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Giovedì, 21 Maggio 2009

Speedy-viaggio di Gita ed Ika: da Antalya al Cairo in un mese e mezzo.

Parigi, ore 15.30. La classe di arabo è una coltre di barbe lunghe e veli. La sensazione e' sempre la stessa dall'inizio dei corsi : quella di essere un pesce fuor d'acqua. Il Prof. Shehadeh fa passare il foglio delle presenze e alle 17.30 sento una voce che mi chiede : « Ma sei italiana ? ».
Concorso Storie Vagabonde

ARTICOLO DI

gitanilla


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Parigi, ore 15.30. La classe di arabo è una coltre di barbe lunghe e veli. La sensazione e’ sempre la stessa dall’inizio dei corsi : quella di essere un pesce fuor d’acqua. Il Prof. Shehadeh fa passare il foglio delle presenze e alle 17.30 sento una voce che mi chiede : « Ma sei italiana ? ». Lì comincia il nostro viaggio, ottobre 2005, in un’aula della Sorbona. Ogni giorno più demoralizzate, incapaci di parlare arabo, Ika ed io decidiamo che l’estate seguente saremmo partite per il medio Oriente, per un corso di arabo.
Ika di ritorno in Germania, optiamo per un volo della Germanwings da Colonia ad Antalya e per un volo di ritorno per me dal Cairo a Monaco di Baviera, quattro paesi da attraversare in un mese e mezzo, zaino in spalla, ed un’amicizia da mettere alla prova. Da Parigi, raggiungo Ika a Colonia e ci ritroviamo a riorganizzare completamente il nostro progetto di un corso d’arabo a Damasco per via della guerra in Libano, scegliendo Aleppo. Il 3 agosto atterriamo ad Antalya e, dopo una rapida sfogliata alla Lonely Planet prendiamo un autobus per Fethiye. Con una stanza per sole 10 lire alla Tan Pansiyon, affittiamo un motorino per visitare i dintorni. La scelta verte sul villaggio di Kayaköy, quasi 2000 case di pietra abbandonate dalla popolazione greca nel 1923. L’indomani, dopo una rapida visita alle tombe licie nella montagna che dominano la citta’, visitiamo le rovine di Letoon. Di ritorno prima del tramonto, lasciamo Fethiye alla volta di Kas, un posto che ho sempre desiderato visitare da quando, vagabondando nel web, avevo letto le ultime 4 righe del racconto di Fiamma sulla Turchia. Troviamo la Hilal Pansiyon al completo, ma Suleyman ci accorda un paio di divani sull’incantevole terrazza con vista sulla baia per 10 lire. Ci risvegliamo il mattino seguente tra i turisti che fanno colazione e ci aspetta una giornata in barca nella baia di Kekova, tra le rovine romane sommerse e le tombe licie a sarcofago che spuntano nel mare di fronte al villaggio di Kaleköy. Un colpo di sole dopo, partiamo alle 7 del mattino dirette verso Anamur e, tra un casco di banane ed un altro, visitiamo le rovine romane di Anamurium: approfittando della spiaggia deserta, ci facciamo una nuotata guardando il castello e le mura fortificate dell’antica citta’. Dopo una notte a Silifke, ci dirigiamo in dolmus verso le "grotte del paradiso e dell’inferno": lasciamo gli zaini in un borekci sul mare e ci facciamo un rapido bagno al ritorno dalle grotte. Circa 10 ore dopo siamo ad Antiochia, sentendo il bisogno di coprire le nostre canotte come se fossimo state improvvisamente catapultate in un’altra Turchia, domandandoci che fine abbia fatto la "porta della Siria" che ci immaginavamo di trovare: l’Oronte ridotto ad un rigagnolo quasi sommerso dall’immondizia, la nuova edilizia turca che soffoca inesorabilmente l’architettura tradizionale araba. Troviamo la vecchia Antiochia dietro al suq (mercato), in un quartiere dalle strette stradine e dalle facciate delle case spoglie, ma che in realta’ nascondono meravigliosi giardini e fontane. L’indomani prendiamo il taxi, accordandoci per 300 lire a persona: alla frontiera facciamo in fretta e dopo una folle corsa arriviamo ad Aleppo, bianca, frenetica, dove l’attraversamento pedonale si rivela immediatamente la cosa piu’ pericolosa da fare in citta’.

La guida della Siria ci spedisce al Tourist Hotel, che non tradisce le nostre aspettative. Alla reception Ahmad ci fa sapere che ci sono dei tedeschi che stanno per cominciare un corso d’arabo all’Universita’. Con alcuni archeologi italiani l’indomani visitiamo il Qalat Sama’an, famoso monastero di San Simeone, l’eremita che passo’ quasi tutta la sua vita su una colonna nel IV secolo d.c. Il giorno dopo incontriamo il gruppo di tedeschi per i quali l’universita’ era riuscita ad organizzare un corso d’arabo all’ultimo minuto. Ci iscriviamo, paghiamo 5000 lire per il mese e ci trasferiamo nella citta’ universitaria, per 100 lire a notte. Il trauma linguistico ci obbliga a cercare un "tandem", ovvero una persona con la quale conversare in arabo. Andiamo al dipartimento di francese e chiediamo aiuto al dr.‘Issam: curiosamente, ci invita ad andare a casa sua, dicendoci che suo figlio Jawad ha bisogno di lezioni di francese (!) e che sua moglie ha sempre voluto imparare l’italiano. Da quel momento, le nostre giornate vengono scandite dalle lezioni al mattino e dalle visite alla famiglia del dr. ‘Issam nel pomeriggio. I 3 week-end ad Aleppo li passiamo visitando le rovine della regione. Scegliamo subito le citta’-morte: un complesso di circa 600 villaggi di pietra dell’epoca bizantina misteriosamente abbandonati verso l’anno 1000. Scendiamo a Ma’ret el-Nu’man e cerchiamo un pick-up che ci porti per un prezzo decente a Sergillah, la meglio conservata delle citta’-morte: dopo varie contrattazioni, troviamo Muhammad. Durante la strada facciamo amicizia e siamo tutt’ora amici.

