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Lunedì, 18 Maggio 2009

Uzbekistan: Diario di viaggio

L'Uzbekistan? E dov'è? Eppure per me Samarcanda era un posto speciale, che evocava i racconti delle "Mille e una notte" letti da bambino, silenzi infiniti del deserto, profumi d'oriente...

Concorso Storie Vagabonde

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"L'Uzbekistan? E dov'è?" Eppure per me Samarcanda era un posto speciale, che evocava i racconti delle "Mille e una notte" letti da bambino, silenzi infiniti del deserto, profumi d'oriente...

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"L'Uzbekistan? E dov'è?" Era questa la domanda che più di frequente mi sentivo rivolgere quando parlavo del mio prossimo viaggio e c'era sempre qualche spiritoso che quanto cominciavo a spiegare che era la nazione dove si trova la città Samarcanda, mi sorrideva dicendo "ah, allora esiste davvero? non è solo in una canzone di Vecchioni?". Eppure per me Samarcanda era un posto speciale, che evocava i racconti delle "Mille e una notte" letti da bambino, silenzi infiniti del deserto, profumi d'oriente, storie di carovane lungo la via della seta, immagini di tappeti, di odalische, di palazzi principeschi, sempre in bilico tra leggenda e realtà.

Era tanto che sognavo quel viaggio e finalmente mi ritrovai solo, con lo zaino in spalla e la mia guida "Lonly Planet" sull'Asia Centrale stretta in petto a compilare i moduli doganali all'aeroporto di Tashkent, la capitale dell'Uzbekistan, per entrare nel paese. Girovagando fra i banchi dove si trovavano i moduli doganali scritti in uzbeko ed in russo, riuscii a trovarne uno scritto in inglese. Ne compilai uno e me ne misi in tasca un secondo bianco e non sapevo quanto questa piccola accortezza sarebbe stata provvidenziale quando passando le frontiere con Tajikistan e Turkmenistan in sperduti posti di frontiera non avrei certo trovato moduli in inglese ed il mio russo assai approssimativo non sarebbe certo bastato a trarmi d'impaccio.

I giorni immediatamente successivi li dedicai a visitare Tashkent, e a mettere a punto alcuni dettagli del viaggio e ne approfittai anche per andare a conoscere un ragazzo uzbeko, che avevo conosciuto su internet quando, qualche tempo prima, avevo cominciato a raccogliere informazioni per preparare il viaggio. Passeggiando per le vie della città mi raccontò che Tashkent ha oltre 2000 anni di storia, ma che nel 1966 la città fu rasa al suolo da un terremoto ed è stata ricostruita ex novo per farne una città modello sovietica. Abbondano quindi squadrati edifici in cemento, ampi viali, giardini dove un tempo dominavano statue di Lenin e Marx oggi rimosse e sostituite da quelle di Tamerlano.

Feci un salto alla madrassa di Kukeldash recentemente restaurata con il contributo di vari paesi islamici, una cosa che avrò modo di notare più volte nel corso del viaggio dove in varie città avrei trovato edifici religiosi costruiti o restaurati dopo il crollo dell'Unione Sovietica con il sostegno finanziario di Sauditi o altri paesi islamici, come la piccola moschea Jami utilizzata in epoca sovietica come officina per la lavorazione di lamiere e oggi nuovamente aperta al culto.

Comunque settant'anni di socialismo reale hanno lasciato tracce evidenti nell'Asia centrale ex sovietica, soprattutto in una concezione dell'islam molto secolarizzata. Sebbene la stragrande maggioranza della popolazione sia musulmana, i praticanti sono una percentuale molto limitata. Qualche settimana dopo, durante una conversazione, una guida Turkhmena, sorridendo mi avrebbe detto "ma che mussulmani vuoi che siamo noi che mangiamo maiale e beviamo vodka?"

L'ultima sera che trascorsi in città andare al Teatro dell'Opera e del Balletto "Alisher Navoi", costruito nella II guerra mondiale dai prigionieri di guerra giapponesi. Per il folle costo di due euro (prezzo maggiorato perché straniero) c'era la possibilità di scegliere all'interno di un buon programma. A me toccò in sorte lo "Schiaccianoci" di Caikovskij. Ottima esecuzione.

