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Giovedì, 14 Maggio 2009

Il giro d'Islanda in 10 giorni

Dieci giorni di tempo e pochi soldi non sono i presupposti ideali per visitare l'Islanda, ma è esattamente quello che abbiamo deciso di fare. Ci attrezziamo con tenda e sacchi a pelo adeguati per dormire in campeggio, tempo permettendo.

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Dieci giorni di tempo e pochi soldi non sono i presupposti ideali per visitare l'Islanda, ma è esattamente quello che abbiamo deciso di fare. Ci attrezziamo con tenda e sacchi a pelo adeguati per dormire in campeggio, tempo permettendo. E il tempo permetterà: una fortuna sfacciata ci assisterà per tutto il viaggio, quasi interamente baciato dal sole.
Giorni 1-2

Per la prima notte prenotiamo dall'Italia una stanza alla guesthouse Keflavik. Il nostro volo è in ritardo di un'ora, ma Jonas, il proprietario, è lì ad aspettarci sorridente.

Il giorno dopo, la moglie Lovisa ci accompagna al flybus per il centro di Reykjavik e ci dà alcuni pratici consigli: i posti più convenienti per fare la spesa sono i supermercati Bonus (è vero, ed è lì che acquisteremo la materia prima per i nostri pasti); in Islanda l'acqua non si compra, perché è potabile proprio dappertutto. A quanto pare gli islandesi ci tengono a inculcare il concetto ai turisti: poco dopo, mentre sto guardando il prezzo dell'acqua al Bonus, un'anziana signora si avvicina premurosa al grido: "Don't buy water in Iceland!".

Tutti gli islandesi parlano inglese, e la nostra limitata esperienza ce li ha fatti apprezzare come un popolo molto disponibile, seppure senza grandi slanci, e soprattutto rilassato. Tutto si svolge a ritmi tranquilli, in lunghe giornate che cominciano presto e spesso si concludono in una tiepida piscina, prima della cena in campeggio, dove quasi sempre si incontrano facce note. I turisti non sono molti, e la strada principale è sempre quella: non è raro seguire lo stesso itinerario di perfetti sconosciuti che dopo qualche giorno diventano familiari, e tornare in tenda dicendo "Sono arrivati anche i tedeschi", oppure "Ma i due fratelli in bici? Si saranno fermati prima, oggi".

Per quanto riguarda l'itinerario, non potevamo seguirne uno più canonico. Abbiamo optato per il giro in senso orario, che consiglio: è al Sud che ho trovato i paesaggi più impressionanti, e se li avessi visti per primi forse non avrei apprezzato abbastanza il Nord, ugualmente interessante ma a mio avviso meno particolare.

L'inizio non è entusiasmante: ritirata l'auto, puntiamo verso la penisola Snaefellsnes. Vorremmo visitarla tutta, ma la prima tappa (la minuscola cittadina di Stykkisholmur, che la Lonely Planet descrive come un "pittoresco borgo di pescatori") si rivela alquanto deludente: cambiamo programmi, e per il resto del viaggio staremo più attenti a non farci trascinare dai facili entusiasmi della Lonely.

Dopo una tappa a Bifrost, ci fermiamo all'ostello di Reykir, dove ritroviamo la gentilezza e la disponibilità degli albergatori islandesi: l'ostello è pieno, quindi ci propongono di accamparci gratuitamente nel prato antistante, oppure di dormire nella scuola del paese, dotata di cucina, bagno e sala comune con poltrone e biliardo!



Giorno 3

Il tratto fino ad Akureyri è caratterizzato da alte montagne e vaste pianure piene di cavalli e pecore che pascolano liberamente ai margini della strada, talvolta spingendovisi in mezzo. Ecco un altro aspetto dell'Islanda che mi è rimasto impresso: l'estrema varietà del paesaggio, che cambierà continuamente lungo la statale n°1. Le montagne lasceranno il posto a distese di color verde pistacchio prima e giallo poi; più avanti ci ritroveremo circondati da basse montagnole di lava crepate alla sommità, simili a muffin troppo cotti, poi da campi di muschio soffice e infine da spiagge e montagne nerissime.

Ad Akureyri ci concediamo un paio d'ore nella piscina comunale, dove scopriamo che tutto quanto abbiamo letto sulle terme e sul loro ruolo "sociale" nella cultura islandese è vero. Prosperose casalinghe di mezza età, attempati uomini d'affari, esagitati adolescenti e serafiche mamme con bimbi al seguito si mescolano in un modo che a noi italiani appare quantomeno strano: tutti sono educati (per esempio si cede il posto, anziché tentare di fregarlo) e silenziosi, nonostante chiacchierino incessantemente. I turisti sono ben accolti ma "controllati" perché non turbino il perfetto funzionamento di queste oasi di relax, che dipende in grandissima parte dall'educazione dei frequentatori. Ci accampiamo nel nuovissimo campeggio dotato di cucina attrezzata e di una sala comune piacevolmente riscaldata dove stare fino a tardi.
Giorno 4

Prima tappa alle cascate di Goddafoss. Secondo la guida sono tra le meno imponenti d'Islanda, ma per noi sono comunque impressionanti. Procedendo verso est arriviamo al Lago Myvatn. Sapevamo dell'altissima concentrazione di moscerini nella zona, ma non ci rendiamo conto della portata del problema fino a quando non vediamo i turisti che camminano sulle sponde del lago. Procedono a capo chino, sventolando ossessivamente le mani: molto divertente, finché non ci troviamo a fare la stessa cosa. Risaliamo in macchina e ci avventuriamo in quella che ricordo come la parte "più islandese" d'Islanda: vaste distese di lava solidificata nelle forme più strane (Dimmuborgir), terra calda che fuma e ribolle (Bjarnafell), vulcani e specchi d'acqua sulfurea di un azzurro surreale.

