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Sabato, 9 Giugno 2007

Kenya, Diani - seconda parte

Continuo ad avere le lacrime agli occhi da quando sono tornata da Diani. Il Kenya mi ha strappato anima e cuore, e dovrò tornarci presto per riaverli.

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Vagabondo0

Continuo ad avere le lacrime agli occhi da quando sono tornata da Diani. Il Kenya mi ha strappato anima e cuore, e dovrò tornarci presto per riaverli.

La prima parte del racconto si trova qui!

Durante le lunghe passeggiate in spiagga, un giorno conosciamo Federico. Federico è un altro beach boy che lavora per una delle tante agenzie che organizzano safari e gite indimenticabili. E' anche uno dei pochissimi che a Diani parla italiano. E ci propone la gita al parco marino di Kisite con sosta all'isola di Wasini. Ci fa un prezzo che non rifiutiamo e con 5 euro in più otteniamo che nel nostro pranzo siano incluse le aragoste.


E così giovedi andiamo a Wasini. Mi sono divertita quanto mi diverto quando vado a Gardaland. Barbara la racconterebbe come "una giornata da dimenticare". Ma non è da dimenticare, e lo sa bene anche lei. Ogni istante vissuto insieme è stato pieno di cose buone per i nostri cuori e le nostre menti.


Prima di salire sul battello incontro un ragazzo che vende Chupa Chups con il bastoncino che diventa fischietto una volta che finisci di succhiare la caramella. Penso: "Caspita, un dolcetto e un gioco insieme. Non posso non prenderli. So che sull'isola è pieno di bambini". Penso anche al dentista, ma è più forte di me.

Ne prendo un pacco da 100. Nessuno si accorge di questa mia mossa.


Insieme al nostro gruppo, c'è Franck e i suoi tre figli gemelli.

Chi è Franck? Franck è un signore francese piuttosto affascinante, secondo Barbara, e che sempre secondo Barbara, rimane fulminato dal primo momento in cui mi mette gli occhi addosso.

E io a dire: "ma che dici? ma che dite? ma che ne sapete?" Si, perché poi se ne convincono anche gli altri.

E io sempre a dire: "ma qui si parla soltanto. Voi non avete mai parlato con nessuno?"


E mentre noi si parla soltanto, l'oceano fa il suo dovere, e rende la gita piuttosto movimentata.

Innanzitutto ci nasconde i delfini. Poi ci regala onde lunghe e alte, tali da far spaventare un po' tutti. E io a ridere, e sentirmi quasi a casa, come quando vado in barca con babbo a Gonone e il mare è agitato.

Queste sono onde lunghe, dico. Non avete idea di come sia il vero mare mosso! E mi diverto come una pazza. E' come Gardaland.

Uno dei figli di Franck è verde. Si, decisamente potrebbe vomitare da un momento all'altro.


Jambo, jambo bwana... si, si canta anche in barca. E' la nostra guida che comincia. Vito lo filma perché è una scena imperdibile.

Che poi mica lo sappiamo se è la nostra guida. Prima di salire sulla barca abbiamo perso la nostra vera guida, per cui siamo saliti senza di lui sul primo battello che ci è capitato.

Comunque, dopo una breve gita che pare agli altri infinita, arriviamo in una sorta di secca. Qui si può fare snorkeling. E io ho pinne e maschera portate apposta. La corrente è forte anche qui. Ma non ho paura della corrente.


Sono la prima a scendere in acqua. Fredda. Si, decisamente fredda. Non vedo l'ora di mettere la maschera, perché sono in mezzo all'oceano e non vedere cosa c'è sotto mi fa sentire un po' in pericolo.

A fine gita mi dicono che c'erano anche gli squali. Per fortuna me l'hanno detto dopo.

Insomma, cominciamo questo giro di snorkeling. In principio siamo io, Franck e i suoi tre piccoli.

Divento una specie di supereroe per i suoi figli. Mi seguono ovunque io vada. Restano a bocca aperta a ogni mia immersione. Si chiedono come faccio a trattenere il respiro così a lungo. E anche Franck rimane affascinato. Mi dice che sono come un pesce.

E io gli dico che io SONO un pesce.


Anche la guida mi dice che è bello guardarmi sott'acqua. Che sembra il mio ambiente naturale.

La fauna marina. C'è. Si, c'è. Vedo pesci enormi. I colori sono sul grigio, verde, giallo e nero. Mancano i colori del mar Rosso. Non vedo niente di azzurro. Non ci avviciniamo troppo alla barriera perché è pericoloso per via della corrente.

