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Martedì, 5 Maggio 2009

Frammenti di Choco'

Ci volevamo addentrare nelle situazioni più assurde e pericolose dello Stato Colombiano, e per questo decidemmo subito di incamminarci per il Chocò, la regione che costeggia il Pacifico fino alla frontiera con Panama...

Concorso Storie Vagabonde

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Nell’ormai lontano settembre 2007, una volta laureatomi in antropologia, decisi di partire per il Sudamerica con un mio amico anche lui antropologo.

Forti della nostra giovinezza (spensieratezza e curiosità miste a una buona dose di incoscienza) e sicuri di non tornare più nel nostro Paese natale, comprammo un biglietto di sola andata per il Nuovo Mondo.

Destinazione Bogotà.

Ci volevamo addentrare nelle situazioni più assurde e pericolose dello Stato Colombiano, e per questo decidemmo subito di incamminarci per il Chocò, la regione che costeggia il Pacifico fino alla frontiera con Panama. La regione più povera del Paese, piena di problemi e di misteri e per questo molto difficile da visitare. Qui è dove la Panamericana si interrompe: il Chocò in pratica non ha strade. le uniche vie di comunicazione della regione sono i fiumi tropicali.

Il principale fiume è l’Atrato, dove noi trascorremmo due lunghi mesi, vivendolo a pieno in quasi tutte le sue forme, dalla città alla pura selva, fino alle sperdute comunità afrocolombiane e indigene. I brani riportati qui sotto sono alcuni "frammenti" del mio diario di viaggio.

06 Ottobre 2007 – Quibdò, capoluogo del Chocò, Colombia – 2 settimane di permanenza

Partiamo alla volta di Quibdò, capoluogo della costa pacifica colombiana, la regione più povera del paese, dimenticata dallo Stato e covo di guerriglia e parà; la seconda più umida e piovosa al mondo, ma nonostante questo piena di problemi di acqua, oltre che di corruzione politica, viabilità, droga....

A Quibdò, dopo un viaggio incredibile di 21 ore, nel quale ci hanno accompagnato venditori di ombrelli antioqueños, cercatori d'oro neri , elfi indios della foresta vergine del Darièn dai piedi scalzi e dai vestiti coloratissimi, ci aspettava SAN PACHO.

Chi era costui?

Qua si festeggia il patrono San Francesco in una festa folle e assolutamente profana.

Appena posiamo il nostro piede bianchiccio e molliccio in questa terra d'Africa - sono tutti neri come la pece, scappati secoli fa dalla schiavitù spagnola in territori vicini- è il DELIRIO: "el bunde", la festa, inizia dalle 2 del pomeriggio fino all'alba del giorno dopo, organizzato ogni volta da un quartiere della città... Tutto questo per sedici giorni!



Ragazze bellissime, dalle curve mozzafiato e gli occhi grossi come perle nere che ti fissano incuriosite; colori sgargianti dei vestiti che si mescolano con quelli delle case pericolanti, odori di mercato, di frutti tropicali, di pesce di fiume che ogni secondo rischia di marcire, soffocato dal calore della selva; musica sincretica di Chirimia costante, assordante, penetrante, sempre accompagnata dal traffico clacsonante di una città grande senza semafori in cui il pedone si trova nell'ultimo gradino della piramide sociale; sudore costante, odore di sudore costante in ogni angolo del mio corpo e in ogni anfratto della città, sensazione tattile incredibile: sembra che ogni entità che si tocchi leggermente con la mano, si sfiori appena con una spalla o semplicemente si guardi di sfuggita sia piena di goccioline tropicali, calde e infinite. E poi tanto, tantissimo alcol... sempre, ad ogni ora del giorno (ricordo che fanno 30° fissi): birra aguila, ron antioqueño, guarapo, biche, aguardiente. è stato raro trovarsi per qualche secondo della mattina appena sveglio, leggermente lucido... appena si esce per strada frotte di persone che hai conosciuto il giorno prima nell'orgia di emozioni e di calore della festa, ti salutano e ti offrono nuovamente da bere... tu prendi tutto , dai loro calorose pacche sulle spalle, sei di nuovo brillo andante... Ma ancora non ti ricordi di loro, boh!

