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Venerdì, 12 Dicembre 2014

Un lillipuziano ad Amsterdam

Beh in definitiva eccomi nella famosa Amsterdàm. Durante il tragitto in autobus, siccome ero praticamente circondato da rasta, mi ero leggermente preoccupato, ma  al momento davanti a me vedo solo persone normali (invero, soprattutto di questi tempi, il borghesissimo concetto di normalità risulta molto relativizzato e di difficile esegesi). Devo dire che passare per Rotterdam non mi è dispiaciuto per le opere ingegneristiche futuristiche che ho intravisto. Né mi è dispiaciuto vedere i cartelli che segnalavano il mio passaggio per Deft, la città in cui mio padre venne a fare degli appositi studi

ARTICOLO DI

ElCoimbra

Beh in definitiva eccomi nella famosa Amsterdàm. Durante il tragitto in autobus, siccome ero praticamente circondato da rasta, mi ero leggermente preoccupato, ma  al momento davanti a me vedo solo persone normali (invero, soprattutto di questi tempi, il borghesissimo concetto di normalità risulta molto relativizzato e di difficile esegesi). Devo dire che passare per Rotterdam non mi è dispiaciuto per le opere ingegneristiche futuristiche che ho intravisto. Né mi è dispiaciuto vedere i cartelli che segnalavano il mio passaggio per Deft, la città in cui mio padre venne a fare degli appositi studi

Ad ogni modo raggiungere il centro di Amsterdam, a quanto pare, non è difficile: qui i mezzi pubblici funzionano perfettamente e in pochi minuti sono nella zona del mercato nuovo, a metà strada tra piazza Dam e piazza della stazione centrale. Mentre passeggio per l’enorme via che ricongiunge le suddette piazze, mi sento solamente un lillipuzianissimo puntino lontano che con la testa cerca di salire per vedere cosa c’è al di là degli iperuranici palazzi che rendono del tutto irrilevante la mia presenza. Gli spazi, in effetti, sono notevoli e – se non fosse per l’incredibile quantità di persone che mi gira attorno - mi sembrerebbe di essere in una valle sconfinata senza orizzonte. Tanto più che non c’è alcun marciapiede per separare la zona pedonale dalla carreggiata e così tram, biciclette, motorini e pedoni si incrociano senza mai scontrarsi in un ordinatissimo caos. Del resto l’Olanda è il paese delle libertà individuali per antonomasia: se vuoi drogarti, puoi drogarti; se vuoi schiantarti contro un palo della luce non segnalato, puoi schiantarti contro un palo della luce non segnalato.  Qui non si riceverà mai alcun biasimo, perché tutto è concesso: infatti, siccome il casco non è obbligatorio, nessun motociclista lo indossa. Tanto, se lo stato non se ne frega della vita o della morte dei suoi cittadini, perché dovrebbe farlo chi installa pali della luce in mezzo alla carreggiata? Perché qui, signori miei, c’è la libertà! Una libertà pagana come quella del pater familias che aveva lo ius vitae at necis (diritto di vita e di morte) sui propri figli.

Ciò premesso, a me Asterdàm piace: non c’è nulla da visitare, ma mi piace maledettamente. Gli olandesi sono persone concrete: se costruiscono un mercato, lo chiamano mercato vecchio; se ne costruiscono uno nuovo, lo chiamano mercato nuovo. E così è anche per le Chiese, in particolare per la Chiesa vecchia e per la Chiesa nuova, entrambe  -  come  ogni cosa da queste parti – enormi nelle loro dimensioni e parimenti chiuse. Qui non conoscono le mezze misure e, se con 3 euro ordini una porzione gigante di patatine, davvero riceverai una porzione gigante di patatine  che riuscirai a terminare solo in seguito ad un sforzo sovrumano.