I bambini tentano di immergersi con me, ma vengono spinti a galla con forza.


Al momento di risalire sulla barca, prendono paura. Si, perché la corrente è veramente forte. Vedo che due di loro non riescono neanche a avvicinarsi. Nuotano e nuotano ma non riescono a raggiungermi. Li vado a prendere e dico loro di tenersi stretti al mio braccio. Nuoto e nuoto, e li porto vicino al salvagente della guida. Gli dico di tenersi forte e di non mollare il salvagente per nessun motivo.


Franck in tutto questo badava al terzo bimbo. Non si accorge delle difficoltà degli altri due. Tant'è che quando poi gli racconto dell'episodio, mi ringrazia e mi dice che non s'è proprio accorto. E si sente proprio in colpa. Gli dico che può capitare, che non si facesse troppe pippe, oramai sono salvi.

Quando finalmente siamo tutti in barca, cominciamo a tremare a più non posso. Fa un freddo cane e comincia a piovere.


Ritrovo i fantastici quattro che nel frattempo eran rimasti a bordo. Tremo come una foglia. Che freddo. Piove. Che freddo.

Gli omini della barca si adoperano per metterci al riparo sotto un telone enorme. Ma oramai siamo tutti bagnati. Niente di grave.

Smette di piovere dopo pochi minuti. Il mare è sempre più agitato. Leggo negli occhi di Chiara la paura che la benzina non sia sufficiente, e che rimarremo in mezzo all'oceano per sempre. Si sentono dei rumori sempre più forti dal motore, non si capisce se la barca ce la farà a arrivare all'isola di Wasini. Io ho fiducia.


Ed eccoci arrivati. La pace. Vengono a prenderci con una specie di piroga a più posti. Per remare l'omino usa un bastone lungo che arriva a toccare il fondo del mare (sarà stato un metro e mezzo di profondità).

E allora tutti insieme: OOOOOOOOH ISSAAAA... OOOOHH ISSAAA...

E così fino a riva. E i figli di Franck si divertono e sono più rilassati di qualche minuto prima.










Terra. Finalmente. Eccoli. I primi occhietti e i primi sorrisi. E i primi timidi: jambooo. Che diventano dei JAMBO JAMBO JAMBO infiniti appena apro lo zainetto e tiro fuori i Chupa Chups.

Peremende, peremende. Give me a bon bon. Peremende peremende (peremende=caramella, dolcetto).


Ed eccomi, a dirigere sto traffico infinito di bimbi che sbucano come funghi da ogni parte. One by one. Uno alla volta.

E vedi le manine che si tendono verso di te, e gli occhi pieni di lacrime di chi ha paura di non riuscire a prendere neanche un dolcetto. Ma gli insegno a prenderli uno per volta, a lasciare che tutti prendano almeno un chupa chups, e così tutti sono soddisfatti.

E quando dico "ONE....", loro proseguono con "..BY ONE". Tutti in coro.

E quando intono "Jambo...", loro mi cantano Jambo Jambo.

E cammino per le vie del piccolo villaggio di Wasini con i bimbi che cantano per me. Alcuni attaccati con la manina alla mia gonna, altri che si attaccano alle dita delle mie mani, e tutti che fischiano con il loro nuovo fischietto.


Sono gonfia di lacrime e di amore da riversargli addosso.


Franck mi dice che sono pazza. Mi dice che non ha mai visto una cosa così bella nella sua vita. Mi dice che a un certo punto erano talmente tanti i bambini intorno a me che anche lui s'è sentito le lacrime arrivare agli occhi. Mi dice che i suoi bambini mi adorano. E che non poteva essere altrimenti.

Con Franck parlo un po' inglese, un po' francese e un po' italiano. Un mal di testa. Mi sento come Salvatore, ne "Il nome della Rosa".

E tutti si chiedono quando avessi comprato sti chupa chups, dato che siamo stati quasi sempre insieme e non si sono accorti. Esatto, quasi.


Pranziamo. Mangiamo aragoste, granchi, riso e varie bontà. Ma confesso che le aragoste mangiate da Maurice qualche giorno prima erano decisamente più buone e cucinate meglio, per lo meno erano cotte

Anche i granchi sono praticamente crudi. Ma hakuna matata.

La giornata è bellissima e dunque chissenefrega.


Nell'isola ritroviamo Francesco. Chi è Francesco? E' la nostra vera guida. Quella che ci siamo persi all'inizio della gita. O meglio, è lui che ci ritrova. Noi l'avevamo già rimosso.

