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Venerdì, 11 Marzo 2005

Un fine settimana a Trieste

Un fine settimana vagabondando fra strade e vicoli di questa città tanto bella quanto sconosciuta.

ARTICOLO DI

Fiamma

Un fine settimana vagabondando fra strade e vicoli di questa città tanto bella quanto sconosciuta.

“Mirella, ma a metà febbraio! Ma non sarebbe meglio farlo ad aprile o maggio?”
“Guarda che a metà febbraio noi abbiamo delle giornate bellissime, è alla televisione che ci mostrano sempre come quelli con la bora... Se vuole piovere piove anche ad aprile... ecc.ecc.”

Mirella è una forza della natura, impossibile resisterle. E' stato così che un folto gruppo di amici (una dozzina) provenienti dai quattro punti cardinali (anzi forse tre, perché a est di Trieste non c'è più Italia) a metà febbraio è arrivato a Trieste per un week end lungo.

Sono sempre stata convinta che un fine settimana in una città, anche non grandissima, possa solo essere considerato come un assaggio, o meglio come un viaggio preparatorio ad un soggiorno più lungo. E questo breve, troppo breve soggiorno triestino mi ha confermato in quest'idea.

In definitiva però Mirella ha avuto ragione, perché abbiamo goduto di due giornate molto favorevoli, con uno splendido sole e quella luminosità e limpidezza che si trovano solo d'inverno.

Sono arrivata in aereo da Roma, all'aeroporto di Ronchi dei Legionari, il cui nome già comincia a farci entrare in una atmosfera di terra di frontiera, di ricordi di battaglie e di orgoglio patrio che è del tutto estranea a noi disincantati capitolini.

Un comodo autobus porta al centro di Trieste percorrendo una strada che passa per Monfalcone e che dopo Duino diventa costiera; passando da Grignano si intravede candido il castello di Miramare e poi il Faro della Vittoria, si costeggia il grandioso Porto Vecchio per giungere infine alla Stazione ferroviaria, il tutto richiede un'oretta, un avvicinamento che però già comincia a dare un'idea dei luoghi.

Vale la pena di andare a piedi dalla Stazione a Piazza dell'Unità, lasciandosi a destra le strutture del Porto Vecchio e trovando a sinistra i due begli edifici neoclassici del Teatro Verdi e del Palazzo del Governo, per poi vedersi aprire la visuale della splendida Piazza dell'Unità, la più grande d'Europa sul mare dicono i triestini. Ho insinuato che la Praça do Comércio di Lisbona, del tutto simile come impianto, mi pareva più grande, ma con sottigliezza gesuitica mi hanno risposto che quella è sul Tago e non sul mare.



La Piazza è grandissima, di giorno col sole i grandi edifici neoclassici che la circondano impongono la loro mole candida, di notte, dopo un recente intervento di illuminazione, diventa molto suggestiva.

Guardando l'edificio del Municipio a sinistra si estende il quartiere Teresiano,

nato interamente nell'Ottocento, quando la Casa d'Austria decise di fare di Trieste una grande città portuale; geometrico, con i grandi isolati rettangolari e belle architetture neoclassiche e floreali, alcune strade sono oggi pedonali, con una pavimentazione in pietra grigia e bianca e sistemazioni recenti; dietro e a destra c'è il nucleo più vecchio.


E' in questa parte che alloggiamo, in un piccolissimo albergo-residence, nell'intrico di viuzze attorno alla pedonale Piazza Cavana.

Quest'area della Trieste vecchia e più popolare è in fase di rapido cambiamento, ovunque lavori in corso, graziosi alberghetti tipo il nostro (ricavati, a quanto sembra, per lo più da antichi casini), la casa della musica, antiquari, ristoranti tipici e negozi raffinati si alternano a edifici in ristrutturazione coperti da impalcature, a vecchi negozi sbarrati ed a saracinesche abbassate e decrepite.

In queste soleggiate giornate di febbraio, con un venticello gelato ma gradevole che loro chiamano affettuosamente “borin”, le ombre si stagliano scure e la luce fortissima brucia i contorni e i risalti plastici dei chiari edifici neoclassici.


Passiamo parte della prima mattinata visitando la fabbrica del caffè Illy, meta quasi obbligata, che si potrebbe definire la Mecca della religione del caffè.

Voi forse direte che non siete religiosi, beh, neanche io, però devo ammettere che è stato interessante. Il fatto che intorno a un dito di bevanda in fondo ad una tazzina si agitino interessi così grandi, che si crei un giro che dà lavoro a tanta gente, che si sviluppi tutta una cultura (Illy ha fondato e gestisce una Università del caffè a cui vengono a studiare da tutte le parti del mondo) porta a fare delle riflessioni sulla nostra cultura occidentale.


Andiamo poi nel Carso, a visitare una particolarissima cantina.