Risolto qualche problema per ottenere il visto per entrare in Tajikistan, mi lasciai alle spalle Tashkent e salii su un treno diretto a Samarcanda, dopo un divertente "siparietto" per l'acquisto del biglietto in cui le mie sommarie conoscenze del russo erano state messe a dura prova dalla bigliettaia uzbeka. Il viaggio fu suggestivo, attraverso regioni aride, non a caso chiamate "Steppa della Fame", macchiate da campi di cotone, la cui intensa coltivazione in epoca sovietica fu all'origine del disastro del prosciugamento del Lago di Aral. Quella ferrovia costruita dai russi quando all'epoca degli Zar era per me un pezzo di leggenda, avendone letto nei libri dove si parlava del "Grande Gioco", come lo definì Kipling, tra russi ed inglesi che cercavano controllare i Khanati di queste regioni.

Scesi alla stazione di Samarcanda, fra donne che vendevano il naan, il pane locale e viaggiatori che carichi di pacchi aspettano altri convogli ferroviari.




"Ci sono, ci sono!", continuavo a ripetermi, mentre mi dirigevo verso l'albergo. Poggia lo zaino sul letto della mia camera, saltai sulla vecchia e cadente "Volga" di un tassista che stazionava da quelle parti ed arrivai al Registan, il complesso di maestose madrasse, letteralmente ricoperte da maioliche e mosaici azzurri. E' l'immagine che sempre avevo associato a Samarcanda, e resto lì, incantato a guardare gli edifici e le decorazioni, mentre mi si riaffacciano alla mente i versi dei poeti che ne hanno parlato e dei novellieri che ne hanno scritto. Purtroppo la poesia del momento si interrompe bruscamente quando un poliziotto mi chiede urlando di pagare il biglietto.

Non riuscii a trovare una guida che parlasse inglese e dovetti accontentarmi di un uzbeko che mi parlava in russo intercalando qua e la qualche parola in inglese, mentre io per parte mia gli rispondevo in inglese, intercalando qua e la qualche parola in russo. Per uno strano prodigio ci capivamo abbastanza e mi fece vedere i cortili, i ballatoi e le cellette delle tre madrasse di Ulugbek, Shir Dar e Talakari.

L'indomani continuai le mie esplorazioni archeologiche visitando il Mausolei e moschee, ma ero a Samarcanda ed entrai in un bazar, quello di Siab, forse il principale e più brulicante, che si stende ancora oggi nei dintorni della moschea di Bibi Khanum,dove si trovava di tutto, abbigliamento, pezzi meccanici, utensili oggetti per la casa anche se io continuavo a vedere con gli occhi delle mie letture stoffe e mercanzie in vendita all'epoca dei Khan.

Di qui giorni ricordo soprattutto le immagini dei posti e l'eco dei ricordi di libri letti e sepolti nella mia memoria che ogni tanto si liberavano e uscivano. Ci avrei messo molti giorni per lasciar passare questa ondata di pensieri che avevano più a che fare con me che con quello che mi circondava e aprirmi infine alle persone che avrei incontrato nel mio viaggio. Non credo fu un caso che storie come quelle della cena a casa di Nadir mi sarebbero capitate molto più in la nel viaggio e non a Samarcanda. Qualche settimana dopo appena arrivato a Bukhara nella piazza Lyabi-Hauz, il punto di partenza degli itinerari di visita suggeriti dalle guide e venni fermato da un uomo che in un inglese stentato mi chiese se mi fossi già organizzato per la cena, spiegandomi che sua moglie cucinava per i turisti per raggranellare qualche soldo e mi propose di cenare a casa da lui. Facile immaginare la diffidenza di fronte a questa proposta, ma alla fine accettai e ci demmo appuntamento per la sera stessa nello stesso punto. A casa la mogli aveva già imbandito la tavola. Mi raccontò che in quella stagione (eravamo a Novembre), con i turisti quasi spariti stava per partire per andare a lavorare in Russia e raggranellare qualche soldo e molte altre storie di famiglie e di quella città. Gli lasciai una generosa somma e lui mi face capire che erano un po' troppi. Gli dissi che era un regalo, li accettò e mi riaccompagnò in piazza. Mentre camminavo per le strade deserte di una città che non aveva quasi illuminazione notturna, ebbi modo di riflettere sulla stranezza dei rapporti tra gli uomini. Si parte pensando ad una possibile rapina in un vicolo e si ritorna contenti per aver aiutato un padre di famiglia a mandare avanti la baracca. Sia maledetto il nostro tempo che ti insegna a tenere in gran conto la diffidenza, visti i personaggi che ci sono in circolazione nel mondo.


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