E' un omino un po' cicciottello che anche lui, secondo Barbara, voleva qualcosa in più da me.

E io sempre: "maccheddici?"


Vito mi fa una foto con Franck a tradimento. Vito cerca di combinare sto matrimonio Italia-Francia, ma non ha capito che non s'ha da fare. E io dico anche che è l'inizio di un'amicizia, niente di più.

Mi dicono che io sono troppo ingenua.


Sulla strada del ritorno, continuo a pensare ai bambini che mi hanno stretto le mani quel giorno. E piango. Piango solo con l'occhio destro, quello dalla parte del finestrino. Perché non mi va di condividere queste lacrime con qualcuno. E' gioia, è tristezza, è senso di impotenza, è voglia di fare qualcosa, ma cosa?


Ci fermiamo al Barclays perché Enrico deve prelevare dei soldi. Ne approfitto per fare un giro per i negozietti. E entro in un mini-market. Parlo con in proprietario. Gli chiedo se ha quaderni, penne e matite. Gli dico che ne voglio prendere una bella quantità. Mi dice che non ce li ha tutti quelli che voglio, ma che se vado da lui domani mattina alle 9.00, me li farà trovare.

E allora è deciso, domani mi faccio portare a scuola da qualcuno, con tutto quel che riesco a comprare al Barclays.

A cena ricordiamo con tanta allegria i momenti vissuti durante quella giornata. E leggo nelle nostre facce che ci vogliamo bene, che siamo davvero felici di averla vissuta insieme.


Parentesi telo mare


Non ho portato il telo mare dall'Italia e non è possibile portar fuori dall'albergo i teli che vengono distribuiti gratuitamente in piscina.

Per cui per la gita a Wasini ho preso in prestito uno degli asciugamani del bagno.

Forse avrei dovuto avvisare John. Ma non l'ho fatto. E John nel pomeriggio è venuto da me, con una tristezza in volto che ancora se ci penso metterei la faccia dentro il cesso e tirerei lo sciacquone.

Mi ha detto che il suo capo l'ha rimproverato perché mancava un asciugamano dalla mia camera. L'ha accusato di averlo rubato lui e di esserselo portato a casa. Gli ha detto che se non avesse fatto riapparire quest'asciugamano, avrebbe dovuto ripagarlo o avrebbe perso il lavoro.


Mi sono sentita una gran merda. Ho spiegato a John che non avevo un telo mare e che ne avevo bisogno per Wasini. Che non pensavo di nuocere a nessuno. E allora ho scritto un biglietto per il suo capo, dicendogli che ero stata io a prendere l'asciugamano, e che John è una brava persona. Che quella cattiva ero io.

Il suo capo l'ha letto e mi ha sorriso. Mi ha detto che sono proprio una brava ragazza e che la prossima volta devo avvertire qualcuno se porto via un asciugamano.

John mi dice hakuna matata. Mi abbraccia e ricomincia a sorridere.

E io ancora oggi sento enormi sensi di colpa per i brutti momenti che gli ho fatto passare con il suo capo.


Fine parentesi.


I fantastici quattro, diventano tutti miei genitori. Ogni volta che mi allontano per troppo tempo, al rientro in albergo mi fanno capire che sono stati in pensiero.

Si preoccupano per l'estrema fiducia che do a chiunque mi si avvicini e mi proponga di fare qualcosa, sia che sia una passeggiata, sia che sia una visita al villaggio di Ukunda, sia che sia qualsiasi cosa. Io dico sempre si, con piacere.

E vado a Ukunda un po' di volte senza di loro. Con una guardia del corpo diversa ogni volta.

E a ogni mio rientro a "casa", Barbara e Chiara mi fanno capire che oltre al fatto che hanno sentito la mia mancanza, si sono anche preoccupate molto. Che dolci. Imparo a voler loro un sacco di bene. E mi mancheranno da impazzire quando andrò a fare il safari senza di loro.


La mia prima volta senza di loro a Ukunda è con Juma (il primo Juma... si perché poi ne incontrerò degli altri).












Chi è Juma?


E' un ragazzo jamaicano trapiantatosi in Kenya 4 anni fa. E' gentilissimo con me. E è il primo dei Beach Boys a cui ho voluto veramente bene. Il primo a cui ho cominciato a insegnare un po' di italiano.

