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Lunedì, 28 Settembre 2015

Deserto, non c’è niente ma c’è tutto.

"Allontanate le vostre tende, avvicinate i vostri cuori" (proverbio Tuareg)

ARTICOLO DI

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Tradrart Acacus

Seduto sul suolo caldo di una capanna di foglie di palma da dove una piccola luce di ingresso guarda, attraverso le canne, il laghetto placido dell’oasi. Silenziosa attesa di una carovana di passaggio nel suo migrare da un deserto all’altro, con il suo carico di sale e di stoffe colorate verso i grandi souk animati nelle medine delle coste maghrebine, dove dall’alto dei minareti i muezzin invitano i fedeli a volgere le proprie preghiere verso la Mecca.

Entra pure, scalza i tuoi piedi e vieni ad incrociare le tue gambe accanto alle mie, come le guide berbere ci hanno educato durante il rito dei dolcissimi e forti tè verdi, secondo la sacra ospitalità islamica. Prendi e sorseggia con questo piccolo bicchiere di vetro, che viene fatto girare fra tutti i presenti seduti in cerchio fino a che non ne rimane altro, per poi ripetere i giri con un’altra teiera che nel frattempo bolle tra le braci profumate di un piccolo fuoco sulla sabbia.

“Shukran!”: non occorre altro dire, qui, nella terra dei fieri Tuareg dove le parole sono superflue, tanto che nel silenzio dei gesti di colui che offre e versa il tè, sono i profondi sguardi affioranti dalle kecha nere o color indaco, avvolte attorno al viso, a comunicare i pensieri dell’animo….

Nonostante il caldo asfissiante, le pietre infuocate, la scarsa preziosa ombra dei pochi arbusti spinosi, le tempeste di sabbia; nonostante la musica delle canzoni arabe a tutto volume della radio della jeep, la sete insaziabile; nonostante Rocco, il simpatico sessantenne napoletano che non si cheta un secondo; nonostante tutto il deserto ti entra piano piano dentro, in un crescendo di emozioni, che trova il culmine nelle notti stellate, sotto la maestosità delle grandi dune silenziose, alla lieve luce profumata del piccolo fuoco preparato per il tè.

E allora scopri il piacere di camminare a piedi nudi sulla finissima sabbia, che piano piano si raffredda, per raggiungere la cima di quell’onda che pare avvolgerti, dalla linea così sinuosa e morbida, da dove puoi scorgere un’interminabile distesa di altre piramidi, e farti così soffocare da uno sconvolgente silenzio infranto solo ogni tanto da qualche sibilo di vento, intento a spettinare e rimodellare a piacere questo immenso mare rosa.

Ed è nel buio della notte, dove cielo e sabbia s’incontrano, che allora scopri qualche segno di vita: topolini dalle zampette posteriori allungate e rialzate che vengono a prendere pezzetti di pane dalla tua mano; lucertoloni dai colori bizzarri che corrono e saltano come rane; grossi scarabei neri che sfrecciano come macchinine tra la sabbia.

Al risveglio dalle fresche notti sahariane, durante le quali un lieve vento tiepido a tratti scompiglia i capelli e riempie la coperta di sabbia, scorgi tutto attorno al bivacco di quei piccoli esseri i segni delle scorribande notturne, così sapendo di aver avuto un serpente come vicino e di aver dormito sopra un nido di grossi scorpioni bianchi.

Ma la regina di tutto rimane la morbida sabbia che senza accorgertene ti entra dappertutto, scoprendo che puoi usarla per pulire la gavetta e stare sette giorni senza lavarti perché non sporca, ma anzi è talmente pulita che le donne Tuareg vi partoriscono, inginocchiandosi per terra, facendo così cadere il feto sul manto sabbioso.

Ma è nel deserto lunatico dei canyon rocciosi, pinnacoli e archi lavici naturali che emergono qua e là dalle dorate dune, che la sabbia nasconde e scopre al ritmo del vento grotte primordiali ricche di stupendi graffiti e colorate pitture rupestri, segno di una civiltà dalle antiche vestigia, scomparsa più di diecimila anni fa, quando elefanti, giraffe e gazzelle vi popolavano prima dell’avanzata del Sahara.

Ed è da qui, con gli occhi silenziosi affioranti dalla mia kecha bianca, che vorrei parlare al tuo cuore…

 

“Sibilo di vento,

silenzio

sibilo di vento,

silenzio

sibilo di vento,

silenzio.

Le parole sono superflue

nel deserto degli occhi profondi

affioranti dalle kecha colorate.”

 

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