RACCONTO
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Mercoledì, 14 Gennaio 2015

Visitare Sarajevo? No, serve ascoltare Sarajevo

Erano anni che volevo andarci. Anni nei quali avevo sentito parlare della città attraverso i giornali, alla televisione o nelle canzoni.
La curiosità cresceva e si è creata una sorta di attrazione che ancora adesso non so quanto sia giusta o eticamente corretta, tuttavia la ritengo innegabile. Volevo vedere Sarajevo.

ARTICOLO DI

Simofringe

Abituati alle mille capitali europee che vantano monumenti e bellezze senza paragoni in tutto il mondo, l'approccio a Sarajevo (capitale della Bosnia Erzigovina) deve per forza essere diverso.

Qui non si trovano monumenti capaci di lasciare a bocca aperta, qui non ci sono bellezze artistiche che seducono il turista, o dimensioni tali che richiedono giorni di visita...
Qui c'è il livore di una città che ha subito violenza, morte e distruzione.

E seppur non certa di essere nel giusto, volevo andare a Sarajevo per vedere con i miei occhi tutto questo, e ancora mi chiedo se il fascino che emana questa città sia per me così forte in virtù della sua (tragica) storia o nasconda anche un'anima diversa.
Sarajevo non è solo il suo passato, ma non negherò che senza la sua storia, forse, non avrei cercato di conoscerla così in fretta.

 

E da qui la mia opinione. Sarajevo va ascoltata.
Ascoltare cosa sia significato per una città che oggi raggiunge 700 mila abitanti diurni, ma solo 500 mila residenti (questi i numeri riportati dalla guida locale) rimanere chiusa e isolata in sé stessa negli anni dell'assedio serbo, dal 1992 al 1995.
Ascoltare la voce di un giovane 22 enne raccontare come mai la madre nel 1992 dovesse lasciare a casa un bambino di 3 anni (il fratello) e un bambino in fasce (sé stesso) DA SOLI per poter andare a CERCARE dell'acqua per sopravvivere.
Ascoltare l'orgoglio del giovane 22 enne nel dire: “Sì, mio padre avrebbe potuto portare in Croazia tutti noi, ma ha preferito andare a combattere nelle retrovie bosniache”.
Ascoltare come la vita in una città presa d'assedio e circondata da forze militari fosse ormai impossibile visto che cibarsi diventava un lusso.
Ascoltare cosa significhi stare nella propria città senza aver più la libertà di vivere, senza potersi più spostare, senza potersi più dimenticare che attorno c'è l'esercito e non intende sparare ad altri militari, ma spara direttamente ai civili.
… Ascoltare cosa significhi aver paura di morire per il semplice fatto di camminare lungo la strada.
Solo ascoltando potrete dare un senso ai cimiteri a vista che vedrete in ogni angolo verde della città.
“Eravamo bloccati dentro la nostra città, e i Serbi uccidevano le persone ma noi non sapevamo dove seppellirle dal momento che non potevamo più uscire e i cimiteri erano nelle zone occupate dai Serbi. Quindi per forza di cose abbiamo dovuto seppellire i nostri morti nelle zone urbane. Giardini, parchi, campi da calcio e tutto quanto avesse della terra”. A volte vedrete un giardino di 3 metri per 4 trasformato in un cimitero a cielo aperto.
(I Serbi applicarono una “tattica” atta a creare stress nella popolazione. Una volta presa d'assedio la città e circondati i territori, sparavano A CASO sui civili dalle loro postazioni per ucciderli. 
A caso! Importava farli crollare, non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente). 

Solo ascoltando scoprirete la storia del tunnel di Sarajevo.
Una storia complessa che parte da una base semplice: “La città era sotto assedio, noi non avevamo più cibo, ma l'unica zona in cui la vita si svolgeva in modo normale era Hrasnica, villaggio confinante con la città ma a cui non potevamo arrivare perché tutt'attorno c'erano i Serbi. Allora con l'aiuto della NATO, abbiamo costruito un tunnel che collegava l'unica zona libera al centro di Sarajevo. Migliaia di persone si sono salvate grazie a quel tunnel”.
(Il tunnel venne costruito sotto terra dagli abitanti della città per permettere rifornimenti alimentari e permettere a molti di lasciare anche la città. Oggi è possibile visitare una parte di 25 metri aperta al pubblico previo pagamento. É ancora oggi un simbolo di questa guerra, gli abitanti lo chiamano “Tunnel della vita”).

Solo ascoltando scoprirete la storia di “Romeo e Giulietta” di Sarajevo.
Due ragazzi. Giovani. Innamorati. Parecchio. Abitanti del quartiere Grbavica che presi da disperazione e con il sogno di poter arrivare al tunnel per ritrovare la libertà iniziarono a correre.
A correre sul ponte che li avrebbe portati verso la città e poi verso il tunnel...
E la foto dei loro corpi senza più vita fece il giro del mondo. E i loro corpi furono lasciati lì, visibili a tutti, senza vita, per 7 giorni.
(Grbavica è il quartiere a nord vicino ai monti che fu totalmente occupato dai Serbi e messo a ferro e fuoco. Digitando su google image Grbavica vedrete come questo quartiere fu distrutto per intero. Questo il quartiere che più rappresentava Sarajevo in tempo di guerra).

Solo ascoltando sì... Ma non crediate di capire. Capire tutto questo non è consentito a una semplice mente umana, o forse non è capibile per me.

Oggi Sarajevo ha quasi ricostruito tutti i palazzi devastati dalla guerra. Sorge moderna e contemporanea, con una nuova anima che guarda al futuro. Ma un passato così, non potrà mai essere cancellato e andare ad ascoltarlo è un'esperienza che difficilmente vi lascerà uguali a prima. Anche per questo, va fatta.

 

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