Mi porta in giro per il villaggio. Gli spiego che voglio fare dei regali ai bimbi, per cui mi accompagna al Barclays a prendere dei quaderni, matite, penne e non ricordo che altro. Ho la mia scorta portata dall'Italia, ma ho paura che non sia sufficiente. E poi mi accompagna per le strade del mercatino di Ukunda, quello che generalmente non viene fatto visitare ai turisti. E li compro un sacco di palloni. Si, perché i bambini vogliono giocare a palla. La felicità è nel pallone.


Andiamo in una scuola, dove lascio parte del bottino acquistato. Il direttore mi ringrazia, mi racconta dei progetti in ballo per migliorare la scuola, mi accompagnano in giro per le classi. I bambini non ci sono. Sono in vacanza per due settimane. Non importa. Al loro rientro troveranno i miei regali.

In giro per Ukunda i bambini seguono i nostri movimenti e ci accompagnano. Quando intono "Jambo, jambo bwana..." un coro di voci squillanti e allegre continuano e cantano inseme a me. Quanta gioia ti possono regalare tutti quei bambini. Che mal di pancia dalla felicità.


E riempio di doni tutti quelli che incontriamo. Juma mi porta nei quartieri più poveri, quelli dove generalmente le guide degli alberghi non ti portano, e dove lascio palloni a ogni gruppo di bimbi che incrociamo.


Stanchi dell'enorme camminata, ci fermiamo in una specie di bar a bere qualcosa.


Juma mi dice che sono "crazy". Che non ha mai conosciuto una ragazza come me. Che sono un angelo caduto dal cielo. Che i miei occhi sono già un bel regalo per tutti quei bambini. Che lui sarà la mia guardia del corpo anche quando tornerò in Italia. Perché io sono un angelo da proteggere per sempre.


Mi commuovo come una bambina. E mentre mi accompagna al Papillon, sul matatu piango come una disperata ripensando al pomeriggio in mezzo a tutti i pupi, alle parole bellissime che mi son state dette, alla bellezza delle cose semplici, alla ricchezza che ho trovato e che non c'è nel mio mondo. Ho visto che anche Juma aveva le lacrime agli occhi.


Al rientro in albergo, trovo Franck che mi aspetta in reception. E' venuto a portarmi i binocoli per il safari. Gentilissimo. Gli avevo detto di non essermeli portati dall'Italia, e lui mi ha subito detto che ne aveva quattro, e che uno me l'avrebbe prestato volentieri.

Piove tanto e lui è venuto lo stesso. E nella mia testa rimbomba la vocina di Barbara che dice: "questo è cotto!"


E forse l'ho pensato anche io, la sera in cui sono andata all'Indian Ocean a restituirglieli. Partiva di mercoledi, e mi ha detto tante belle cose. Roberta, non devi cambiare, sei molto generosa, anche se il mondo in cui vivi ti porta a non esserlo, non cambiare, sei una bravissima persona, i miei figli ti trovano meravigliosa. E cose così. Ci scambiamo gli indirizzi email, a presto, a presto.


Prima di andarci con Juma, a Ukunda ci sono stata con Vito e Barbara. Abbiamo preso il taxi dall'albergo, perché ancora non sapevo dell'esistenza del matatu.


Il nostro taxista è stato gentilissimo. Non ci ha persi di vista un attimo. Ci ha portati dove il cambio euro-scellini era più favorevole, ci ha aiutati a capire come funzionano le schede keniote Safaricom, ci ha fatto ascoltare Jambo Jambo e Pole pole in macchina.


Mentre acquistiamo le schede telefoniche, dei bimbi incuriositi ci aspettano fuori dal negozio. Il più basso di tutti, il più piccino, con una maglietta gialla che gli arriva fino alle ginocchia, sicuramente dono di qualche turista, trova coraggio, entra, viene verso di noi, ci tende la manina (la manina più piccola del mondo), stringe la mano a ognuno di noi e esce senza dire niente, col fare di chi fa abitualmente cose del genere.


Vito si commuove al punto che gli si vedono sbucare due lacrimucce all'angolo degli occhi. Il lato tenero di Vito.


Parentesi. Le serate al Papillon.


Ogni sera alle 21.30 è previsto uno spettacolo diverso. Acrobati, ballerini, maghi e masai ci regalano ricordi bellissimi.

Ma quello che ci ha regalato più risate e buon umore in assoluto è il complessino del venerdi. Suonano le canzoni che oramai conosciamo a memoria. Jambo jambo e pole pole, Kilimanjaro e compagnia bella.