Il Carso è un altipiano calcareo che si estende per circa 130 chilometri quadrati alle spalle di Trieste, a confine con la Slovenia. Sono luoghi affascinanti, ricchi di memorie gloriose e tragiche, dove l'uomo ha lasciato tracce di civiltà e religione di tutte le epoche, dove la natura si sbizzarrisce a creare paesaggi di selvaggia bellezza, ricchi di acque, di rocce, di vegetazione ora rigogliosa ora stenta, perché cresce praticamente senza terra, insinuando le radici nelle fessure della roccia calcarea.

Dalla rapida corsa in auto ci si rende conto che il territorio meriterebbe una visita approfondita, ma il fine settimana, ahimè, è il fine settimana, e la cantina ci aspetta.


Si tratta di una cantina assai singolare: il proprietario, un uomo piuttosto giovane, molto simpatico e appassionato del suo lavoro, ha fatto scavare nella roccia un cilindro di circa 15 m. di diametro e profondo altrettanto, dove la roccia costituisce la parete perimetrale della cantina. Lì dentro ha ricavato tre livelli in cui ha sistemato barrique, botti in rovere e botti in acciaio.


Ci fa assaggiare i diversi tipi di vino che produce, fondamentalmente bianco, dal classico Chardonnay alla Vitoska, un vitigno tipico della zona, ad altri che non ricordo perché, essendo in genere quasi astemia, dopo il terzo assaggio ero un po' sul vago, e infine torniamo in superficie dove uno spuntino a base di speck e formaggi locali ci ridà un certo di equilibrio.

Andiamo poi a vedere una delle sue vigne, e questa è la parte più interessante: infatti le vigne sono “costruite” spianando una zona rocciosa e poi riportandovi sopra il terreno preso con i camion dal fondo di una dolina. Cos'è una dolina? E' una cavità nel terreno, nel Carso ce ne sono diverse migliaia di tutte le dimensioni, che si è prodotta quando il tetto di una grotta sotterranea scavata dall'acqua nella roccia calcarea è crollato. Alcune non sono molto profonde e vi si ammucchia la terra e nasce una vegetazione, altre sfondano in quello che chiamano un pozzo carsico, che può scendere chissà quanto dentro la compagine calcarea.

Tornando a noi, in queste vigne le piante, che sono quasi dei bonsai, producono ciascuna circa mezzo chilo di uva a stagione! Neanche sufficiente per una bottiglia di vino. Però la qualità e il sapore sono davvero unici.



Tornati a Trieste nel pomeriggio andiamo a visitare il Museo Revoltella, civica galleria di arte moderna e contemporanea. Il barone Pasquale Revoltella, un interessante personaggio di grande rilievo nella Trieste dell'Ottocento costruì a metà dell'Ottocento il suo palazzo, nel centro storico, che usò sia come abitazione che per mostrare le sue collezioni d'arte ed ospitare manifestazioni artistiche. Nel 1872 vi fondò la Galleria di arte moderna e morendo lo lasciò alla cittadinanza. Successivamente il Comune acquistò il palazzo Brunner, e poi il palazzo Basevi, adiacenti, e, dopo lungo tempo e numerose polemiche, nel 1963 affidò al celebre architetto Carlo Scarpa il compito di ristrutturarli collegandoli tra loro e al primo, per ospitare le collezioni del museo, ormai notevolmente accresciute. Quest'impresa dell'allargamento del Museo, tra alterne vicende e succedersi di progettisti, si è conclusa nel 1992.



Pensate dunque: in cinque anni, dal 1853 al 1858 fu costruito, sontuosamente decorato e arredato il Palazzo Revoltella, in ventinove si è riusciti a ristrutturare la nuova ala!

Detto questo la visita alla Galleria è interessante sia sul piano del costume, si vede in tutta la sua completezza un Palazzo nobiliare di metà Ottocento, sia per l'importante collezione di pittori e scultori triestini, artisti di notevole valore ma spesso più noti in ambito mitteleuropeo che in Italia.

Malgrado il lungo travaglio anche la nuova sistemazione è piuttosto ben riuscita e dall'alto delle terrazze del Museo la vista della città al crepuscolo è bellissima.






Il giorno successivo siamo andati ad Aquileia.

La cittadina è piccola, tranquilla, tutto è perfettamente curato, pulito e nitido.

Sempre in una luce solare fortissima arriviamo al Museo, situato nell'austriaca Villa Cassia Faraone, in mezzo ad un bel giardino ricco di piante secolari; il giardino è circondato da un porticato che ospita un ricco lapidario. Non sto a descrivervi il Museo archeologico, che è considerato fra i più importanti dell'Italia settentrionale, ma potete trovare informazioni in proposito sui siti qui in fondo. Purtroppo non era permesso fare fotografie.