 

Il week-end seguente, con il nostro amico Nicolas appena arrivato dalla Turchia, decidiamo di andare a visitare il famoso Crac des Chevaliers e di fermarci una notte nella cittadina costiera di Tartus.

 

Siamo cosi vicini al Libano che ci sembra quasi di poterlo toccare. L’indomani andiamo a visitare un castello sul mare, il Qalat Marqab: ci attira piu’ per il fatto che meta’ del castello e’ in stato d’abbandono -infestato dai serpenti-, che per ragioni storiche.
A corso terminato, lasciamo Aleppo e proseguiamo il nostro viaggio verso sud. Dopo una giornata passata a casa del nostro amico Rostom, decidiamo di provare ad arrivare a Palmyra prima dell’alba seguente, per godere dello spettacolo del sole che sorge tra le rovine della citta’. Prendiamo un bus per Homs e arriviamo a Palmyra alle 4 del mattino, accolti da un paesaggio lunare: vagabondiamo lentamente tra le rovine, con la luna e le stelle che guidano i nostri passi e la bottiglia d’arak per riscaldarci, e finalmente vediamo il sole che s’insinua tra i templi e che si riflette sul decumano.

 

Classica corsa in cammello verso la valle delle tombe, visita al tempio di Baal e alle 11 corriamo via dal sole-killer dell’8 settembre. Corriamo per riuscire ad arrivare al monastero di Mar Musa prima del tramonto. La spiritualita’ del posto -un monastero in mezzo al deserto- e la vita della comunita’, una trentina di persone, ci piacciono a tal punto che decidiamo di restare un giorno in piu’, a riflettere guardando il deserto, a lavare i piatti per 70 persone come partecipazione al vitto e alloggio gratuiti, a sonnecchiare nella biblioteca.

Due giorni dopo siamo a Damasco, la piu’ vecchia citta’ del mondo abitata in modo continuativo. Scegliamo l’hotel el-Haramein, dove ritroviamo qualche amico che era con noi ad Aleppo: ci tuffiamo in una visita intensiva della citta’ vecchia, che pero’ non ci affascina come Aleppo, dove tutto sembrava piu’ autentico, meno materialistico, dove i taxi avevano il tassametro e non la corsa fissa a 100 lire per stranieri.

 

Vicolo del quartiere ebraico della citta’ vecchia di Damasco.
Due giorni dopo siamo ad ‘Amman, poco interessante come citta’, a parte l’anfiteatro romano in cui qualche giorno prima avevano sparato a 7 turisti. Dormiamo nella pensione piu’ economica ma ci sembra tutto cosi caro rispetto alla Siria. Prendiamo un minibus che costeggia il mare, cercando una spiaggetta per poter finalmente "leggere il giornale galleggiando" sul Mar Morto: arriviamo in una specie di resort e cominciamo ad odiare la Giordania ed i suoi prezzi folli. Pero’ riusciamo a galleggiare finalmente, guardando il tramonto sulla Palestina, sudando fino a notte fonda in quella conca mediorientale, e ci addormentiamo su una sedia-sdraio di palstica. L’indomani ci accampiamo sulla strada cercando un passaggio fino al villaggio piu’ vicino, 4 cambi fino a Petra, dove arriviamo alle 12. Prendiamo un materasso in una pensione a ‘Ain Musa per 3 dinari e corriamo verso le rovine di Petra, tutte contente del fatto che per gli studenti ci fosse un lauto sconto. Purtroppo la legge era cambiata tre giorni prima, e gli studenti pagavano 25 euro come tutti. Sotto shock –con un budget limitatissimo- decidiamo di entrare senza pagare, arrampicandoci su per il siq (canyon) che circonda la citta’ e dopo 3 ore di vagabondaggio, riusciamo finalmente ad entrare e a visitare per un paio d’ore la citta’, che secoli di acqua e vento hanno modellato cosi come ci appare. La mattina seguente prendiamo un bus per ‘Aqaba, con l’intenzione di salire sul traghetto per il Sinai alle 12: nel momento in cui ci avviciniamo alla costa del Sinai vediamo una lunga striscia di sabbia bianca e mare cristallino, circondato da deserto rosso e, senza neanche pensarci, decidiamo di passare li a Nuweiba‘ gli ultimi due giorni insieme. Ci facciamo portare al Soft beach Camp, un"paradiso terrestre": per 15 ghinee prendiamo un bungalow sul mare e passiamo quasi due giorni sulla sabbia, a giocare a calcio con i ragazzi del camp e a guardare le luci dell’autostrada in Arabia Saudita, a scoprirci amiche per la pelle dopo quest’esperienza e a osservare i cammelli attraversare l’unica strada di quel tratto di Sinai...
Alle 9 del 18 settembre prendiamo il bus per il Cairo, dove arriviamo dopo 9 ore di deserto quasi ininterrotto. Giusto il tempo per un giro al Khan al-Khalil, un the’ e un narghile’ in un vecchio caffe’ arabo stretto in un vicolo del mercato e un piatto di koshari ed e’ gia’ mezzanotte. Una corsa all’aereoporto e ci salutiamo con una Stella in mano, con la speranza di viaggiare ancora insieme. Inshallah.


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