Il cantante è il vero protagonista. Appena scorge l'obiettivo di una telecamera o di una digitale, si esalta e regala il meglio di se tra balletti e ancheggiamenti.

La nostra ultima sera lo facciamo scatenare all'impossibile. Gli scrivo un biglietto con la formazione della Nazionale Italiana. E gli faccio leggere i nomi uno per uno. Ogni nome diventa un'aola al nostro tavolo. OOOOOLEEEE'!

E a fine Formazione c'è scritto "italia campione del mondo!". Lo legge, e le nostre urla diventano più forti. Di fianco a noi un tavolo di francesi. uargh!


Ridiamo come pazzi. E la settimana prima, c'erano con noi le due famiglie italiane più belle che potessimo incontrare.

Marco e la sua famiglia ci hanno regalato tante di quelle risate aggratis, che difficilmente le dimenticheremo.


Marco una sera mi ha accompagnata a fare un giretto in spiaggia con suo figlio e il figlio di Gianfranco. Mi dice che in questi giorni mi ha osservata molto e che m'ha vista parlare proprio con tutti. Che oramai sono la regina della spiaggia e che nessuno si può permettere di farmi del male, perché sennò accorrono numerosi per proteggermi.


Seduti al tavolino del bar della spiaggia, tutti ricordiamo vari episodi in cui ognuno di noi è stato protagonista. E via a parlare degli affari di Enrico, dei furti di brioches di Chiara (che erano poi destinate ai bimbi in spiaggia), delle battaglie in piscina di Vito, delle risate di Barbara e della mia canottiera dell'Unicef. Quanta allegria. E quanta serenità.


Era davvero tantissimo tempo che non mi sentivo così BENE.


Fine parentesi.


Un'altra volta a Ukunda è stata con Antonio. Juma se l'è presa per il fatto che io abbia accettato di farmi accompagnare da qualcun altro. Ma questo verrà dopo.













Chi è Antonio?


Ho prenotato il safari di due giorni allo Tsavo East in spiaggia con Alì, di Janoland. Alì dopo una breve trattativa, mi ha fatto un buon prezzo (150 euro) e io ho accettato.

Antonio è stato la mia guida al safari. Abbiamo legato subito. A differenza degli altri ragazzi conosciuti a Diani Beach, lui parla anche un po' di italiano. Ci siamo presi in giro dalla mattina presto (dalle 5.00!!!). E ogni pausa al safari l'abbiamo sfruttata per scambiarci due battute.


Vito e il resto della truppa non sono venuti con me. Vari motivi, paura dei leoni, paura della malaria, paura di niente e di tutto. E pigrizia


I miei compagni di pulmino sono italiani anche loro. Chi di Napoli, chi di Milano, chi di Roma.

Lì per lì leghiamo subito. E facciamo comunella. Il mio preferito è Salvio.

Confesso che sono tutti meno affettuosi dei miei VERI compagni di avventure.


Preferisco passare i momenti di relax con Antonio. Alla sera rimango a chiacchierare con lui fino a mezzanotte, per poi sentirmi dire che in 5 anni che fa la guida, nessuno si era mai fermato a dedicargli così tanto tempo, nessuno dei suoi clienti ha mai parlato con lui fino a notte fonda.

"Io sono speciale" Gli dico. "E' vero" Mi dice lui. E mi dice anche che sono anche una regina.


Mi racconta della sua famiglia. Lui è decimo di 15 fratelli. Mi parla del dolore provato per suo fratello di 12 anni morto un mese prima per un cancro alla gamba sinistra. Mi racconta di suo padre, di quanto gli abbia voluto bene, e di quanto abbia sofferto quand'è morto di malaria. Mi dice che uno dei suoi fratelli vive in Germania ed è sposato con una tedesca. Mi dice che ha due nipotini, e che da quando suo fratello vive in Germania è più grasso.


Mi chiede del mio mondo, mi chiede se in Italia la gente è tanto diversa da quella che incontri in Kenya. Si, gli dico. Tanto diversa.

Gli dico dei miei infiniti lavori, cerco di spiegargli che anche nel mio mondo la vita è dura. Ma come si può fare un paragone?

In Italia vedi per strada persone morte che non sanno di essere morte.

Gli parlo di prosciutti negli occhi, e lui ride perché immagina per davvero la gente con i prosciutti sulla faccia.

Quanto siete belli qui, gli dico. Belli dentro intendo. Belli da mozzare il fiato.


