamo subito. Il rantolo era di un gatto. Poi il resto avviene tutto sotto i nostri occhi. Anche l'ultimo micino viene scovato e gettato nel sacco insieme agli altri che già non si muovono più...


Un "proverbio" dice che i cinesi mangiano tutto ciò che vola tranne gli aerei e tutto ciò che ha le gambe meno i tavoli! La Cina è a un passo da qui.



Luang NamTha, 06 Gennaio 2009

Il nuovo anno è iniziato con un 3 giorni di trekking nella giungla.

Il 31 abbiamo cercato di arrivare fino mezzanotte almeno per celebrare l'anno nuovo e devo dire che la città di Luang NamTha si è dimostrata abbastanza viva. Siamo riusciti ad arrivare alle 00:30 e avremmo potuto fare anche di più, ma le 5 ore di camminata del giorno dopo ci mettevano paura.

Il giorno dopo, non proprio in forma anche se non abbiamo esagerato con il LaoLao (whisky di riso), abbiamo iniziato il 1° tratto del trekking da un villaggio Kahmu, dove il nostro arrivo penso possa essere paragonato allo sbarco di Colombo in America: lui con le 3 caravelle noi con un pick-up, ma gli sguardi stralunati dei giovani e giovanissimi del villaggio sicuramente erano gli stessi. Alcuni neonati addirittura hanno pianto. Qua di turisti non ne passano molti.

Eravamo noi, una coppia di tedeschi di 60 anni in formissima, la nostra guida Den, un ragazzo molto grazioso di 18 anni che già parla l'inglese perfettamente ed un suo amico. Dal villaggio si sono aggregati poi due portatori, due veri uomini della foresta che ci hanno cucinato divinamente e trasportato le provviste per tutti i tre giorni. Così in 8 siamo partiti attraversando il fiume NamTha e per i seguenti giorni non vedremo nessun'altra presenza umana né animale. Il percorso non era proprio una passeggiata, anche se a vedere i due portatori del villaggio in infradito poteva sembrarlo, soprattutto il 2° giorno quando abbiamo salito e ridisceso colline di giungla primaria infestata di sanguisughe. Peccato, l'unico animale, orribile, è stato questo. Non che mi aspettassi tigri ma questa foresta mi è sembrata più un bosco incantato che una giungla tropicale.



Comunque le esperienze più belle sono state i pasti, consumati per terra utilizzando immense foglie di palma come tovaglie, e le soste per la notte nei campi-base con l'antico fascino dello stare attorno ad un fuoco a raccontarsi leggende e storie passate e a cercare di capire qualcosa di più sulla cultura di queste tribù. La differenza che noti immediatamente è il loro rapporto con la natura, che noi abbiamo perso, nella quale si muovono agili e a proprio agio perché la conoscono bene, e rispettano in quanto principale loro sostentamento.

Si può definire povero un popolo, un villaggio, in cui la gente non ha bisogno di nient'altro che cibo, acqua, una casa di bambù e degli spiriti da graziare?

Noi abbiamo impiegato duemila anni per arrivare alla civiltà di adesso, non ci manca niente di tutto ciò, ma stiamo forse meglio a livello spirituale?

Abbiamo ad ogni modo sempre le stesse paure e gli stessi spiriti da graziare, solo con qualche comodità in più. E a giudicare dai loro sguardi non vedevo invidia nei loro occhi, mai una richiesta di soldi o doni, ma una profonda dignità e umiltà.

Piuttosto, indifferenza è quello che si prova, quando si visita uno dei tanti villaggi delle Hill Tribes, siamo noi i curiosi e sembra che loro del nostro mondo non ne vogliano sapere niente.

I 2 giorni successivi siamo stati a Muang Sing, a 10 km dal confine con la provincia cinese dello Yunnan, un villaggio polveroso ma affascinante, con un'unica via asfaltata sulla quale si affacciano antiche case di legno con balaustra in stile coloniale francese.



Fino a pochi anni fa questo paese era uno dei centri più importanti per la coltivazione dell'oppio, che era venduto liberamente al mercato centrale. Ora che le colture sono state sostituite, ci si viene per il suo immenso patrimonio etnico sparso in un'idilliaca vallata di risaie e bufali costellata di placidi baan di etnie diverse.

Ieri abbiamo noleggiato due moutainbike e ci siamo lanciati alla scoperta della valle, con un passaggio prima al confine cinese e poi giù nei villaggi Yao e Hmong, che ancora non avevamo conosciuto. Bellissimo il paesaggio che di prima mattina ricorda più i nebbiosi villaggi cinesi mentre dalle 11 in poi, quando il sole disperde le nubi, si apre una pianura sterminata di risaie con in lontananza imponenti montagne ricoperte di foresta monsonica.


Andrea Ridolfi
www.Rido.altervista.org
www.Masala.altervista.org


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