Accennerò solo che siamo rimasti colpiti dalla bellezza e originalità dei vetri, delle sculture, dei monili in ambra e in cristallo di rocca. Nel lapidario all'esterno vi sono, tra l'altro, numerosi monumenti funebri, su alcuni si legge la sibillina scritta HMHNS, che è un acrostico e sta per “Hoc Monumento Heredes Non Sequentur”. Era infatti costume che i personaggi più in vista provvedessero al proprio monumento quando erano ancora vivi e vegeti, ed alcuni, evidentemente non soddisfatti dei propri eredi, scrivevano ben chiaro che per loro non ci sarebbe stato posto nel monumento in questione!



Della città romana, un tempo circoscritta su due lati da un fiume oggi scomparso e dotata di un importante porto fluviale, devastata più volte da invasioni barbariche, resta in piedi ben poco. E non abbiamo avuto il tempo di fare un giro tra i ruderi (solita storia del fine settimana).


Siamo quindi andati alla Basilica, l'unica chiesa pubblica di Aquileia rimasta in piedi durante il periodo napoleonico, in cui tutte le altre, considerate troppo onerose da mantenere, furono rase al suolo (sembra che ad Aquileia lo sport di radere al suolo sia stato praticato spesso e volentieri).



La scelta dei cittadini, obbligati ad indicare quale chiesa volessero, di mantenere proprio quella, oltre che per i suoi valori storici si è rivelata particolarmente felice perché, con degli scavi archeologici effettuati dagli austriaci nel 1909, si scoprì meno di un metro al di sotto del pavimento della chiesa, un complesso di mosaici di epoca costantiniana (313 d.C.) tra i più belli, ampi e ben conservati di quell'epoca.



La decorazione musiva si estende anche al di fuori della chiesa attuale, a sinistra dell'ingresso, in parte nascosta e probabilmente distrutta dalle fondamenta del campanile, ma in gran parte in ottime condizioni,e vi è stata realizzata una sistemazione museale veramente esemplare, che consente di goderne appieno.

Anche qui, la bellezza dell'opera e la complessa simbologia che è alla base delle figurazioni, mutuata oltre che dalla religione cristiana anche dalla tradizione mitraica ed esoterica, richiederebbero una visita approfondita.

Al di sotto si trova una cripta interamente affrescata.


Malgrado il sole ,il solito venticello ci ha notevolmente rinfrescati e provvediamo al disgelo andando a mangiare brodetto di pesce , “boretto”, in un ristorante nelle vicinanze.

Torniamo a Trieste per farci un giro nella città Teresiana.

Passeggiando nelle strade pedonali, fiancheggiate da palazzi signorili incontriamo la piccola figura di Umberto Saba, il grande poeta triestino, una statua in bronzo a cui irriverenti o collezionisti hanno già rubato due volte la pipa e, lì vicino, la storica libreria antiquaria che fu del poeta che e adesso è tenuta da un figlio del suo aiutante.

Andiamo a curiosare in due bei caffè, tra i pochi sopravvissuti e intatti, in uno dei due ha il suo tavolo riservato in un angolo Claudio Magris.

Trieste vanta chiese di molte confessioni, e quindi passiamo a dare un'occhiata alla Sinagoga, una delle più grandi d'Europa, dove però non si può entrare, alla chiesa Serbo ortodossa e a quella Greco ortodossa.

Circa a metà il quartiere è tagliato dal Canal Grande, con un suggestivo effetto di barche-in-città; il canale arrivava in origine fino alla chiesa di S. Antonio Taumaturgo, come si vede anche in un quadro dei primi del Novecento che è al Museo Revoltella, poi una parte fu interrata e oggi costituisce la piazza S.Antonio. Su questa operazione ci sono state molte diatribe e, ancor oggi esiste un partito che vorrebbe ripristinata la situazione originaria.



Ceniamo la sera in uno dei più vecchi ristoranti, in collina, con piatti decisamente locali, come prosciutto cotto scaldato in un involucro di pane, tagliato tiepido e spolverato di rafano, stinco arrostito, e così via.


La mattina seguente fa molto freddo, i bollettini meteorologici annunciano neve dappertutto, ma c'è ancora il sole. Ne approfittiamo per arrampicarci sulla collina di San Giusto e per una rapida visita della Cattedrale, il Castello è in restauro e non si può visitare.



A ritorno ero in macchina con un'amica e, viste le previsioni, abbiamo saltato la prevista visita al castello di Miramare (tanto devo tornarci) e siamo partite direttamente.

La parentesi primaverile in effetti era finita e, secondo il classico copione, tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello nevicava già abbondantemente.

Un po' di link:
www.trieste.com
www.triestemia.com
www.museoarcheo-aquileia.it/
www.aquileia.net/
www.interware.it/tsr/Ambiente/carso/

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