Ci auguriamo la buona notte e il giorno dopo alle 5.30 facciamo colazione insieme e vediamo i primi bufali arrivare a bere alla pozza d'acqua sotto il Voi Lodge.


Gli altri ragazzi italiani che erano con me si svegliano alle 6.

Alle 6.30 prendiamo il pulmino per il safari mattutino. Speriamo di vedere i leoni che fanno colazione. Il giorno prima abbiamo visto elefanti, gazzelle, giraffe, impala, dik-dik, ghepardi, ippopotami, leonesse (taaaaaaaaante!), bufali e non ricordo che altro. Tutti immortalati nella mia digitale, insieme a un tramonto mozzafiato. Inutile dirlo, ma anche la savana mi ricorda la Sardegna. Stessa vegetazione, stessi colori dell'autunno, e a tratti, stessi odori.


Riusciamo anche il secondo giorno a vedere quasi tutto il meglio della savana. La terra rossa, i quadri fatti con i pastelli di mamma natura, nuvole scolpite sul cielo da uno bravo, giraffe che ti salutano con le orecchie, leonesse che banchettano intorno a un bufalo morto e sbudellato, dik-dik per fortuna sempre in coppia. Si, per fortuna, perché Antonio mi ha detto che i dik dik viaggiano sempre in coppia, e se uno muore, l'altro muore di nostalgia.


Di rientro dallo Tsavo ci fermiamo a una sosta pipì. E' incredibile come i bambini sbuchino come funghi appena tiri fuori una matita dallo zainetto. E eccoli, pronti, appena mi vedono mi corrono incontro e si mettono in fila. In verità sono io che li metto in fila. L'ho imparato a Wasini. E anche a loro dico "one by one", uno per volta, e loro si mettono in fila. E se dico solo "one..." anche loro proseguono con "...by one!" tutti insieme.


Sono proprio una brava maestra


Ci fermiamo anche a un villaggio masai, dove bambini e adulti ballano per noi. Io sono concentrata sui più piccoli. Abbiamo biscotti, caramelle, penne, quaderni e un pallone bellissimo per loro.

Altre scene strazianti di visetti che temono di non riuscire ad avere la loro porzione di tutto quel tesoro. Ma il capo villaggio è saggio. Li fa inginocchiare, e man mano che ognuno di loro ottiene qualcosa, li fa allontanare per lasciar spazio a chi ancora non ha avuto niente.


E' una scena bellissima. Scolpita anche questa nel mio cuore.


Come tutto il safari, me lo porto dentro, e se l'ho vissuto così bene è anche merito di Antonio. Si, ho avuto buoni compagni di viaggio, ma nessuno mi è entrato nell'anima quanto lui.


Mi affeziono al punto che accetto il suo invito a andare insieme a Ukunda a ferragosto. Mi dice che se voglio portare altre cose ai bimbi, lui mi accompagna volentieri. E dirò di più. Una volta a Ukunda, è lui che compra i palloni per loro.

"Mannò Antonio!! Devo prenderli io! tieniti i soldi per le tue cose...!"

Come potevo dirgli che lui aveva bisogno di tenerli da parte per sopravvivere?

La sua risposta: "Roby, tu hai già fatto tanto in questi giorni - riferendosi a tutti i villaggi presso cui ci siamo fermati di rientro dal safari, e in cui ho lasciato traccia di me a ogni angolo - ora lascia fare qualcosa anche a me."


Il suo gesto mi spappola il cuore e un nodo enorme mi si forma in gola. E non solo per questo, insiste anche per pagarmi il matatu!!! Antonioooooo! Tu non puoi, volevo dirgli. Tu devi tenerti i soldi per mangiare. Ma era così felice che non volevo essere io a spegnere quella luce che veniva dai suoi occhi.


Andiamo a casa di suo fratello. E' una casa fatta di mattoni in cui non vive solo lui. E' una specie di dormitorio dove ci sono anche delle famiglie.

Il fratello di Antonio ha perso la vista a all'occhio sinistro per una botta presa mentre giocava a pallone. Non aveva i soldi per farsi curare, per cui col tempo la vista è andata a farsi fottere.

Racconti forti. Ma tutti col sorriso sulle labbra. Cortesia, dignità e umiltà. Non voglio andarmene da qui. Devo fare qualcosa. Devo fare qualcosa. Devo fare qualcosa.


Sento voci di bimbi dalla strada. Nel mio zainetto ho una scorta di Chupa Chups. In un batter di ciglia si forma una nuvola di bambini davanti alla porta di casa. Quante risate, quanti jambooo!, quanti occhioni. Il mio cuore si spappola e si ricompone a ogni angolo di Ukunda.












