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Martedì, 5 Maggio 2009

Caleidoscopio India

Un viaggio in India non può che cominciare dai sedili di una Ambassador Tata. È un pezzo di storia che cammina lenta sulle lacerate strade di questo continente...

Concorso Storie Vagabonde

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Un viaggio in India non può che cominciare dai sedili di una Ambassador Tata. È un pezzo di storia che cammina lenta sulle lacerate strade di questo continente. Almeno cinquanta anni di storia alle spalle, le Ambassador Tata su cui vengono portati in giro i turisti da pazienti autisti dagli occhi profondi sono degli antichi salotti viaggianti. Fin quando non si bucano le ruote. Eh, sì, perché una domanda sorge spontanea attraversando le strade dell'India: perché c'è un gommista ogni 20 metri? E la risposta giunge prestissimo e poi ritorna a ribadire il concetto pressappoco ogni giorno. In India le gomme non vengono cambiate, ma solo rattoppate con palline di mastice. Una volta scoperta, la camera d'aria mostra le macchie della sua pelle logora, tenuta insieme dagli interventi di decine di chirurghi plastici da strada.

Il serafico autista dell'Ambassador Tata guida con fermezza il suo gioiello a quattro ruote. Difficile che sappia parlare inglese. La comunicazione è a gesti e sorrisi. Per chiedere di andare in un posto, il modo più sicuro è mostrare il nome scritto su un foglio o sulla guida. È lì che inizia il Milionario delle strade dell'India. Solitamente la prima mossa è la telefonata a casa: lunga e concitata spiegazione della richiesta strana del turista e impegnativa risposta che fa corrucciare la fronte al mansueto autista. La seconda mossa è l'aiuto del pubblico. Ma per le strade dell'India non ci sono regole e l'aiuto del pubblico non è un gettone da utilizzare una sola volta, ma viene chiesto a ogni incrocio. Come navigatori satellitari in carne e ossa i passanti indicano la strada, impongono difficoltose inversioni di marcia, consigliano la strada più veloce. È così che si arriva a qualsiasi destinazione.

Lungo il cammino, si avvicendano le scene di vita quotidiana di un'India che vive lungo le sue polverose vie. I bambini escono dalle scuole con le loro compite divise: è proprio con questi abiti che le caste sociali si annullano e, per una volta, si può dire che sembrano tutti uguali. Almeno da lontano. Ma a guardar bene si scopre che già nella stessa classe ci sono alunni dalle divise più consumate. Talvolta troppo grandi, talvolta troppo piccole. E poi basta incontrare due scuole diverse nello stesso luogo e si vede subito la differenza fra la ricca classe con i suoi benestanti studenti e i loro stemmi splendenti sulle giacche e la scolaresca più povera e scalcinata.

Ma ci sono bambini speciali che l'aula di una scuola forse non l'hanno mai vista. Sono i bambini di strada, centinaia, che a ogni semaforo picchiettano sul vetro delle automobili alla ricerca di un piccolo dono. Per loro una divisa di stracci, anneriti dal fumo dei tubi di scappamento. Un ambiente inquinato in cui vivono e lavorano. Perché mendicare non è solo una necessità dettata dall'estrema povertà, ma un vero e proprio impiego, con i suoi datori di lavoro senza scrupoli. Da New Delhi a Mumbai cambiano i visi, ma non cambia la miseria ai semafori dell'India. La bimba snodata che fa le giravolte nel traffico, premiata dai rombi delle macchine e da qualche monetina in più. La ragazzina con il pancione che sta per partorire un figlio quasi coetaneo. I bimbi a cui basta una caramella per regalare un sorriso che non si dimentica.