Questa è stata San Pacho, una festa profana con la maschera di un buon Santo (eh si, San Francesco era uno dei pochi che si salvava), piena di tutto, a cominciare dall'ospitalità e dall'allegria.









08 Dicembre 2007 - Isla de los Palacios, Chocò, Colombia - 2 settimane di permanenza

Sdraiarsi su una canoa poco più grande di te, scivolare su un'acqua cristallina, chiudere lentamente gli occhi e poi riaprirli per vedere le fronde attorcigliate degli alberi della selva che cercano di nascondere la bellezza di un cielo dai colori forti.


Svegliarsi ogni mattina in una palafitta di legno, dopo un'altra notte passata su un'amaca sotto travi ricoperte da alveari di vesponi che non si accorgono di te, sentire il tuonante "tum tum" uscire dalla bocca del vecchio del villaggio, Efrèn, che come ogni mattina ci porta una deliziosa tazza di caffè.


Toccare ogni giorno animali nuovi, toccare la loro pancia ancora calda, ammirare il loro pelo, restare ipnotizzati dalla loro coda colorata, dai loro occhi multiformi farsi guardare per l'ultima volta, prima di lasciarsi definitivamente andare, prima di diventare banchetto pregiato di cacciatori precoci.


Fare la pipì nello stesso posto in cui si cammina, in cui si parla con gli altri, in cui ci si fa il bagno con i bimbi sperduti, in cui si lavano i panni, in cui si puliscono gli animali da cucinare, in cui si vive. Sentirti un tutt’uno con l'acqua che ti circonda a 360 gradi, nel bene e nel male sentirsi parte di essa.


Stare giorni interi senza ciabatte ne scarpe, con i piedi liberi, e riempirli di ferite, farli vivere per la prima volta.


Camminare giorno e notte su traballanti ponteggi e dentro acque fangose, imparare a non cadere dalle minuscole canoe, provare a scalare qualsiasi tronco selvatico. Essere sempre in equilibrio, mettere di continuo il proprio corpo alla prova.


Avere la sicurezza che tutto ciò che ti circonda è sincero. La bellezza di non aver mai ricevuto pietose richieste di elemosina. Semplicità, rispetto profondo, educazione, interesse vero verso l'altro, ospitalità senza fine, sincera felicità per il nostro inaspettato arrivo, per la novità che rappresentiamo.


Essere sempre circondato da bimbi di tutte le età, uno più bello dell'altro, essere accolto nella propria casa da tutti i pochi anziani pescatori del villaggio, ascoltare le loro storie, ammirare la loro saggezza e la loro semplicità.


Sentirsi parte del tutto. Amare gli altri, sentirli come se fossero parenti stretti. Non dubitare mai di loro.


Sentirsi a casa.



18 Dicembre 2007 - Sapzurro, Chocò, frontiera Colombia-Panamà - 4 giorni di permanenza

Notte fonda.

Pensieri italiani confusi non mi fanno chiudere occhio.

Esco fuori dalla casetta che ci ospita e ritrovo la magia di un paradiso che non smette mai di stupirmi.

Dopo ore di pioggia, le nubi sono scomparse, il cielo dei tropici mostra ancora una volta tutta la sua bellezza. Cielo limpido che rischiara i miei pensieri. Tre stelle cadenti, una di seguito all'altra, mi fanno vibrare il corpo; la vista di un ritrovato Carro Maggiore mi infonde sicurezza.

Altre luci all'orizzonte: quella del faro, che delimita la baia dei Sogni, quella rossa della torre alta sulla collina che ci separa da Capurganà.

Lampi poetici in lontananza.

Il brillìo della mia ultima sigaretta partecipa insieme a un gruppetto di lucciole a questo lento valzer di luminosità notturna.

Odo solo il dolce infrangersi delle onde sul piccolo molo di frontiera, davanti a me.

In lontananza gracidare di cicale.

È tutto troppo bello, infinitamente romantico. Con questa ninna nanna di sensazioni sarà difficile non prendere sonno.

La perfetta semplicità di questi luoghi mi da la buonanotte.


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