Racconto la mia giornata a Chiara e gli altri. E lo vedo nei loro occhi che sono contenti per me, per il fatto che sono ancora viva, per il fatto che ho fatto bene a fidarmi di Antonio, e per la gioia che sicuramente mi si legge in volto.


Una sera vado, sempre con Antonio, in un locale di Ukunda. Si chiama Masai Club. Entriamo. Tutto buio. Tutti scuri. Si vedono solo occhi e sorrisi. E dall'oscurità arrivano delle voci. Si, son tante voci che in coro chiamano: "Robertaaaaaaaaaaa! Come on! Robertaaaaaaaaa!"

Giuro, mi si formano immediatamente le lacrime agli occhi. Trovarmi in un paese che non è il mio e dopo neanche 10 giorni venire riconosciuta in un locale dalla gente del posto, è per me una grande conquista.

Antonio mi guarda esterrefatto: "ma come? Conosci più persone tu di me?" E scoppia in un'enorme risata.


A quanto pare si, qui c'è qualcuno che mi conosce. Ma con sto buio non si vede a chi appartengono quelle voci. Mi avvicino al punto da cui arrivano e... e sono i miei ragazzi. Si, sono i miei studenti della spiaggia. Mi invitano a sedermi con loro, mi dicono che sono contenti di vedermi anche la sera, e soprattutto che sono contenti che non ho paura a uscire dove escono loro.

C'è chi mi dice che avrei dovuto accettare anche il suo invito prima o poi, ma io rispondo che a breve partirò, che sarà per la prossima volta.

Parliamo un po' e aspettiamo lo spettacolo di danze africane che ci sarà a breve.


Una serata bellissima.


Quando Antonio mi riaccompagna al Papillon, mi abbraccia forte, ci salutiamo, vado in stanza e mando un sms a Chiara per dirle "mama, sono tornata, tutto bene, sono viva, ci vediamo a colazione."

Il tempo corre via, e l'affetto che mi lega ai ragazzi a cui insegno italiano diventa sempre più grande. L'attaccamento a loro è così forte che viviamo in simbiosi. Arrivo in spiaggia, e loro vengono verso di me.


Gli ultimi tre giorni sono tutti per loro. Claus mi racconta della sua camera da letto. Mi dice che se un giorno vorrò andare a casa sua dovrò essere forte, perché mi verrà da piangere. Gli dico che mi viene da piangere anche solo al sentirgli dire queste cose.

Mi fa una carezza e mi dice: "That's life baby! Hakuna matata!"


Hakuna matata? Ma come fate? Ragazzi come fate?


Mentre Giulio ricopia le ultime lezioni sul suo quaderno, Richard mi chiede se ho voglia di passeggiare con lui. Dice che sono due settimane che mi aspetta, che ha lasciato che passeggiassi con tutti, che comunicassi con chiunque, e che ora tocca a lui. Mi prega di dedicargli del tempo.

Gli dico che non è necessario che mi preghi Andiamo.


E camminiamo e parliamo, e studiamo. Gli indico le cose, gli dico il loro nome in italiano e lui me lo dice in inglese per farmi capire che ha capito. E poi facciamo il contrario. Io gliele indico chiamandole in inglese, e lui deve dirmi il nome in italiano.

Diventa un gioco divertente. Lui ha un gran senso dell'umorismo. Mi indica cacca di cammello e mi dice: "conchiglia! Vuoi?"


Arriviamo quasi fino al Southern Palm resort. 8 km di passeggiata intervallati da momentanei temporali durante i quali troviamo rifugio in mini capanne abbandonate. E qui inventiamo storie di fantasmi e misteri.

Al momento di tornare indietro, mi dice che ha un regalo per la maestra, perché questi sono gli ultimi giorni di scuola. Mi dice che l'ha preso il giorno prima a Ukunda per me. E' una collanina. Mi dice che l'elefante porta fortuna. E io gli credo. E l'abbraccio forte.


Giovedi e venerdi passo ancora del tempo con lui e gli altri ragazzi. Giovedi sera mi dice che il suo vero nome non è Richard. Mi dice che è un nickname, che tutti in spiaggia usano dei nickname. Mi chiede scusa per avermi mentito. Gli dico che anche io ho un nickname, glielo spiego, e si sbellica dalle risate.

Si chiama Juma anche lui. E lo confesso, è il mio studente preferito e dopo vengono Giulio e Claus.