 Persino il palazzo reale non è oggetto di particolare riguardo da parte dei regnicoli e, nell’attraversare diverse volte e a poche ore di distanza la piazza Dam, ho avuto la possibilità di veder sorgere dal nulla un vero e proprio parco giochi con una ruota panoramica posta a pochi metri dall’ingresso principale del suddetto palazzo. Epperò, almeno per quanto mi riguarda, la bellezza di Amsterdam è tutta nei suoi gelidi canali che ti entrano direttamente nelle ossa e nelle biciclette che sfrecciano come onde vagabonde. Qui tutto sembra impersonale e persino per comprare da mangiare non c’è il fastidio di dover ordinare la roba a qualcuno: da Febo, una delle catene che vende cibo da strada, è sufficiente inserire una monetina in corrispondenza di una celletta da cui uscirà la pietanza prescelta senza  che sia necessario salutare qualcuno. Io, infatti, il mio pranzo (id est: due panini con  crocché) l’ho consumato proprio da Febo per il piacere di non parlare con nessuno. E, invero, ho preferito tenermi alla larga dai sedicenti ristoranti coreani, vietnamiti, argentini e italiani presenti ad ogni angolo di strada.

Orbene, benché l’Olanda sia la patria di tutte queste libertà – che in Italia solo il senatore Razzi sa interpretare pienamente – per mille altre ragioni è stata molto meno libertaria con i cattolici, visto che quest’ultimi sono stati sistematicamente perseguitati e obbligati a lasciare l’Olanda in seguito alla confisca di tutti i loro beni.

Infatti solo nel cosiddetto Begiinhof alcune pie donne hanno resistito grazie ad un atto di clemenza statuale: infatti queste tizie, cattoliche che prestavano assistenza ai bisognosi, si  autoconfinarono nei secoli passati in una specie di condominio da cui non uscivano mai. Ancora oggi qualche donna ci vive indisturbata, sebbene orde di turisti vadano a visitare queste palazzine violando la loro privacy e fotografando creature che, al pari dei panda sopravvissuti, hanno evitato l’estinzione di una specie (la specie del cattolico olandese).

Sennonché di fortini in mezzo al far west Amsterdam ne è piena. In uno di questi, il cd. “ostello cristiano” in cui sono stato, per regolamento è vietato introdurre e assumere droghe. Ciò nonostante con tre assuntori francesi di “funghi magici” io ci ho dormito e ci ho anche litigato nel momento in cui apparivano particolarmente molesti al mio cospetto.

Il punto è che io – e un po’ di questi tempi bisogna vergognarsene – a stento digerisco i peperoni, figuriamoci la droga (citazione da“Così Parlò Bellavista”).

 E così – anche  se sembra kafkiano – sono costretto ad ammettere che io, che non sopporto nemmeno l’odore di una sigaretta, ad Amsterdàm ci sono andato solo per visitarla, non per fare il Gino Fastidio di turno in cerca di gas. 

Epperò ad Amsterdàm mi sono comunque divertito, perché Amsterdàm - anche se si è venduta l’anima e a volte è assai volgare e kitch - è dannunzianamente e dannatamente vitale,
Sennonché, se per mancanza di volontà non ho visitato nemmeno la casa di Anna Frank (e bastaaaaa!), sono tuttavia andato al  museo di Van Gogh dove ogni profano può scoprire che, per diventare “pittori” famosi, bisogna innanzitutto avere un fratello facoltoso che ti procura i quadri da cui imparare a dipingere.

In fondo è sempre stato così: senza danari non si cantano messe e, se Vincent non avesse avuto Theo, probabilmente avrebbe fatto la fine del giovane laureato meridionale privo di amicizie che contano,

Avrebbe cioè fatto la fine di uno che non ha preso l’autobus semplicemente perché aspetta dove non ci sono fermate.

 

Comunque, mi ripeto, Amsterdam è bella, a me è piaciuta persino quando ho riacquistato la lucidità.

Persino quando mi sono perso nell’aeroporto e ho dovuto camminare per un’ora per raggiungere  la mia porta d’imbarco: d’altra parte per dimensione l’aeroporto di Amsterdàm non poteva che essere proporzionato al resto del paese. 
Patatine giganti incluse.

P.S. Sì, è vero, questo pezzo potevo scriverlo in modo del tutto diverso. Potevo illustrare monumenti, strade, sfizi, ma questa non è la solita guida turistica e  stasera è andata così. 

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