Arrivati a Egilstadir, ci inerpichiamo (accompagnati da un leggero nevischio) sui tornanti che conducono a Seydisfjordur, porto d'attracco delle navi in arrivo dalla Danimarca. In ogni viaggio c'è un posto in cui si pensa: "Una delle prossime vite vengo a trascorrerla qui". Per l'Islanda, quel posto è stato Seydisfjordur: saranno le montagne innevate che si specchiano nel fiordo, sarà la serata nel centro culturale dove ceniamo e ci rilassiamo davanti a una tazza di caffè e un libro, navigando gratuitamente in internet, sarà la chiesetta in legno azzurro stipata di gente accorsa per assistere a un concerto, o il minicinema da 12 posti sulla strada principale, o l'affollato pub che sembra il salotto di una casa privata, ma Seydisfjordur mi è rimasta nel cuore.
Giorno 5

Si prospetta una giornata faticosa: vogliamo arrivare a Hofn e abbiamo un lungo tragitto davanti, senza nulla di particolare da visitare. Eppure sarà uno dei giorni più belli della vacanza: scegliamo di tagliare all'interno anziché costeggiare i fiordi orientali, percorriamo diversi tratti di sterrato e ci ritroviamo circondati dalle montagne e da vallate di un verde intenso, sempre nella più totale solitudine.
Giorno 6

Arriviamo a Jokulsarlon, la laguna in cui sostano gli iceberg che si staccano dal ghiacciaio Vatnajokull prima di arrivare in mare aperto. Era il posto che attendevo di vedere con più ansia, ed è stato assolutamente all'altezza delle aspettative. Complice l'ennesima giornata di sole, lo spettacolo è stupendo, e l'escursione in barca all'interno della laguna molto interessante. Dopo due brevi soste (a Kirkjubaejarklaustur, il villaggio con il nome più impronunciabile d'Islanda, e al canyon di Fjardragljufur) arriviamo a Vik.



Giorno 7

Oggi il servizio sveglia è offerto dagli uccelli annidati sulla montagna che sovrasta il campeggio. Per prima cosa andiamo al promontorio di Dyrholaey, dove vediamo una grande quantità di pulcinelle di mare a distanza molto ravvicinata. Dopo una tappa alla cascata di Skogafoss (non eccezionale) e un ottimo pranzo a Sellfoss raggiungiamo le cascate Gulfoss (queste sì, eccezionali) e poi il famosissimo Geyser. Pur avendolo visto in innumerevoli foto e filmati, è uno spettacolo incredibile, per certi versi ipnotico: dopotutto, è un fenomeno che si ripete identico a se stesso ogni 6 minuti, eppure saremmo rimasti lì tutto il giorno, sopraffatti dalla forza che ogni volta si sprigiona dal suolo. Sarà anche l'attrazione turistica più inflazionata dell'isola, ma è imperdibile.

In serata arriviamo a Reykjavik: dopo i pochi giorni passati in giro per l'Islanda nella pressoché totale solitudine, il campeggio, dove la densità di popolazione supera nettamente la media nazionale di 3 abitanti per km2, ci appare addirittura caotico.

Visto l'affollamento dei bagni, eleggiamo a toilette personale la vicina piscina comunale, dove con soli 3€ nuotiamo, ci rilassiamo al sole e ci facciamo la doccia senza dover fare la coda.

Decidiamo di passare la serata in centro, dove assistiamo al tradizionale runtur del sabato, pratica della quale avevamo letto ma che non pensavamo esistere veramente: le vie del centro vengono occupate da auto stipate di ragazzi che procedono in fila indiana a finestrini aperti e musica alta alla disarmante velocità di 20 km/h. Data la dimensione del centro di Reykjavik, se ci si ferma in un punto è facile vedere ripassare le stesse auto più e più volte. La cosa perde presto il suo fascino, quindi ripieghiamo su una meno islandese serata in un paio di locali.
Giorni 8-10

Ci immergiamo totalmente nella vita della capitale, che giriamo in lungo e in largo senza programmi predefiniti: dal monumento simbolo della città alla cattedrale, dall'osservatorio Perlan al mercatino delle pulci, dalla biblioteca al porto, per la miglior zuppa di aragosta mai assaggiata, al ristorante Saegreifin. Prima di riconsegnare la macchina andiamo alla Laguna Blu, dove gli operatori ci sconsigliano di entrare perché il vento freddo che soffia da ieri ha abbassato di molto la temperatura della laguna. Apprezziamo il consiglio e decidiamo di non immergerci, ma di goderci lo spettacolo dell'acqua lattiginosa color turchese da fuori, in giacca a vento anziché in costume da bagno. Ma che cosa importa? 10 giorni in Islanda non sono sufficienti per visitare tutto, ma bastano per ripartire con una certezza: torneremo!


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