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Giovedì, 12 Novembre 2015

Pha Ngan vs Samet: sfida all'ultima isola

Feste scatenate o spiagge silenziose? Divertimento o solitudine? Europa o Asia? Nel Golfo di Thailandia ce n'è per tutti i gusti. Io scelgo la puzza.

ARTICOLO DI

gitanilla

Metti due isole. Bellissime, immerse nell'azzurro mare del Golfo di Thailandia, benedette da una vegetazione rigogliosa e da sabbia bianca fine come farina. La prima è famosa, una delle più conosciute d'Indocina. Non tanto per i suoi fondali sublimi quanto per le sue feste scatenate. Scendi dal traghetto - un lussuoso e confortevole aliscafo - e vieni assalito da frotte di persone con cartelli in mano, pronti a portarti nel resort dei loro amici o familiari. Resort belli e puliti, di tutti i tipi, dove camerieri educati e molto professionali provano a rifilarti marijuana a basso prezzo per poi denunciarti alla polizia e dividere con le zelanti forze dell'ordine la tua ricca cauzione. Anche le spiagge sono altrettanto belle e pulite, degne cornici di una qualsiasi pubblicità dei solari Bilboa. Forse il livello dell'acqua è un po' basso, e il bagno in molti posti non si può fare. Ma che importa: presto arriverà la notte e si ballerà.

 

L'isola in questione è larga ed estesa: per girarla tutta ci metti qualche ora, eccezion fatta per la parte nord-est che, ancora immersa nella giungla, è poco praticabile. Per andare da ovest a est, verso la festa, bisogna scavallare salite e discese ripidissime: per questa ragione sia le strade che i motorini sono in ottimo stato, e sono decine e decine i pick-up che fanno servizio taxi con prezzi adeguati agli standard dei turisti. Quelli europei.

 

Sulla prima isola, che è pur sempre parte della Thailandia, sono quasi più gli occidentali – europei, americani, australiani – che vedi rispetto ai locali. Sulla strada principale si susseguono centri per massaggi tradizionali e“particolari”, a ogni angolo c'è un ristorante straniero, senti parlare quasi più inglese e francese che thai. Le frazioni in riva al mare sono brevi strisce di luci, musica, alcool e gente sconvolta. Ogni due settimane c'è il party per eccellenza e la spiaggia dove ha luogo diventa per molti un paradiso di fuochi, divertimento, incontri e droga. Per altri, diventa l'anticamera dell'inferno.

 

 

Poi arrivi nella seconda isola e ti si profila uno spettacolo ben diverso. Già raggiungerla, in pullman da Bangkok, sembra più un viaggio della speranza che un tragitto comodo e rilassante, stretto come sei su un autobus cadente che si infila strombazzando in tutte le località della costa a passo di lumaca semiparalitica. Al porto, scopri che dovrai salire su una bagnarola di legno dai colori sgargianti che forse ha fatto la guerra d'Indocina. Poi arrivi a terra e non ti fila nessuno, se non un pigro funzionario statale che ti ricorda di pagare la tassa di ingresso in un parco naturale. E non ci riesce neanche tanto bene.

 

L'isola è stretta e piccola, come se fosse un pugnale conficcato nel mare. Ha una decina di spiagge che, a parte le prime tre più vicine al paese, sono quasi inaccessibili: l'asfalto, da un certo punto in poi, non esiste. Per arrivare in spiaggia devi incrociare le dita e sperare di non incastrare la ruota del motorino in una radice e finire con il culo sul brecciolino.

 

Non si incontrano molti bianchi, sull'isola. Qui i turisti sono principalmente thai e cinesi, e l'inglese è snocciolato in massimo 10 parole con grandi sorrisi e molta gentilezza. Per due euro si può mangiare un delizioso tonno alla brace, per uno un favoloso pad thai con gamberoni così freschi da sembrare ancora vivi. I disco-bar si contano sulle dita di una mano, a mezzanotte spesso tutto tace. E si sente solo il rumore del mare.

 

I resort sulla spiaggia non sono molti, e spesso non hanno l'aria molto pulita. Una buona dose di moschini ti tormenta le gambe mentre tenti di asciugarti al sole. Nell'unica strada dell'isola ogni tanto capita, in alcuni punti, di sentire una puzza insopportabile, un misto di immondizia e cloaca: “the smelly island” la chiama Richard, cinquantenne londinese, trasferitosi in Thailandia nel 1992. Ha trovato un passaggio in mezzo al bosco, da cui può raggiungere una scogliera nascosta e fumare una canna in tutta tranquillità guardando da lontano i pescatori. E' indubbiamente il suo posto preferito del paese, un posto dove ama rintanarsi quando Bangkok lo soffoca. E ora è anche il mio posto. Sporco, imperfetto e pieno di sfide da superare: riuscire a passare la notte senza grattarsi, riuscire ad arrivare vivi in spiaggia, riuscire a trovare il proprio bungalow nell'oscurità della giungla. Eppure così autentico.  

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