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Giovedì, 21 Maggio 2009

1 - La danza del Tempo

Fu una sensazione unica. Una sensazione che forse avevo provato solo nell'infanzia, quando scorazzavo con la mia Poppi rossa lungo le discese della casa a Marina di Camerota. Era una macchinetta a pedali con le ruote gialle ed il volante blu.
Concorso Storie Vagabonde

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Fu una sensazione unica. Una sensazione che forse avevo provato solo nell'infanzia, quando scorazzavo con la mia Poppi rossa lungo le discese della casa a Marina di Camerota. Era una macchinetta a pedali con le ruote gialle ed il volante blu. Fu probabilmente una sensazione rinchiusa nell'inconscio, sbiadita tra le increspature del ricordo allora spensierato e felice. La intercettai dietro al Mestalla. Mi recai alle 5 del mattino al Rastro gitano per comprare una bicicletta da utilizzare durante il periodo di lavoro a Valencia. Era bassa e morbida con gli ammortizzatori. Rossa. Chiesi alla signora gitana, avvolta nel suo foulard viola di provarla. Non appena cominciai a pedalare fu come quando trovi la chiave per aprire uno tesoro. Fu quella sensazione, intercettata in una frazione di eternità che mi convinse senza tante riflessioni ad intraprendere un viaggio su due pedali.
Avevo cominciato da Tabernas nella totale inconsapevolezza, solo così, per la curiosità di rompere uno schema che si protraeva tra improvvisazioni da circa 5 o 6 anni. Cominciai a smaltire dietro di me lungo le distanze, tutte le pietre di pianti e sorrisi persi. Nella città molte volte, capitano periodi morti nei quali ti muovi come un automa. Privo di qualsiasi impulso vitale. Facendo le cose perché si devono fare. Decisi di fare quindi, libero da ogni condizionamento, solo quello che volevo fare. Correre. Ricordo che mio padre la sera, dopo aver mangiato, mi portava in strada, facendomi correre a perdifiato lungo il piccolo corridoio di luce che illumina la via sotto i porticati. Stanco morto andavo a dormire. A 21 anni, dopo aver morso le caviglie agli avversari per 8 anni sui parquet da pallacanestro, forse, avevo bisogno di più spazio.
Quella sensazione di assoluta libertà cominciò a crescere dentro km per km sin dall'inizio del viaggio. Smaltito l'entusiasmo iniziale, cominciò a diventare una dipendenza. Mi muovevo solo per esorcizzare un'immobilità che sapevo sarebbe stata dannosa e inconcludente. Pedalavo solo per il gusto di pedalare. Di essere in movimento...a La Herradura la gente probabilmente si chiedeva cosa mi passasse per la testa vedendomi andare avanti e indietro lungo il corso che fiancheggiava la spiaggia, lungo appena più di 1000 m, passeggiato instancabilmente per ore.
Venne il giorno in cui capì quella impellenza di correre, mi sentì avvolgere da uno spasmo d'emozione così intenso che dalle caviglie si irradiava lungo le ginocchia, saliva per le cosce, si condensava alla bocca dello stomaco. Un perpetuo brivido che non sapevo come fermare. Avevo quasi paura che mi stesse capitando qualcosa. Si espandeva in ogni nervo, in ogni capillare, in ogni vaso sanguigno, che dal cuore cominciò a pulsare fino alla gola. Nuova linfa di vita mi pervase in ogni angolo del corpo spento e assopitosi. Non provai a frenarlo e lasciai che mi dominasse. Dalla gola uscì un urlo. La strada del passato si incrociò con quella del futuro. Io nel bel mezzo del presente vedendo il tempo danzare, mai così vicino ad intuire un senso ed un perché. Un pianto di liberazione inondò le guance piene di grinze, sollevate verso il cielo. Non ero mai stato così felice. L'avevo conquistata!
Avevo solo letto tra rivoli d'inchiostro i fasti della sua bellezza, invocata da voci non più schiave, ma fissate nel fremito d'un urlo eterno. Voci di poeti, voci di saggi, voci di cavalieri, voci di guerrieri. Voci di sognatori. Quando cominciai a parlare della mia intenzione di percorrere l'Andalucia in bicicletta sperando di trovarla, le persone non mi prendevano sul serio. Un folletto di nemmeno un metro e settanta con nient'altro che un coltellino svizzero, un paio di sandali, uno zaino Invicta e tante corde. In effetti apparivo alquanto buffo e bizzarro, ma non mi presentai a lei con l'intenzione di vederla passare, bensì con la certezza di possederla. Non avevo molto da offrirle. Poco. Tutto. Solo una bicicletta colorata dal sole, per metà gialla, per metà arancione, e questo le bastò per fare di me il suo amante. Sciolse nel vento i capelli e corremmo insieme tra distese d'ulivo e campi sterrati bruciati dall'estate. Mi assetava e mi saziava con i frutti fecondi del suo seno, tra latte di fichi d'india e chicchi di sete di melograni, raccolti lungo la strada. Gemevo ogni qualvolta, rotto sotto i piedi cristalli di sabbia, penetravo tra i petali bagnati del suo fiore di dea. Ci lasciammo con dolce sale sul cuore.
Prima di tornare dal viaggio, rubò la mia ombra in cambio di una speranza...
Alla fine d'una giornata passata all'università o trascorso il sabato sera tra una bestemmia e una comanda, mi affaccio sull'uscio del cielo notturno in cerca di quella luce, e in preda a notturni abbandoni, leggo ancora il suo nome nel fulgore di qualche sparuta stella solitaria...o dolce amata Libertà!

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