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Lunedì, 11 Agosto 2014

La Tunisia è STUPENDA

Ecco la Tunisia con i miei occhi

ARTICOLO DI

siskissima

Dopo esser stata nel deserto del Sahara tunisino, pensavo di aver visto il meglio del Paese nordafricano, più noto comunque per le località della costa che si affacciano sul Mediterraneo, da Hammamet a Djerba.  Invece mi son dovuta ricredere, perché a pochi chilometri da Douz, la “porta del deserto”, si possono ammirare una molteplicità infinita di straordinari paesaggi, tutti diversi tra loro.

Uno di questi è senz’altro quello che si apre a est, verso Matmata, dove si trovano i villaggi trogloditici berberi più famosi della Tunisia, da quando, nel 1977, George Lukas vi ambientò uno degli episodi della saga di Guerre stellari. Il perché è presto detto: il paesaggio, lunare, apocalittico, in tutte le gradazioni del marrone, specie quelle più chiare, ben si presta a fare da sfondo a vicende fantascientifiche, tra strati di sabbia e argilla, e vegetazione stepposa. Ben visibili, poi, si aprono nel terreno profonde gole: sono piccoli villaggi di berberi, in parte tuttora abitati, che qui si rifugiarono nel Medioevo per sfuggire alla colonizzazione araba, dando luogo alle note e temperate abitazioni rupestri.

Durante il mio viaggio ho potuto esplorare uno di questi crateri. Sono entrata sotto terra attraverso una piccola porta ricavata lungo il fianco di una collina e ho percorso in penombra un basso e lungo corridoio in discesa fino a sbucare in un cortile circolare a cielo aperto, scavato nella morbida roccia e abbagliante per via della calce con cui sono state rivestite le pareti. Vi si affacciano una decina di porte, che ho liberamente varcato (ovvio, in cambio di un’offerta finale): sono le uniche aperture di altrettante stanze scavate nella terra, semplici e ordinate. Gentili, le donne in abiti tipici mi hanno invitata a sedermi sui tappeti di un’ampia stanza, dove mi hanno servito una merenda dalla bontà sorprendente: thè caldo alla menta accompagnato da pezzi di pane da intingere in un piatto che mescola assieme olio e miele.

Lo stesso giorno sono stata anche a Zeraoua (necessario un 4×4), uno stupefacente villaggio berbero medioevale, in sasso, mimetizzato e abbandonato in cima ad una collina di arenaria, in una posizione meravigliosa quanto nascosta: di fatto nel nulla, ma a metà tra il deserto, la terra fertile e il mare che si scorge all’orizzonte, verso est. Dopo aver pranzato sotto il portico di un edificio della legione straniera, costruito in posizione strategica dirimpetto al villaggio, mi sono recata tra le costruzioni in sassi e architravi di palma di Zeraoua, che, se non rovinate a terra, si presentano in precario equilibrio.

Se non fosse stato poi per un innocuo cane di mezza taglia che continuava ad abbaiare lungo un pendio all’ingresso e per le numerose galline che si agitavano tra le costruzioni diroccate, si sarebbe detto che Zeraoua fosse completamente disabitata. Invece, andandomene ho scorto una vecchia donna seduta nella penombra di un piccolo atrio.

Gli effetti dello spopolamento sono comunque evidenti anche al villaggio berbero di Tamezret, arroccato sulla cima di una collina che domina l’altopiano del Dahar, a 460 metri d’altitudine. Ilpittoresco villaggio in pietra, ai cui piedi passa la strada per Matmata, si sta via via sgretolando, mentre gli abitanti si trasferiscono in nuove case di cemento, giù in pianura.

Dall’altra parte di Douz, verso ovest, lo scenario è pre-Grand Erg, il mare di sabbia che si estende dall’Algeria al sud della Tunisia. Poco dopo aver lasciato la pista battuta, si raggiunge, tra basse, accecanti dune di sabbia color champagne, una zona in cui affiorano tracce di una città morta. Sono i ruderi di abitazioni berbere abbandonate e lasciate alla mercè del tempo e del deserto, tant’è che si dice che sotto ad ogni duna, tra una palma e l’altra, ci sia almeno un’abitazione sommersa.

Altri 30 chilometri oltre, a Es Sabria, ho visitato invece un forte in pietra della legione straniera francese, con soffitti a volta, che dev’esser stato oggetto di un recente restauro e ampliamento per farne una struttura ricettiva, se non altro per le scritte ‘bar e restaurant’ che si intravedono sbiadite sopra ad un paio di ingressi che si affacciano su un cortile con pozzo.

 

Proseguendo ancora siamo arrivati a El Faouar, da dove proviene la maggior parte delle rose del deserto vendute sulle bancarelle e nei negozietti di souvenir di tutta la Tunisia. Ci siamo recati proprio alla cava da dove vengono estratte. O, meglio, venivano, perché quando siamo arrivati noi, non c’era traccia di alcun cantiere. Solo, in mezzo alla spianata circondata da un cordone di dune chiarissime, si vedevano due larghe e basse capanne abbandonate, fatte con graticci di foglie di palma, che servivano agli addetti per ripararsi dal sole. Dal plateau affiorano miriadi di piccole rose del deserto, in particolare sui cumuli di sabbia. È il vento infatti a disvelare queste concrezioni di petali minerali a base di gesso, le più piccole delle quali si trovano a pochi centimetri di profondità, le più grandi ad alcuni metri.

Un altro, imperdibile spettacolo è quello che si apre a nord di Douz. Per raggiungere Tozeur infatti ci sono i 5 mila metri quadrati del grande lago salato Chott El Jerid (famoso anche per le allucinazioni che può provocare), attraversati da una striscia d’asfalto poggiata su un terrapieno alto fino ad un paio di metri.  Lo abbiamo percorso col bel tempo, fiancheggiati da due irregolari fasce bianche di sali affiorati, mentre il resto dell’immensa spianata cristallizzata era color bronzo-oro. La crosta tuttavia è sempre cangiante, per via del continuo processo di evaporazione e cristallizzazione del sale che viene in superficie a seguito delle (scarse) piogge. Basta infatti una nuvola o anche solo passare dopo 5 minuti per trovare la superficie mutata nei colori e nelle striature che si perdono all’orizzonte, sotto un sottile strato di sabbia portata dal vento.

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