E ancora è dai salotti d'antan dell'Ambassador Tata che si osserva il femminismo al contrario: uomini impegnati in infinite sieste e donne che compiono i lavori più duri. Se ne vedono a decine sulle impalcature dei palazzi in costruzione. Scheletri di canne di bambù, tenuti su da corde, che basta un filo di vento per farle ondeggiare. Lassù le donne salgono e scendono tirando le loro sari, per non perdere i metri di stoffa che le avvolgono. La domanda è come facciano a non impigliarsi, a non rimanere nude, a non precipitare nel vuoto. La risposta è che in India probabilmente non si pongono neanche questa domanda. Piccone alla mano, sono sempre le donne che costruiscono le strade dell'India spezzando faticosamente le pietre una a una. E poi ci sono le donne che puliscono le latrine. È il mestiere più umile, dedicato alla casta più infima. In questo caso non è tanto la fatica materiale a martoriare queste donne operose, quanto l'umiliazione di essere viste compiere i loro gesti in quel maleodorante e degradante contesto.

Impossibile sonnecchiare sui salotti dell'Ambassador Tata. "Horn please" è l'unica regola, scritta sul didietro degli affollati camion e autobus, delle strade dell'India. Suonare il clacson, strombazzare la propria presenza, perché è l'unico modo per avere la meglio in un incrocio. È il paziente autista dell'Ambassador il primo a suonare il clacson per difendere i diritti dei turisti che porta come un carico speciale. È lo stressato autista di un autobus di linea, pressato dai suoi clienti, che occupano qualsiasi spazio, interno ed esterno del mezzo che lui guida giorno per giorno. È l'esperto camionista che suona il clacson, le cui uniche necessità sono di fare presto e di difendere il suo prezioso carico.



Difenderlo anche dalla muta arroganza delle mucche, immobili nella loro sacralità. Si incontrano lungo le strade e nelle città mentre masticano continuamente non si sa cosa. Se decidono che la strada è loro non c'è verso di farle spostare: loro sono intoccabili. L'unica arma è ancora il clacson, a cui però queste caute bestie sembrano essere diventate sorde. Non sono gli unici animali che si incontrano nelle strade dell'India. Elefanti e cammelli sono considerati compagni di lavoro, impegnati in decine di attività e premiati con le continue carezze, ma spesso tenuti anche a bada con la frusta. Le dispettose scimmie scorazzano sui tetti indisturbate, contendendosi un piccolo tesoro appena conquistato. I cani, magrissimi e spelacchiati, si trascinano per le strade alla ricerca di un po' di cibo o almeno di un posto tranquillo all'ombra. In questo panorama di magrezza, i topi sembrano gli unici esseri animati davvero in carne, ingrassati dal successo delle loro incessanti ruberie.

È lungo le strade dell'India che si incontra la gioia ostentata dei matrimoni. Intere strade sono dedicate a questi riti di felicità, su cui si avvicendano i cortei degli sposi con le loro rumorose lanterne d'argento, i paramenti colorati, i fiori e gli elefanti. I loro ospiti seguono a ruota, un incessante fiume di gente agghindata a festa che ingombra le strade. Dietro ai bassi muretti, fino a notte fonda si odono le musiche di inesauribili serate danzanti, sottolineate dallo scoppio dei fuochi d'artificio che annunciano la nuova unione anche al cielo.

Sullo schermo panoramico del parabrezza dell'Ambassador Tata sono i colori dell'India che scorrono e che si mischiano negli occhi già saturi di emozioni. Le improvvisate bancarelle si affacciano vezzose con la loro colorata mercanzia, dai fiori ai frutti, dagli stracci alle suppellettili per modeste case da abbellire. E ancora le donne che ancheggiano sinuose nelle loro lunghe vesti. Un caleidoscopio di meravigliose creature, avvolte in metri e metri di stoffe e impreziosite da decine di braccialetti. Non è un caso che lo spettacolo delle donne che lavano i panni nel fiume sia una delle cartoline dell'India. Decine e decine di donne, interamente vestite e sommerse a metà dall'acqua, battono incessantemente i loro colorati panni nell'acqua. Un infinito toc toc risuona nell'aria, mentre emergono dall'acqua tutti i colori dell'India in una sola, magnifica, immagine.


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