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Sabato, 26 Settembre 2015

La porta orlata d'Oriente

Istanbul.

In stazione in attesa del treno notturno per Ankara.

ARTICOLO DI

ric570

Sto per lasciare Istanbul, capitale a cavallo tra l’Oriente e l’Occidente, il ponte tra il presente e il passato, crocevia di popoli mongoli, islamici, ortodossi, cristiani.

Un altro carretto spinto a mano da un signore di mezza età si sta facendo largo tra chi parte e chi arriva, tra chi si mangia un kebab seduto sugli scalini davanti ai chioschi colorati e ordinati, con ogni cosa al suo posto, come i cubetti della lego ad incastro.

Un uomo con in spalla un grande sacco di iuta bianca con la striscia rossa, il colore della bandiera con la mezza luna e la stella che fieramente sventola dal centro del campus universitario, dalle colline affacciate sul Bosforo, dai palazzi che contano, dalle finestre delle umili case.

Il rosso dei treni, dei carretti con le ciambelle ai semi di sesamo, di quelli con le gialle pannocchie di grano, lesse o abbrustolite al fuoco di un braciere a gas. La pannocchia.. zucchero filato dei bambini nel giorno di festa, spuntino dell’operaio edile come quello dell’uomo d’affari vestito elegante.

E’ il fumo che invade le strade, che si mescola a quello dei pesci appena pescati e abbrustoliti sulla chiatta, imbottiti di cipolla, pomodori e un grosso peperoncino verde fresco per le bocche delle famiglie sedute sui prati in riva al mare, o su piccoli sgabelli intorno ad un piccolo tavolino, con sopra del limone liquido e del sale da condimento.

E’ il fumo dei kebab che perfonde per tutto il grande Bazar, mescolandosi a quello delle profumate spezie colorate in bella mostra sui banchi illuminati.

Segui l’odore dolciastro e invitante della carne di pollo o di agnello trafitta e tagliata da coltelli scimitarre, lo segui e ti ritrovi seduto sui piccoli sgabelli, ai bordi dei marciapiedi rasati dalle auto e dai furgoni, rischiandoci le spalle.

Poco prima una signora in bicicletta ha rischiato invece la vita su una vetrina.. quel suo braccio aperto in due.. ma qui non c’è il tempo di pensarci e il kebab riprende il suo posto.

Auto, taxi, bus, tram hanno la precedenza e non i pedoni.. colpi di clacson, brevi ma frequenti, che non si fermano al rosso dei semafori né agli stop, perché è come se non vi fossero.

E mentre qui seduto tra il mucchio di zaini di guardia a scrivere, un furgone scorazza sul lastricato della stazione, sfiorandomi le scarpe..

E’ la Istanbul che non si ferma, che lavora di giorno come di notte, che mangia dove lavora, mangia ai piedi di un cimitero e dorme dove c’è chi mangia.. Giovani cuochi addormentati sui fornelli, esausti perché non c’è orario per dare da mangiare, h 24!

Tutto è un continuo movimento.. traffico, netturbini, gente che va e gente che viene, traghetti, pescatori, muezzin che si complimentano da un minareto all’altro, perché da ogni parte ti sposti e da ogni angolo ti giri, ce n’è sempre uno che ti guarda e ti ricorda che la Mecca, almeno una volta nella vita, ti aspetta.

Ed il cielo sopra Istanbul è uno svettare dei campanili di Maometto, tra i palazzi, tra le case di legno colorate dei quartieri popolari, tra i negozi all’ultima moda italiana e tra gli uffici governativi, tra le officine al buio degli anziani fabbri che ti chiedono una foto, tra i panni stesi al sole.

Un sole che picchia il suo forte calore, fino all’ultimo secondo prima del tramonto, che ti fa bere e poi ancora bere, che riempie così le strade di plastica perché cestini non ve ne sono.

Sono i ragazzotti un po’ malandati, come quei vecchietti sdentati e coperti di stracci con i loro carretti a raccogliere le bottiglie non smaltite, a ripulire dalla plastica, di giorno come di notte, i marciapiedi e le aiuole delle piazze. La loro elemosina, il loro piccolo tesoro, unico sostentamento di vita.

Ma la vita qui, almeno nella Istanbul turistica non appare povera, almeno non per tutti.. Case senza intonaci, mattoni appiccicati con lo sputo, cavi elettrici volanti in matasse contorte, i segni di incendi passati su pareti di legno vissute a dispetto di automobili nuove e ben pulite, vestiti sgargianti e scarpe ben lucide.

La classe delle camicie colorate e ben stirate, portata ad arte da un anziano professore che con un grosso testo sotto il braccio esce di passo svelto dall’ingresso del campus, mentre i suoi giovani e già europei studenti ti chiedono per strada di dialogare un po’ con loro.

 

Il treno rosso ti sta lasciando.. goodbye porta orlata d’oriente!

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