Credo che i momenti più belli me li abbia regalati lui negli ultimi tre giorni. La semplicità con cui guarda alle cose, la sua simpatia, la sua voglia di imparare e comunicare, il suo spiccato senso dell'umorismo, la sua dolcezza, le sue storie, la sua passione per il cinema, i suoi "be careful" ogni volta che stavo per mettere un piede su un sasso, ogni istante è una fotografia che conserverò gelosamente nella memoria.


Ci promettiamo che al mio ritorno, andremo a Malindi insieme, così mi farà conoscere la sua mamma e i suoi fratelli.

Anche Antonio mi promette che mi porterà a Malindi dalla sua mamma quando tornerò. Magari si potrà andare tutti insieme.

Juma (l'altro, quello della Jamaica) mi fa una piazzata incredibile per tutta la confidenza che ho dato anche a altre persone dopo di lui. Pensava d'avere l'esclusiva. Cerca di farmi sentire in colpa. Mi fa piangere. Mi chiede scusa. Mi dice che ha sbagliato. Mi dice che non mi dimenticherà. E che parte del suo cuore partirà con me quando andrò via.

L'ultimo giorno è davvero straziante per tutti. A colazione Vito sorride a metà, Barbara non parla quasi, Chiara e Enrico sono tristi anche loro. Io non faccio che piangere. E anche Juma (Richard) piange.


"No one will take your place in our hearts".


Il direttore del Papillon viene al nostro tavolo e dice: "Ragazzi, voi potete partire, ma LEI - indicando me - deve restare qui!"

Sconvolgente. Gli dico che io resterei volentieri se lui mi offrisse un lavoro. Lui mi dice che ce l'ha un lavoro per me.

Oddio, che faccio, così su due piedi... non ho più soldi. Torno in Italia e poi ritornerò, gli dico. Mi dice che ho promesso, e che le promesse si mantengono.


Dj Shabani la sera di giovedi mi chiede di ballare con lui prima di salutarci. Mi dice che si impegnerà e studierà italiano. Lascio a lui il mio quaderno con le lezioni. Mi promette che quando ci rivedremo saprà dirmi qualcosa in più nella mia lingua. E io gli prometto che quando tornerò saprò qualche parola in più di swahili.

Mi dice che sono un angelo. E io gli dico che lo so, e che me lo dicono tutti. Lui ride


Il 18 mattina alle 8.00 il bimbo Alì mi aspetta all'ingresso del Papillon. E io arrivo puntuale. Con la borsa e con i regali per sua sorella. Mi dice che Dio mi benedica, e mi protegga, perché me lo merito. E mi abbraccia.

Anche i ragazzi del bar, tutti keniani, mi dicono che non posso andare via. Che sentirebbero la mia mancanza, che se voglio, posso restare a vivere nelle loro case.

John venerdi mi abbraccia più forte che gli altri giorni. Gli lascio una mancia per tutte le cose carine che ha fatto per me. Mi dice che Dio mi benedica. E che non si dimenticherà mai di me.

Il cuoco mi dice che ora resterà senza Italian Teacher. Che si aspetta di rivedermi presto.


Ho un regalino per tutti. Voglio che si ricordino di me. Sono sopresine degli ovetti kinder. Ne regalo una a ognuno di loro. Mi sorridono e si illuminano di gioia. You are a crazy girl. Fino all'ultimo mi sento dire questa frase.


Regalo una saponetta alla donnina della colazione. Mi bacia e mi abbraccia e mi dice che sentirà la mia mancanza, perché io sorrido, perché io le ho parlato ogni giorno, perché quando mi vedeva arrivare alla mattina sapeva che avrebbe scambiato due chiacchiere piacevoli e la sua giornata sarebbe stata più bella. Mi dice che mi aspetta anche lei e che potrò fermarmi da lei a dormire ogni volta che vorrò.


Humphrey mi da il suo indirizzo, io gli do il mio, con il mio numero di telefono. Gli dico di passarlo anche agli altri. E così da allora, ci sentiamo spesso, ci diciamo che ci manchiamo, e che non vediamo l'ora di riabbracciarci tutti.

Ho promesso che tornerò perché ho amato intensamente ognuna delle persone che ho incontrato.


Il mio cuore è rimasto là, in riva al mare, a seguire la bassa e l'alta marea, a aspettare i momenti delle passeggiate, a ricordare ogni abbraccio e ogni risata, a farsi coccolare dai canti dei bambini, a conservare per me il posto che mi spetta.

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