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Mercoledì, 3 Settembre 2014

“Di chi non è partito, imodium e cheese naan”

Non è mai facile riassumere un viaggio, ancora di meno lo è se il viaggio dura diciannove giorni e ci sono quattordici persone con te. O forse quindici. Perché in realtà, nel viaggio, va contato anche chi non è riuscito a partire.

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“Di chi non è partito, imodium e cheese naan”

A volte succede che i viaggi inizino in realtà prima della partenza. Il nostro è iniziato molto prima di arrivare in aeroporto, fra i libri ed i consigli di film, davanti ad un aperitivo in Brianza, scoprendo voci ed accenti solo per telefono, senza ancora potersi guardare in faccia, complici la distanza e la vita reale, ma già sospettando di essersi trovati… E poi la conferma quando finalmente ci si incontra, quei sorrisi che non ti immaginavi così contagiosi, e finalmente la certezza: loro sì che sono i miei compagni.

E anche quell’unico, che per i casi della vita, le sfortune che arrivano al momento sbagliato, non è riuscito a partire… in realtà già prima della partenza ci faceva sorridere coi suoi mille dubbi, animava le serate insieme, faceva parte del gruppo. E non c’è stato giorno che davanti a una birra o a un nuovo scenario sfavillante, non ci siamo detti: “chissà se fosse qui…”.

Il nostro è stato un viaggio che abbiamo percorso tutti insieme, ma ognuno per il proprio cammino. Chi sperimentava il primo viaggio fuori Europa, chi l’India che sognava da anni, chi il primo viaggio di gruppo. Ed anche chi la prima volta da tour leader.

Ed anche se ciascuno ha avuto il proprio percorso da seguire, non è stato mai davvero solo nella propria avventura personale, perché è riuscito a trovare quel compagno di viaggio che raramente si incontra. Il compagno di viaggio che dopo diventa anche amico.

L’amico con cui condividere l’insonnia in volo, l’amore per il cibo indiano, l’odio per quello troppo piccante.

Le nuotate in piscina, i selfies davanti al Taj Mahal, la preoccupazione per la cammellata nel deserto, il tragitto sull’elefante, la follia delle strade indiane.

L’insistenza dei venditori, i sorrisi degli sconosciuti, l’odore pungente delle latrine, il caldo torrido, l’aria condizionata troppo forte e chili e chili di cheese naan.

Le ore in pulmino passate a dormire, a raccontare storie, a ridere, a farsi confidenze. La stanchezza cronica di un viaggio affrontato in debito di sonno e, per qualcuno, in eccesso di birra!

E poi c’erano le contrattazioni folli per una corsa in tuk tuk e per l’elefantino di legno. E chi l’avrebbe mai detto che a volte le amicizie nascono anche scambiandosi… un imodium.

Tutto questo… fino a quel senso di vuoto che rimane nell’aria dopo che una parte di gruppo deve lasciarci per tornare a casa, e allora inizia la ricerca disperata del WI-FI per continuare a sentirci e scriverci chi ha mangiato il primo vero piatto di pasta e di quali meraviglie indiane sono stati partecipi i superstiti rimasti.

E anche in pochi, nonostante il vuoto, andare avanti e scoprire posti di bellezza e colori impensati. Concludere un viaggio che più che una vacanza è stato un percorso. E tornare arricchiti, anzitutto da un’India capace di tirarti con la forza fuori dalla tua “comfort zone” costringendoti a ripensare a scale di valori e priorità. E poi anche dal confronto. Non solo con chi porta un saree e parla uno degli oltre duemila dialetti indiani… ma confronto anche con chi parla la tua stessa lingua e sembra più simile a te di quanto in realtà sia.

Ed eccoci alla fine: arrivati tutti e quattordici (o forse quindici?) al classico scambio di foto, alla programmazione del ritrovo, alla scelta della prossima meta di viaggio, e se è vero che “squadra che vince non si cambia”, perché ancora una volta non tutti insieme?!

 

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